Lu munaceddhu tispittusu. Fatti e misfatti dello spiritello domestico salentino
di Emilio Rubino
Uno dei personaggi più curiosi ed originali che la storia del nostro folklore pare abbia cessato di tramandarci è il munaceddhu (in altri luoghi – come vedremo – diversamente nominato). Questa vuol’essere un’antologia dei mille e mille episodi di cui il munaceddhu è stato protagonista; essa intende raccogliere in un unico blocco alcuni aspetti, in parte da me già pubblicati una ventina d’anni fa su «La Voce di Nardò», con l’aggiunta di altri esilaranti episodi e nuove considerazioni. Questo revival è pertanto la riedizione ampliata ed abbellita per la novità di episodi accaduti, ad opera di confratelli del munaceddhu, oltre i confini nazionali.
Sul munaceddhu non vi sono dei trattati – come è stato riscontrato – se non solo una deliziosa e breve raccolta fatta da Carlo Levi nel suo pregevole Cristo si è fermato ad Eboli; Eboli, un oscuro paesetto di questo profondo sud, nel quale la vita ed il progresso si son fermati alle porte cittadine così come nostro Signore Gesù Cristo.
L’elenco che son riuscito a comporre supera di poco la trentina di nomi di “confratelli” (così mi vien da dire) del munaceddhu, compresi i nostrani e gli stranieri: in buona parte, tutti agivano in maniera scherzosa e tutt’al più dispettosa, mentre solo una piccola parte aveva caratteri improntati ad una immotivata cattiveria.
Ecco allora:
– CARCALURU: in Copertino, Leveranno e Porto Cesareo, dal verbo “carcare”, calcare, premere;
– CARCAULLU: in Guagnano, con lo stesso significato di “carcaluru”;
– FOLET: in Parma, folletto:
– LAURIEDDHU: a Lecce, venticello;
– LAURU: a Brindisi, vento;
– MAURIEL: a Boiano, nel Molise;
– MAZARIOL, o MAZAROL, o MAZARUÒ: nell’hinterland Bellunese;
– MONACHICCHIU: In Cristo si è fermato ad Eboli di Carlo Levi;
– MONICEDDHU: in vari comuni del Salento, con significato pari al munaceddhu neritino;
– MUNACEDDHU: in Nardò, prende il nome dal saio monacale che qualche volta gli è stato visto indossare;
– MUNACELLU : a Napoli;
– MUNACHEL: in provincia di Pavia;
– MUNEL: a Pavia, monello;
– SCARCAGNULU: a Taviano;
– SCAZZAMURID: a Corato;
– SCAZZAMURIEDDHU: a Maglie;
– SSCIACUDDHAI: a Calimera, con lo stesso significato di Ssciacuddhi;
– SSCIAUDDHI: a Galatina, dal greco “Shakos” (oscuro, tenebroso);
– SSCIACUDDUZZI: in Aradeo, come il significato di Ssciacuddhi;
– UDDHATIEDDHU: a Salice Salentino;
– SMARA: nel Bellunese. Si ricollega alla tradizione popolare nordica della Baviera settentrionale; rappresenta l’oppressione dei potenti sui poveri e fa venire il mal di stomaco ai contadini;
– URICEDDHU: a Lizzanello, venticello;
– URU: dal greco “uros” (folletto), nell’hinterland leccese;
Fuori dai nostri confini abbiamo:
– ALVEN: elfo dell’Olanda dal piccolo ed evanescente fisico, si fa trasportare dal vento in piccole bolle di sapone;
– BROWNIES: elfi inglesi, alti meno di 20 cm, mettono in ordine le abitazioni altrui in cambio di cibo con cui si sostentano;
– CALLICANZAROL: malvagi elfi greco-albanesi, quasi ciechi;
– CHIN CHIN KOBAKANA: elfi giapponesi, protettori della casa;
– DOMOVOY: folletti russi, nani dall’aspetto rugoso e dai capelli bianchi; dei del focolare, amano accarezzare di notte il viso dei dormienti;
– ERDITLE: folletti delle Alpi Svizzere, piccoli come bambini, hanno i piedi di anatra;
– GREMLINS: piccolissimi folletti degli USA, alti una decina di centimetri, se vogliono possono rimpicciolirsi ancora; amano la tecnologia e quando hanno sete bevono il carburante degli aerei;
– MENEHUNAS: elfi polinesiani, sono i guardiani dei tesori e se vengono sequestrati pagano il riscatto ed ottengono la libertà;
– PIXIE: folletto inglese, è irascibile, ma si commuove se ascolta canzoni d’amore;
– TROLL: della Scandinavia, è come un piccolo orco e ha un naso lunghissimo;
– ZIP: piccolissimi esseri del Messico, portano un elmetto e una lancia con cui difendersi in caso di aggressione;
– LUTIN e LE PETIT BONHOMME: in Francia, così detti per i loro benevoli scherzi.
Dispiace davvero non aver potuto conoscere il nome e il modo di comportarsi dei personaggi, simili ai nostri, certamente esistenti negli altri Paesi e qui non elencati, sparsi in tutti i continenti.
Carlo Levi, nella sua citata opera, così afferma: “I monachicchi sono gli spiriti dei bambini morti senza battesimo… Sono esseri piccolissimi, allegri, aerei… il loro maggior piacere è di fare ai cristiani ogni sorta di dispetti. Fanno il solletico sotto i piedi agli uomini addormentai, tirano via le coperte dei letti, buttano sabbia negli occhi, rovesciano i bicchieri pieni di vino … fanno volare le carte e cadere i panni stesi in modo che si insudiciano, tolgono le sedie di sotto alle donne sedute, nascondono gli oggetti nei luoghi più impensati, fanno cagliare il latte, danno pizzicotti, tirano i capelli, pungono e fischiettano come zanzare… e sono quasi inafferrabili. Portano in capo un cappuccio rosso, più grande di loro, e guai se lo perdono: tutta la loro allegria sparisce ed essi non cessano di piangere e di dolersi finché non l’abbiano ritrovato… Se tu riesci a prenderglielo, il povero monachicchio scappucciato ti si butterà ai piedi, in lacrime… Per riavere il suo cappuccio rosso, senza cui non può vivere, il munachicchio ti prometterà di svelarti il nascondiglio di un tesoro. Ma tu non devi accontentarlo fino a che non ti abbia accompagnato; finché il cappuccio è nelle tue mani, il monachicchio ti servirà. Ma appena riavrà il suo prezioso copricapo, fuggirà con un gran balzo, facendoti sberleffi e folli salti di gioia, e non manterrà la sua promessa”.
Realtà o fantasia? Io personalmente, a Radio Nardò Uno, dove settimanalmente, intorno agli anni ‘80 del secolo scorso, curavo e conducevo una radio-trasmissione sulle tradizioni popolari di Nardò, ebbi ripetutamente a sollecitare gli utenti a raccontarmi episodi il munaceddhu, della cui esistenza nessuno dubitava. Tutti ci credevano e molti giuravano di aver subito i dispetti giocosi, lo scherno beffardo e, qualche volta, l’incubo opprimente del suo sadismo.
A. C. raccontò che da sposato abitava nella contrada “Pantalei”, dove il munaceddhu andava a trovarlo. Cambiata abitazione,”quel farabutto” andò a trovarlo nella nuova dimora e gli buttò giù i mobili di casa. Non solo, creava pure rumori assurdi nelle ore notturne. Nella speranza di poterlo allontanare, appese delle forbici soltanto da un occhiello, in modo da simulare il legno della Croce davanti alla quale il munaceddhu sarebbe dovuto fuggire; nonostante questo espediente, rivelatosi inconsistente, quello “screanzato” continuò a tormentarlo coi suoi continui rumori, anzi, con voce gracchiante, ripeteva: “Stanotte non ti farò dormire! Stanotte non ti farò dormire!” E così fece, ma in modo tutto particolare, perché mentre dormiva con la moglie accanto, prese un secchio d’acqua e glielo buttò sopra. Non solo, perché andò a disturbare persino la sua cagnetta, mettendosi sopra a cavalcioni, facendola “scunucchiare” per il peso, tanto da evocarle strazianti guaiti.
Quand’ero ancora ragazzino, io ebbi a conoscere una famiglia alla quale il munaceddhu continuamente portava via dei soldi, nonostante che avessero appeso un quadro di sant’Anastasio (il santo protettore di chi veniva derubato dei suoi averi e, quindi, nemico dei ladri). Non ci fu niente da fare finché non si scoprì che a portar via il danaro era uno dei figli, che con quei soldi ebbe a comperarsi un grammofono.
La signora D. S. mi scrisse di una ragazza di Nardò che il munaceddhu “aveva preso a simpatia”, tanto che “tutte le notti le portava del denaro”. Quando, però, la mamma insospettitasi le domandò da dove provenivano tutti quei soldi, la ragazza arrossì nel viso come un peperoncino, abbassò la testa e stranamente confessò che era il munaceddhu. Questi allora, indispettito, non le portò mai più il solito denaro; anzi, a suo dire, cominciò a darle un sacco di fastidi, a non darle più pace, a strapparle la coroncina dalle mani quand’ella in famiglia diceva il rosario, a tirarle giù la gonna e a solleticarla fra le gambe: si dava perciò da fare a convincere quelli del vicinato (che insinuavano malevoli dicerie sul suo conto) che era il munaceddhu a farle quei dispetti. La gente allora, incredula, cominciò ad indicarla come “Maria ti lu munaceddhu”.
Con queste storie, m’era sorto il dubbio che il munaceddhu andasse nottetempo a mettersi sulle belle ragazze e la signora D. ebbe a scrivermi e a confermarmelo: e sì la Maria era una bella ragazza, ma quello, il munaceddhu – precisò – non aveva preferenze perché andava a trovare anche chi non era bella. È verosimile, perché il fascino non è soltanto delle belle donne.
La signorina M.R.F. mi scrisse di una sua amica, moglie di un agente, tormentata dallo spiritello che le faceva ogni sorta di dispetti e lei, disperata, ad implorare il marito a cambiare casa, ma, invano, perché il consorte non credeva affatto ai “fantasmi”. Quando però una notte le pentole ch’erano appese in cucina cominciarono a sbattere, egli, anche se tacque il fatto alla moglie che dormiva, dovette convincersi che il munaceddhu esisteva per davvero. Così ci pensò pure lui a cambiar casa, ma fu sconsigliato dagli amici perché – gli dissero – nella nuova dimora sarebbe arrivato prima lui. Per tenerlo lontano gli fu, invece, consigliato di mettere in mezzo alla stanza da letto “ ‘nu cantaru chinu”, in caso che il fetore lo costringesse ad andar via. Marito e moglie, allora, seppure a malincuore, ebbero a compiere l’operazione e andarono a letto fiduciosi, ma quasi col vomito in bocca per via di quel “cantaru” ed attesero svegli per vedere s’era vero che quel vaso da notte avrebbe fatto allontanare il munaceddhu e i suoi dispetti. E in effetti, allo scoccare della mezzanotte, i tegami della cucina cominciarono a sbatterle e a suonare puntualmente: era lui, il munaceddhu, tornato per tormentarli ancora, ad insultarli, e sì, perché esso entrò nella stanza da letto e, indispettito però la presenza di quel vaso dall’orribile fetido suo contenuto, si avvicinò addirittura al letto e li sputò in faccia tutti e due.
Per non smentirsi lo spiritello si divertiva ad imbrigliare le fettuccine di stoffa che servivano a tener legati dal di dietro i grembiuli da cucina; ad impastare i maccheroni fatti in casa e a renderli, perciò, non più buoni a mangiarsi; persino a scambiare il vino con l’aceto.
Come si può notare, vi è una ricca letteratura di episodi più grotteschi e strampalati il cui autore è il munaceddhu, l’inafferrabile folletto. Ma proprio per questo c’è sempre qualcuno che è peggio di san Tommaso: se non tocco con le mie mani…. Ed allora sorge spontanea la domanda per conoscere quali siano le cause che creano questi incubi notturni di varia natura, perché, a detta degli uomini di scienza, solo di questo si tratta e i vari folletti non c’entrano per nulla. C’è, infatti, chi parla di insoddisfazioni e repressioni sessuali (v. per esempio, le non espresse visioni della signora M.) che possono anche e maggiormente verificarsi all’inizio dell’età puberale, al primo prepotente maturare e sbocciare della femminilità al “tempo delle mele” e scatenare conflitti interiori per bisogni inappagati che fanno sognare anche il bisogno d’un… folletto. C’è poi chi sostiene essere gli incubi generati, ad esempio, da una digestione difficile che toglie il respiro, (è sempre esempio la signora M.) e rende impotenti a resistere alle azioni di questo prepotente supposto munaceddhu. C’è poi chi afferma che bisogna costruirsi la casa, per renderla inaccessibile a questo molestatore a non più di novantanove passi dalla “scocchiaia” (dal crocevia). La Croce, infatti, è un valido deterrente contro la presenza invadente del munaceddhu (considerato dalla Chiesa di natura idolatra così come tutti i suoi consimili).
Pensate un po’ a cosa accadde nell’azienda agricola del neritino A. B., dove i componenti la famiglia colonica erano davvero esasperati: a loro dire, il munaceddhu – nonostante la presenza di vari quadri di sant’Anastasio, la disinfestazione di tutti i locali con polvere di calce viva, l’esorcismo all’intera azienda – per ben due volte, nottetempo, buttò giù un piccolo che dormiva nella culla. Incolleriti, rimproverando violentemente al proprietario di aver taciuto nella conclusione del contratto di colonia l’esistenza del malevolo essere, abbandonarono l’azienda con tutte le colture in corso, che pure erano costate loro fior di quattrini.
Non c’è stato, però, mai nessuno che sia riuscito ad impossessarsi del suo cappuccio rosso per vederlo piangente e disperato, facendolo smettere di rendere la vita impossibile a uomini e bestie. E sì, perché il munaceddu si divertiva a fare i suoi dispetti anche ai cavalli, svuotando le loro mangiatoie per farli morir di fame, intrecciando loro la coda e la criniera, tormentandoli in tutte le maniere. Raccontava M. A., vissuto lungamente tra i cavalli, che di notte il munaceddhu si divertiva a frustare ferocemente le povere bestie, facendole correre all’impazzata nella stalla adiacente alla propria abitazione e la mattina le ritrovava sfinite, sconvolte, eccitate o smunte, in un bagno di sudore. Non si sa se è possibile avanzare l’ipotesi che fossero dispetti di qualcuno che si introduceva furtivamente nella stalla, o che, ad esempio, la criniera e la coda fossero “nfiettate” dallo stesso proprietario per porsi così al centro dell’attenzione della gente. Certo è che, quando è stata avanzata l’ipotesi, sostenuta da alcuni veterinari, che le “fiette” venivano a formarsi per ipertermia conseguente, ad esempio, a coliche o a timpaniti, a disfunzioni delle ghiandole sebacee, infezioni cutanee, tanto che i peli si arruffano e si torcono a spirale. Secondo il prof. Zappa dell’Università di Napoli (lezioni del 1924) potrebbero essere causate da un trauma cutaneo da attrito dei finimenti, tanto da determinare l’ipercrescita a spirale dei crini.
In questo emblematico dilemma un fatto però è certo: queste manifestazioni d’incultura non si raccontavano solo in questo profondo Sud. Scrive infatti il bellunese Ulrike Kindl alle pagine 124-125 del suo Le Dolomiti nella leggenda: “Tanto tempo fa, nei boschi di Calalzo… viveva un folletto chiamato Mazzaruò… il cui unico scopo era quello di divertirsi a scapito delle malcapitate persone che gli capitavano a tiro. Una delle sue trovate era quella di aspettare le donne che andavano in montagna a far fieno o a raccogliere legna. Il furbo Mazzaruò si trasformava subito in un bel pezzo di legno o in grosso ramo secco e si metteva nel bel mezzo della strada in attesa che qualche donna… lo prendesse e lo mettesse nella gerla per portarselo a casa. Dopo tanta fatica e tanto sudore, la malcapitata donna arrivava (a casa sua)… e lì si compiva la burla. Con una gran risata il Mazzaruò… si trasformava nuovamente nel suo solito essere di folletto e scompariva fra le siepi, sempre ridendo e sghignazzando… lasciando di stucco la povera donna. Un’altra trovata del Mazzaruò era quella di far perdere l’orientamento alle persone che, pertanto, giravano e giravano in tondo nello stesso posto finché il Mazzaruò non toglieva il sortilegio”.
Come avete certamente intuito, anche all’estero, il munaceddhu non si stancava di fare dispetti alla gente. Il bellunese M. R. molto tempo fa mi mandò un suo scritto riguardante un episodio, uno dei tanti che avvengono nei paesi nordici, accaduto a Schwerzenbronn, un paesino ad una settantina di km da Norimberga, nell’alta Baviera: “Un contadino era ormai abituato a vedere di giorno in giorno intrecciate le code dei cavalli in una sua stalla ed un giorno dette incarico al suo garzone: “stasera dormirai nella stalla e starai attento perché devo sapere chi è che s’aggira attorno alle bestie ed intreccia loro le code”. Il garzone si distese sul fieno e guardò nel vuoto dell’oscurità. Ma come si stupì allorché verso mezzanotte guardò verso i cavalli: le code erano nuovamente intrecciate. Egli poteva giurare di non aver udito e veduto alcuno”.
Ora, dopo tante testimonianze di italiche vicende e di straniera impronta, mi sembra davvero superfluo trascrivere altri episodi, più o meno veritieri, perché ritengo, o mio lettore, d’aver con sufficienza raggiunto a pieni voti il fine prefissato; quello, cioè, di dirmi se credi oppure no a questo munaceddhu che in questi ultimi decenni si è reso latitante, lasciando in tutti noi un vuoto assai… svuotato d’immagini fantastiche oppure d’irrealtà.
pubblicato su Spicilegia Sallentina n°4
Credo nell esistenza del piccolo spiritello, io ne ho uno, ma stranamente ogni volta che mi succede qualcosa trovo subito una spiegazione razionale.E’ cmq una presenza un po’ inquietante, capita spesso che mi spaventi con i suoi stupidi scherzi. Ho cambiato molte case per motivi di lavoro, lui nn e’ territoriale per qualche arcano motivo si lega alle persone, cosa strana mia madre mi racconto’ che da piccola ne incontro’ uno anche lei, che fosse lo stesso? Detto questo continuero’ a trovare una spiegazione logica a tutto, del resto nn si puo’ dare retta ai sogni!
Non saprei dire se lu munaceddhu esiste o no. Di certo c’è la fantasia della gente di ogni tempo e di ogni luogo. Gli antichi crearono personaggi in fondo graziosi, goliardici, a volte inquietanti, tutto secondo i propri umori, e non solo si autoconvinsero della loro esistenza, ma convinsero anche gli altri dell’attendibilità della loro tesi.
Queste erano le storie che spesso si raccontavano d’estate, sull’uscio delle case, tra stelle e vicini curiosi.
Oggi le si racconterebbero all’esorcista o allo psicoterapeuta.
In ogni essere umano alberga la paura dell’ignoto che probabilmente costellerà sempre la sua vita. Esiste qualche forza che sfugge alla nostra conoscenza, si verificano episodi di cui non riusciamo a scoprire l’origine. Non esiste solo ciò che appare.
La parola d’ordine, a mio avviso, deve essere ‘Armonia’. Proprio così, armonia tra la coscienza dei nostri limiti e l’imponderabile infinità del Creato, armonia tra la nostra creatività ausiliatrice e la fenomenologia fisica e metafisica, armonia tra il rimorso per un pasto troppo abbondante e la consapevolezza di una sua cattiva digestione con conseguenti notti e coscienze inquiete.
In una vita così spesso piatta e routinaria, lasciamo un po’ di spago a lu munaceddhu con la sua ventata di gioco e novità!
Emilio gli ha reso dignità dandoci idea della sua importanza e diffusione attraverso la lista dei nomi attribuitigli in mezzo mondo, gli ha conferito una vena romantica e divertente grazie agli episodi confessatigli da tanti cittadini comuni e ci ha dato finalmente una nuova occasione per finirla di prenderci tanto sul serio. Ognuno di noi possiede tanto il ‘fanciullino’ pascoliano quanto lo ‘spiritello’ popolare e pensare di liberarsene, è idea insensata e assai dannosa. Vuoi mettere la magia dell’insostenibile leggerezza dell’essere?
Anch’io nella mia infanzia ho sentito parlare “ti lu munasceddu” ma nei termini che gli adulti usavano verso noi piccoli per spaventarci e tenerci buoni,cosi’ come le storie “ti lu Nanni Orcu”una fattispecie dell’attuale uomo nero.Oppure la favola “ti lu ntartieni” un modo per allontanarci da casa per un certo periodo di tempo .Ma tralasciando questo argomento,chi saprebbe raccontarmi un po’ “ti cunti o culacchi ” di Papa Cagliazzo?(o Papa Galeazzo da Lucugnano). Un’ultima cosa se mi è concesso.Io nei ricordi della mia infanzia restano fiochi ricordi di un uomo affetto da Tarantismo del quale ancora ricordo il nome:Tale [nome non pubblicato dalla redazione per il rispetto della privacy].Tengo a precisare che il mio paese d’origine è Galatone in provincia di Lecce.Ebbene ricrdo il modo in cui strisciava per terra al suono del violino l’organetto e del tamburo.Vi chiederete il perchè della digressione dal tema che stavamo trattando. Ebbene sarebbe interessante che chi ricorda qualcosa in merito lo racconti.
mio padre ora sta avendo degli incontri con il folletto che dalle nostre parti si chiama “mazzmarell”praticamente gli pizzica ai piedi,gli attacca le mani con la cera.Dice che è una lucetta bianca,ma mia madre non vede assolutamente nulla.Nonostante abbiamo messo la scopa al contrario davanti alla porta della camera da letto e aver benedetto la camera,è venuto a trovarlo.Non so se mio padre sta impazzendo,ma anche sua madre ha avuto questi incontri per 10 anni :(
[…] https://www.fondazioneterradotranto.it/2012/02/27/fatti-e-misfatti-dello-spiritello-domestico-salenti… […]
Parlavo (io foggiana) proprio di questa figura folcloristica con altra persona (del leccese) proprio ieri.
Anche dalle mie parti, fatta salva la tipica pronuncia locale (u munacidd) ha medesima denominazione.
Da bambini i genitori e il nonno, di San Vito dei Normanni (BR), per acquietare la tipica irruenza infantile nominavano appunto il “monacello” dicendo che ci avrebbe visitato nottetempo per punirci se avessimo fatto le birbe.
Oggi nel foggiano purtroppo se ne è persa memoria.
La mia storia raccoglie un po’ di tutto quello che ho letto sopra, da o a 12 anni ho abitato in un’antica casa del 1808 a Sannicola, bene da lì inizia la storia dei passi cadenzati che andavano avanti e indietro sul terrazzo come una sentinella, e quando un po’ più grande chiedevo spiegazioni, be ne ho sentite tante di scuse che non sto qui a raccontarvi, ma all’età di 12 anni per motivi famigliari cambiai paese e famiglia i cosiddetti passi mi seguirono, essendo poi riunito di nuovo a mia sorella 4 anni più piccola di me crescendo comincio a sentirli pure lei e nonostante la tranquillizzavo che non cera daver paura andando più volte io o papà mio che da 5 anni e volato in cielo non trovavamo mai niente sul terrazzo ed i passi si interrompevano quando salivamo, fin qui diciamo tutto bene finchè i passi cessarono e per parecchie notti invece ebbi a che fare con il cosiddetto “monaceddru” che sistematicamente mi toglieva il respiro sino quasi a svenire spingendomi il petto, ma solo una volta riusci a vederlo, ed era alto circa 30 o 40 cm illuminato il corpo da una luce fioca ma non gli occhi più vividi e intensi bianchi come il corpo, stava in piedi sulla porta della nostra stanzetta. Ma al di la di togliermi del respiro non mi ha fatto altro. Vorrei precisare delle idee che mi son fatto, per esempio che mia madre un anno prima che nascessi io decise di avere un aborto, oppure che la mamma di mia mamma mia nonna che pure lei e volata in cielo quando ero piccolissimo era una “tarantata” dai racconti di mia mamma, e non nego che da piccolo mia madre mi porto a Galatina quasi all’alba nella chiesa sconsacrata di S.Paolo proprio per vedere le tarantate in via d’estinzione facendomi vestire di bianco o nero perché le persone tarantate erano attratte dai colori vivaci e rischiavi di venire graffiato da esse. Ora potrei definirmi quasi un sensitivo .D.G.M.