di Gianfranco Todisco
Anch’io ‘spigolo’ ogni tanto. Mentre scrivo sono più o meno il 790000° dall’inizio di questa storia e provo, dopo aver sempre solo letto, a dirvi qualcosa che mi si è incastrata un po’ di traverso nella mente mentre cercavo di comprendere quello che sta succedendo al nostro territorio e ai nostri ulivi.
Ci ha messo del suo anche l’articolo sulla Spicanarda-Lavanda e così, come se la misura fosse colma, proverò a spiegare cosa ha unito le due cose nei miei pensieri, cosa unisce queste a noi e, credo, non al nostro passato, ma al nostro futuro e in maniera molto profonda.
Tramite il racconto di una scoperta che non ha raggiunto i molti che sono estranei agli ambienti della Storia della distillazione e delle tecnologie del profumo, proverò ad aggiungere altri elementi a quel ragionamento dell’anima che ci suggerisce come il nostro paesaggio e l’ulivo in particolare, partecipi molto concretamente tutti i popoli del mediterraneo e come la flora unisca ed abbia unito la nostra terra fra due mari, ad un più vasto orizzonte comune, nel tempo e nello spazio.
Cominciamo dal fatto che, pur non pratico del simbolismo religioso ma comprendendo come spesso nel racconto religioso Storia e metastoria si compenetrino, mi piace pensare che quel biblico ramo del nostro ulivo oltre ad essere il segno concreto della ritrovata unità col Dio, fosse anche un simbolo, un invito a mettere assieme (sym-, “insieme” – βολή bolḗ “lancio” ) ciò che unisce i popoli accettando diremmo oggi laicamente differenze che non si cancellano e limitando le divisioni che ci contrappongono.
Alterare sconsideratamente il paesaggio significa ,in queste premesse, alterare in qualche modo anche la percezione del nostro passato, del nostro cammino e di quegli elementi del territorio che viaggiando nei Paesi bagnati dal comune mare ci danno l’idea che non possiamo essere così lontani dalla nostra casa, di non essere poi tanto distanti, lontani e diversi dagli altri popoli del Mediterraneo. Oh sì, anche il paesaggio può aiutare a pensare alla pace.
Ancora pazienza se da buon meridionale per tornare agli ulivi vi sembrerà che la prenda alla larga. Comincio da molto lontano solo geograficamente perché la storia che devo raccontarvi parte da Cipro, da un luogo chiamato Pyrgos.
Lì opera da oltre un decennio (1998) una missione archeologica del CNR italiano prestigiosamente diretta dalla dr.ssa Maria Rosaria Belgiorno.
L’attribuzione da Lei fatta ad un fabbro del Bronzo medio del corredo funebre di una Tomba aperta nel ’93, portò ai sondaggi in zona nel 1996 e 1997 che ipotizzarono la probabile esistenza in loco di industria metallurgica . Gli scavi lo confermano subito; segni e reperti di lavorazioni metallurgiche fra cui una incudine iniziano a riemergere dal suolo e dal passato.
La pietra è una incudine per lavorare il metallo e la dr.ssa sta mostrando una punta (il nero che vedi sull’incudine è l’ombra della punta)
En passant, lo dico subito, verranno ritrovati i segni e resti di una produzione di tessuti, ma questa come si dice è un’altra storia. Non tanto un’altra storia però perché anch’essa ci ricondurrebbe comunque agli ulivi e , tramite Omero, alla descrizione del Palazzo regio di Alcinoo i cui telai grondavano olio e ad alcune rappresentazioni presenti anche in alcuni rari epinetri giunti sino a noi in cui l’una ancella versa dell’olio sui fiocchi di lana lavorati dalla padrona.
Il sito di Pyrgos, abbandonato a seguito di un forte terremoto e dell’incendio conseguente intorno alla metà del XIX sec. AC., prospetta agli archeologi con il progressivo aggiungersi di nuovi reperti, ipotesi sempre più sorprendenti.
Si ritocca più volte l’ipotesi iniziale mentre si conferma la convinzione di essere di fronte ad una complessa zona industriale per la lavorazione del rame grezzo. Ma qualcosa ancora non torna perché si scopre che lì certamente si produce e si stocca olio d’oliva in quantità veramente industriali.
La relazione gli archeologi la scoprono presto. L’olio è anche usato come carburante per le fucine, ma questo ancora una volta, non rimarrà il solo uso dell’olio d’oliva a Pyrgos.
Una prima conclusione salta comunque agli occhi: il nostro olio e i nostri ulivi hanno accompagnato e fatto da balia, nutrendoli, ad alcuni dei primi abbozzi di civiltà mediterranea. Nessun sito coevo presenta caratteristiche simili in nessuna parte del mondo e mai nessuna altra pianta era stata dimostrata così strettamente legata a processi produttivi che, scavalcando l’anacronismo , abbiamo definito industriali. Per dare un’idea del momento in cui ciò avviene tempo diremo che quando a Pyrgos così si lavora, se mancano ancora circa 2 secoli al codice di Hammurabi, ne mancano ancora circa quindici per la nascita di Alessandro Magno e ben più di 1000 anni alla mitica data della fondazione di Roma.
Dunque un sito che produce olio, tratta il rame, tesse stoffe, un sito cui guardano da subito con attenzione e stupore gli ambienti dell’archeologia e la cui risonanza invade il mondo scientifico e storico.
La scoperta che però più colpirà il grande pubblico deve ancora arrivare ed al centro, ancora una volta ci saranno gli ulivi. In un edificio crollato nella migliore maniera per conservarci sufficientemente bene quanto conteneva, si scopre quella che viene subito chiamata: la stanza dei profumi.
Per spiegare, ancora una volta facciamo un passo indietro. Il concetto di profumo, lo sappiamo tutti, ha intrigato molti. Da Socrate a Platone ad Aristotele sino a Freud, tutti ci hanno voluto mettere il…. naso [perdonatemi”].
Col tempo il concetto ed il modo di produrre il profumo sono cambiati, distraendoci ed allontanandoci dal suggerimento rappresentato dall’ etimologia della parola. Se l’etimo latino “per-fumum” ci annuncia indirettamente il suo primo ottenimento ed utilizzo, e se alcune abitudini profumiere egizie restano quantomeno opinabili, qui a Pyrgos, il profumo ottenuto è identificabile fondamentalmente con ciò che ancora oggi si produce e che modernamente chiamiamo “oleolito”.
Per i pochi distratti ricordiamo che l’oleolito è il prodotto della macerazione in olio, appunto, di piante officinali o dal particolare aroma. Ed oleoliti , come spesso nei racconti biblici, erano i profumi prodotti a Pyrgos.
I vasi ritrovati che li contenevano avevano varie forme dimensioni e funzioni ed i più piccoli contenevano i liquidi più preziosi.
Fra parentesi, l’olio versato dall’ancella di cui dicevamo è profumato e questo ce lo dice la particolare forma del vaso (aryballos) in cui l’olio è contenuto. E almeno una parte della lana di Pyrgos odorava di rosmarino. Ce lo dice il residuo di componenti della pianta riconosciuti nelle tracce di olio d’oliva ritrovato su una fuseruola nella zona tessile di Pyrgos. Una zona che gli archeologi chiamano affettuosamente “il quartiere delle donne”.
Un’altra volta dunque i nostri ulivi al centro di una produzione forse legata a culti, forse alla bellezza; più probabilmente a tutti e due assieme. Una produzione di beni voluttuari ma ,con Oscar Wilde, non volgarmente superflua poiché, già da allora, veramente necessaria. E al necessario, a molto del necessario comunque lo identifichiate , provvedevano gli ulivi.
Ulivi per l’alimentazione, ulivi fuochi sacri nelle fucine, ulivi come via per la bellezza e per gli Dei.
Per di più non stiamo parlando di quantità limitate; a Pyrgos la produzione di oleoliti era particolarmente importante ; orci da diversi quintali erano più una consuetudine che una rarità.
E la nostra Spicanarda – Lavanda?
Qui viene fuori l’ultima sorpresa di Pyrgos. In uno spazio adiacente alla famosa “stanza dei profumi” viene ritrovato un accumulo di cocci quasi a sé stante e lontano da altri, qualcosa che già a prima vista gli archeologi stimano di poter ricostruire in maniera rapida e molto soddisfacente.
Avviano il puzzle tridimensionale e si ritrovano fra le mani quello che sin dalla prima occhiata si rivela essere un alambicco.
L’alambicco originale esposto alla mostra su Pyrgos allestita c/o i Musei Capitolini a Roma
Gli archeologi sperimentali del Centro “Antiquitates” di Viterbo avviano la prova sul campo con una copia dell’alambicco per provarne l’efficacia e il risultato è positivo: con quell’apparato si possono estrarre degli oli essenziali.
L’alambicco originale esposto alla mostra a Viterbo dove tuttora è possibile assistere tramite il Centro Antiquitates a produzioni di oli essenziali da una copia esatta dell’alambicco di Pyrgos”]
Così siamo arrivati finalmente alla Spicanarda che, ormai ve lo aspettavate, è stata individuata come una delle piante distillate nell’alambicco di Pyrgos.
E allora non c’è nessun bisogno di scomodare il cipresso e Apollo, Persefone e la menta , il mirto le Amazzoni ed Afrodite, l’alloro e Dafne per comprendere che i segni della nostra flora sono rimandi precisi a un percorso di civiltà che ancora ci può aiutare nelle scelte e che, anche sottovoce, ogni tanto varrebbe la pena ricordare.
Che dire di più. Ecco dove può condurre il pensiero degli ulivi abbattuti. Personalmente mi ha portato ancora più in là, a considerare che l’età adulta, vale per gli uomini, vale per la società, comporta molte cose, non tutte semplici. Significa, fra le tante, ricordarsi di ringraziare, chiedere scusa se ne è il caso, ed essere capaci di dire a se stessi e agli altri: -mi sono sbagliato- .
Per chi lo volesse, ringraziare la nostra Storia potrebbe significare anche conservarne memoria, alterando il meno possibile ciò che ha contribuito a farci così come siamo oggi, curando senza feticismi il nostro territorio esattamente per la maniera in cui vogliamo essere ricordati da chi verrà dopo di noi.
La sensibilità di oggi verso l’ambiente misurerà esattamente il rispetto che abbiamo portato a noi stessi ed ai nostri figli.
I nostri saggi ulivi millenari ci legano al cammino della civiltà Mediterranea, non pretendono le nostre scuse e si accontentano di poco. Cercano di resistere con tutta la loro forza. E se non ce la fanno, semplicemente muoiono.
Ancora oggi c’è chi, distinguendo tra cultura umanistica e scientifica, ripropone la loro contrapposizione. Solo la contrapposizione, appunto, se penso, da un lato, al livello grottesco cui si è abbassato, solo per fare un esempio, lo studio dell’italiano, dall’altro alla recentissima “rivincita di Einstein” (ma non ci avevano detto che alla base del metodo scientifico stava proprio la ripetitività dell’esperimento e non l’imprudente pubblicizzazione di un risultato, che è da sottoporre, sempre, a molteplici controlli?).
Per questo non mi pare banale dire che il post è una splendida dimostrazione di come l’incontro tra le due culture possa propiziare, nella fattispecie, la conoscenza, corretta almeno nella sua buona fede…, del nostro passato e il rispetto stesso del nostro futuro attraverso una più saggia e lungimirante gestione del presente. E dirlo mi pare ancor meno banale perché coloro ai quali spetta decidere del destino di un essere vivente, animale o vegetale, raramente sono in grado di recepire certi messaggi e ancor più raramente hanno l’onestà sufficiente a non cedere a tentazioni contingenti e con tangente.
E non mi sento ridicolo nel farmi portavoce di un albero, di un’erba, di una bestia (per quanto riguarda gli umani mi pregio di essere solo portavoce e portaborse di me stesso) che ringraziano perché qualcuno si è sforzato di andare oltre il muro dell’egoismo suo o del suo gruppo.
La ringrazio per le sue parole .Mi è sfuggito però il senso compiuto del suo accenno alla buona fede. Condivido con alcuni storici l’impressione che la Scienza ed il pensiero di cui ne è riflesso , si sia costruita in Occidente anche , anche , anche in contraltare al modo in cui una ‘cultura europea’ si è ricostruita dopo la rottura dell’unità che Roma imperiale aveva rappresentato. Persino nelle fondamenta del pensiero romano troviamo indirettamente , salvo non numerosi esempi,una minore attenzione alla sistematizzazione e organizzazione del pensiero scientifico . Ingegneria tanta, di ogni genere, ma è regola diffusa che gli artefici di questi miracoli restassero per lo più non tramandati adeguatamente. Il primitivo difficile rapporto del Cristianesimo con la Scienza greca accusata di empietà ci metterà del suo , prolungandosi nel tempo sino ad avanzare sospetti nei confronti degli artigiani medievali a causa di una malintesa(?) lettura di Agostino . Ciò detto resta l’oggi , che è fondamentalmente il momento del levare e non dell’aggiungere , del conciliare e non del contrapporre , dell’unire più che dividere .
Mi scuso per aver usato un’espressione un po’ criptica, anche se quanto detto immediatamente prima poteva far intuire che “sua” era riferito a “conoscenza” e che il tutto, compresi i puntini di sospensione, riguardava l’andazzo consolidato di certe ricerche che suscitano, con i loro risultati, più di un sospetto di essere “pilotate” e che con la loro scarsa o inesistente acribia rivelano solo l’asservimento ad interessi meramente economici o “elettorali”, asservimento tanto più grave quando lo sponsor non è il privato ma il pubblico. Con stima. Armando Polito
http://www.reset-italia.net/2012/08/09/i-profumi-di-afrodite-da-cipro-a-los-angeles-il-cnr-entra-al-getty-museum/#.UCrJeKEaO3E
La Fondazione Terra d’Otranto e Spigolature Salentine sono arrivate prima del Paul Getty di Los Angeles. Un enorme grazie alla Prof.ssa M.R. Belgiorno ed i complimenti alla Redazione.