di Armando Polito
* Vuoi che ti prepari qualcosa di particolare?
* Vorrei…vorrei…(Ulìa nel dialetto neretino è prima persona singolare dell’imperfetto indicativo di ulìre, usato pure, come in italiano, invece del condizionale; però, oltre che forma verbale, è anche sostantivo, corrispondente all’italiano oliva e questo equivoco dovuto all’omofonia spiega la seconda vignetta della brevissima striscia).
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* Come stai vedendo, ti ho accontentato…
Spero, promitto e iuro vogliono l’infinito futuro. A beneficio di coloro che non conoscono il latino e anche (mi si perdoni la realistica malizia…) dei più giovani che lo stanno studiando: si tratta di un trucchetto in auge in passato per ricordare che in latino i tre verbi speràre (=sperare), promìttere (=promettere) e iuràre (=giurare) esigono che il verbo della dipendente dichiarativa sia espresso con l’infinito futuro. È intuitivo che a questo tempo è strettamente connesso il concetto della promessa, mentre quelli della speranza e del giuramento possono riguardare anche il passato (spero/giuro di aver fatto bene) e in in tal caso la cantilena prima ricordata non vale, tant’è che il verbo della dipendente andrà espresso con l’infinito perfetto.
Per collegare il concetto del passato con quello del nostro verbo cosa c’è di meglio se non passare in rassegna i proverbi che lo contengono?
A ogni ccasa nci ole lu pàcciu (In ogni casa è necessario che ci sia un pazzo; dopo queste prime righe sarà facile al lettore capire chi in casa mia ricopre questo ruolo…).
A pprètiche e mmilùni/nci òlinu li stagiùni (Per prediche e meloni è necessaria la stagione; trascrizione, con riferimento alla sfera religiosa ed a quella agricola, pilastri della vita di un tempo, del generico italiano Ogni cosa a suo tempo).
Arata e tairsàta/ole la terra,/amata e ggimintàta1/ole la tonna (È necessario che la terra sia arata una prima volta in un senso e una seconda in senso trasversale; che la donna sia amata e stuzzicata).
Ci cchiù hae cchiù bbole (Chi più ha più vuole; corrisponde all’italiano L’appetito vien mangiando). Il lettore noterà che qui il verbo in questione ha perso il carattere quasi di impersonale necessità che aveva nei proverbi precedenti.
Ci ti ole bbene cchiù ti mamma/ti core ti ‘nganna (Chi ti vuole più bene di mamma t’inganna nei sentimenti).
Ci ti ole bbene ti face chiangìre/ci ti ole male ti face ritìre (Chi ti vuol bene ti fa piangere, chi ti vuol male ti fa ridere). L’educazione eccessivamente permissiva dei nostri tempi dovrebbe far riflettere sulla verità enunciata dal proverbio e convincerci che non si cresce con i ripetuti sì, salvo poi lamentarsi, con una spaventosa contraddizione, che i giovani di oggi pensano che “tutto sia dovuto”).
Ci vae ti ggiustu passu rria a ddo’ ole (Chi procede col passo giusto arriva dove vuole).
Ci vuei acqua cerca ièntu! (Se vuoi acqua cerca vento!).
Ci vuei ccanùsci l’amicu fitèle ha mmangiàre pane ti sette furni (Se vuoi conoscere l’amico fedele devi provare il pane di sette forni; cioé: prima di trovare un amico fidato devi mettere alla prova parecchie persone).
Ci vuèi cu bbiti n’annata curiosa/Natale ssuttu e Pasca muttulòsa2/e allora sì ca iti la massara pumpòsa (Se vuoi vedere un’annata curiosa Natale [dev’essere] asciutto e Pasqua rugiadosa e allora sì che vedi la fattoressa darsi arie).
Ci vuèi cu ffaci li ggiùrni cuntiènti/statte alla larga ti li pariènti !(Se vuoi rendere i tuoi giorni felici stattene alla larga dai parenti!).
Ci vuèi cu ffutti la icìna/àzzate prestu la matìna! (Se vuoi fottere la vicina alzati presto la mattina!).
Ci vuèi cu iàbbi li ceddhi pizzulanti/semina cranu ti tutti li Santi! (Se vuoi gabbare gli uccelli che beccano semina grano di Ognissanti [1 novembre]!).
Ci vuèi cu mmandi la casa a ‘mpuirìre/manda la gente fore e ttu no sscire! (Se vuoi ridurre la casa all’impoverimento manda i contadini in campagna e tu non andare!).
Ci vuèi cu nno aggi cilusia/no mmugghièere beddha/e nno rrobba/a mmienzu ‘lla ia! (Se non vuoi essere oggetto di invidia non [devi avere] moglie bella né ricchezze in vista!).
Comu ti fece màmmata ti ògghiu,/ senza camisa e senza sciupparièddhu (Come ti fece tua madre ti voglio, senza camicia e senza giubbetto). Canto all’amore disinteressato o espressione di travolgente desiderio?
Lu pòveru e lu malàtu/no llu ole lu parentàtu (Il povero e il malato non lo vuole il parentado).
Quandu la furtùna ti ole/ti chiòe alla pila (Quando la fortuna è con te ti piove nella pila). C’è il riferimento all’operazione di lavaggio dei panni nella pila che bisognava riempire di acqua attingendola dal pozzo).
Quandu l’omu non bbole cu ssente a pprima oce, /segnu ca lu tiscòrsu no lli piàce (Quando l’uomo fa finta di non aver sentito vuol dire che il discorso non gli piace).
Quandu lu ciùcciu non bbolle cu bbeve, macàri ca fischi! (Quando l’asino non vuol bere hai voglia a fischiare!).
Quandu lu tiàulu ti ‘ncarizza ‘ndi ole l’anima (Quando il diavolo ti accarezza ne vuole l’anima).
‘Ttacca lu ciucciu a ddo’ ole lu patrùnu (Lega l’asino dove vuole il padrone).
Del futuro (almeno come tempo verbale…) e del passato s’è detto. Qual è il presente di ulìre? Forse è più corretto riconoscere (già sarebbe tanto…) che ulìre (nel senso di pretendere egoisticamente infischiandosene dei propri simili, di ogni altro essere vivente e dell’ambiente nel suo insieme) è l’emblema del nostro sciagurato presente, che fino ad ora ha saputo coniugarlo solo in modo perverso. La crisi in atto sta già ridimensionando questo abuso, ma chi ha il compito di pilotarla politicamente riuscirà, finalmente, a far volere meno solo a chi fino ad ora ha voluto troppo?
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1 Ggimintàre ha il suo corrispondente italiano in cimentare.
2 Da muttura=rugiada, per il Rohlfs con la stessa etimologia dell’italiano imbottare.
Elogio all’ironia e alla cultura umanistica e salentina!
Quanti piccoli capolavori e ‘capolautori’ tra i chicchi di Spigolature!
Bravissimo, Armando, chè se ti avessi avuto come insegnante al Palmieri qualche anno fa, sarei stata l’alunna più brava d’Italia.
Ulìa cu sacciu nu’ quartu ti quantu sai tune,
ulìa cu fazzu ritìre nu’ millesimu ti quantu faci ritìre tune,
ulìa cu bessu dhru ciucciu ca ‘mbèa senza li fischi e ca no rumàne ‘ttaccatu allu lazzu ti nuddhru patrunu. Mi pare ca nu gh’è ulìre mutu nè picca.
Aggiu coniucàtu buenu lu ‘Presente’, prof Armando?
Gradisco l’omaggio, di cui non sono totalmente degno, e aggiungo solo che, se ti avessi avuta come alunna al Palmieri o altrove, certamente sarei stato un insegnante migliore. Armando
Gentile Armando,
sto cercando di capire la forma di “ulìa cu bessu”.
Capisco che voglia dire “vorrei essere” “vorrei che fossi”
ma non ne capisco la costruzione dato che “bessu” non mi pare una forma del verbo essere.
Può aiutarmi?
Grazie
Claudio