di Rocco Boccadamo
Quando ero ragazzo, una sessantina di calendari fa, vedevo spesso girare per le strade del mio paese, poveri ambulanti, in groppa alla bicicletta oppure su rudimentali carretti, di solito stancamente trainati da un asinello, i quali solevano dare avviso del loro passaggio ai poveri residenti arringandoli con il grido «capiddri e pezze!».
Un richiamo effettuato semplicemente a viva voce, sembra ombra di strumenti di amplificazione.
Tali «operatori» commerciali proponevano alla gente di ritirare i ciuffetti di lunghi capelli frutto della auto pettinatura delle donne che, ricordo, venivano custoditi dietro qualche sassolino dei muretti a secco attigui alle abitazioni, oppure stoffette o parti non più utilizzate di tessuti o indumenti di lana (prodotti che, attraverso intermediari, erano poi conferiti a fabbricanti di parrucche o ai cenciaioli della zona di Prato), offrendo, in contropartita, qualcosa a scelta fra pettini, pettinini, aghi, spagnolette di cotone, fermacapelli.
Non c’è che dire, magri, anzi magrissimi affari, nella formula più antica e primordiale del baratto. Eppure, nel contesto di un’indigenza assai diffusa, sebbene non proprio nera, l’utenza non mancava.
Il giorno d’oggi, segnato da un nuovo secolo e insieme da un nuovo millennio, pur con schemi radicalmente mutati, v’è sempre chi acquista e chi vende.
Capita invero di osservare, grazie fra l’altro al veicolo della promozione pubblicitaria (certamente non lo stesso sgangherato carretto degli ambulanti rievocato prima) o a robe similari, soprattutto la grande proliferazione dei venditori. E, fra essi, dei «venditori di pezze». E, per essere ancora più precisi, dei «venditori di pezze a colore».
Tanto, da dover costantemente tenere gli occhi ben aperti.