di Massimo Negro
Bastano pochi passi lungo il sentiero sterrato, che il suono ritmato dai miei passi sul terriccio mi fa quasi subito dimenticare il rumore invadente dell’auto lasciata poco distante e l’anonimo asfalto. Un alto muro di recinzione con mattoni uniti da antica malta, muretti a secco dalle dimensioni e altezze ben oltre la mia, ripari abbandonati immersi in un verde della campagna che piacevolmente occupa sempre più la vista man mano che procedo lungo il sentiero che, in alcuni punti, pare intagliato nella roccia.
Le lievi sinuosità del sentiero e gli alti muretti a secco trattengono il mistero e solo nell’approssimarsi della meta iniziano ad apparire tra le fronde degli alberi le alte mura dell’antico Casale di Fulcignano. Si svelano lentamente, e chi ci arriva per la prima volta deve quasi attendere di essere dinanzi alla cancellata d’ingresso per capire appieno la maestosità dell’antico complesso fortificato.
Il tragitto lungo il sentiero è breve ma, se ben predisposti nell’animo e messa da parte la nostra ordinaria frenesia, è sufficiente per fungere quasi da macchina del tempo. Per iniziare lentamente a proiettarci in una dimensione temporale che non è la nostra, ma i cui echi agli orecchi attenti fa ancora sentire il suo richiamo.
Il Castello di Fulcignano, quello che rimane dell’antico Casale che occupava quella zona, non è la solita struttura fortificata a cui siamo abituati visitando i castelli di Otranto, Copertino, Gallipoli, Acaya e Lecce. Non mi riferisco alle caratteristiche architetturali e strutturali di questi siti, comunque profondamente diverse, quanto al fatto che queste strutture, parte integrante del nucleo urbano storico di queste cittadine, sono ormai inglobate nel centro abitato. Circondati da strade, da case, spesso da esercizi commerciali. Non è così per Fulcignano che resta immerso, forse casualmente risparmiato dalla speculazione edilizia, nella campagna a ridosso della periferia di Galatone. Fortunatamente le case presenti nell’intorno non rompono questa atmosfera di magia che vi sto raccontando, grazie forse anche a questi sentieri sterrati e ai maestosi muretti a secco da ammirare, che stanno diventando sempre più una rarità nel nostro Salento.
Ed è la storia a rispondere alle nostre domande. Il sito dell’antico Casale di Fulcignano con il suo castello non è quello che poi sarebbe diventata l’attuale Galatone, con il suo centro storico e le bellissime chiese barocche erette a poca distanza.
Antonio De Ferrariis nel suo “Liber de Situ Japygiae” scritto nei primi del XVI secolo, riporta quanto segue:
“… Ricordo di aver sentito riferire da alcuni vecchi sacerdoti greci … che i Galatonesi avessero avuto origine dai Tessali … Ora, per un gioco della fortuna, è tornata sotto il potere dei Tessali. Infatti Giovanni Castriota, duca di Ferrandina… è un macedone, originario di una località non distante da Calatana e Filace [Phylace], città della Tessaglia.
Galatone nei tempi antichi racchiudeva nel perimetro urbano sia l’altura che la vallata. L’acropoli era detta “sentinella”, e fu così chiamata dall’omonima città tessala, come ascoltai dire dagli anziani [il Galateo si riferisce al nome della località di Phylace]. I Latini, avendo cambiato come al solito y in u, pronunziarono Fulaciano ossia Fulciliano. Questa era posta sul colle, nel piano invece Galatone. Da un’unica città sorsero due insediamenti distanti tra loro neppure cinquecento passi. Fulaciano conservò sempre la lingua greca, Galatone invece adottò la latina.
Sorti dei contrasti tra i due centri abitati dalla stessa gente, come frequentemente suole accadere tra vicini, si venne alle armi. Galatone sconfisse Fulaciano e la rase al suolo. Quasi tutti gli abitanti trasmigarono a Galatone; pochi, per l’oltraggio subito, trovarono rifugio nelle città vicine e smisero di servirsi delle consuetudini, delle fogge dei vestiti e della lingua greca, ma non dimenticarono la loro originaria etnia”.
Poco più avanti il Galateo torna a descrivere il sito:
“Galatone è ubicata alle pendici della collina, la sua acropoli, che abbiam detto chiamarsi Filace, è posta sul colle. Qui l’aria è salubre e tiepida, i venti giovevoli e dolci, i campi soleggiati: è un’eterna primavera con la terra coperta di fiori e profumata di erbe …”
Nella seconda metà dell’ottocento, Cosimo De Giorgi nel suo libro “La Provincia di Lecce. Bozzetti”, nel riprendere quanto scritto dal Galateo, fa un breve ma efficace descrizione del sito:
“Oggi non resta che il solo castello, e dista da Galatone circa ottocento metri in linea retta al S.E. dell’abitato. Nell’interno è di forma rettangolare; all’esterno gli spigoli volti al N.O. sono rinforzati da torrette quadre, mentre gli opposti che guardano la collina ne mancano affatto. Bella è la porta d’ingresso ed il vestibolo … L’arco è gotico, ed è decorato da un fregio delicato scolpito sulla pietra leccese e in parte cariato. Restano ancora poche stanze nell’interno e da una scala, che sembra quella descritta dall’Alighieri fra Lerici e Turbia, si monta sulle mura che hanno circa due metri di grossezza. Osservate che bel panorama!
… Il fossato che lo cingeva è stato colmato, e la carie, corrodendo le pareti esterne delle sue mura, lascia credere sia stato prodotto da proiettili nemici ciò che è lavoro di mamma natura.”
Riguardo le origini del castello, dell’antico casale e la loro storia, la documentazione a disposizione è molto scarna, né ad oggi sono mai state condotte ispezioni e ricerche archeologiche tali da avvalorare quanto ci racconta il Galateo nel suo libro. Ipotizzare un’origine greca del sito, ritengo che non ci porterebbe molto lontano dalla realtà, alla luce del fatto che molti casali sorsero intorno a preesistenti siti bizantini (nell’area è stata rinvenuta una moneta dell’imperatore Basilio I). Né d’altro canto, sono ad oggi note informazioni che possano connettere la storia di questo sito con la popolazione Messapica. Ma alle luce del precario quadro documentale e archeologico ad oggi disponibile, qualora dovessero essere avviate serie e strutturate indagini del sito, altre e importanti informazioni verrebbero sicuramente alla luce.
Le prime notizie documentate risalgono al XII secolo. Durante una visita pastorale tenutasi nel 1719, il Vescovo di Nardò Antonio Sanfelice fece riportare l’esistenza di un’epigrafe scritta in greco e in latino che descrive Fulcignano come un centro di passaggio di carovane e pellegrini: “theodorus protopas famulus sanctae dei genitricis hospitium construxit anno 6657”, che corrispondente al 1149 del calendario cristiano.
Altre notizie, sempre dello stesso periodo, riportano i nomi di alcuni signori e possessori di Fulcignano. Nel 1192 un certo milite, Maurizio Falcone, e poi successivamente un Aymarus di Guarnierius Alemannus possessore di Zurfiniani.
E’ presumibile che il Casale di Fulcignano continuò la sua crescita dimensionale nei successivi due secoli, tra il XIII e il XIV secolo, sino a quella che il Galateo descrive come una sorta di guerra con la vicina Galatone, che portò alla distruzione del casale. Il Chronicon Neretinum fa riferimento a questa contesa, datandola nel 1335.
Nel 1412 gli abitanti del Casale non dovevano essere più di 170 e appena trent’anni dopo un focolario aragonese non ne conta più di una trentina.
Da quel nefasto evento, quel che rimaneva del Casale e il suo Castello, passarono di mano in mano a diverse nobili famiglie, tra i primi Giovanni Del Balzo Orsini che lo ricevette come donazione nel 1426 dalla Regina Giovanna II. La sconfitta di Fulcignano nel 1135 e alcune successive contese che interessarono alcune zone del Salento, tra cui presumibilmente anche questa, portarono al suo definitivo declino e al suo progressivo abbandono.
Avviciniamoci al castello percorrendo un breve sentiero che dall’attuale cancellata di ingresso del sito porta verso l’antico portale ‘ingresso. Dell’antico fossato rimane solo traccia in un lungo ed ampio avvallamento posto ad una decina di metri dal castello. Questo lascia supporre che l’eventuale ponte levatoio non fosse parte integrante del Castello, ma posto in una struttura prospiciente il prospetto d’ingresso.
Secondo Paul Arthur, professore di Archeologia Medievale presso l’Università del Salento, “la forma planimetrica, e i dettagli architettonici, suggeriscono che l’edificio non sia anteriore all’età sveva, quando una serie di fortificazioni in Italia, note specialmente attraverso i castelli in Sicilia, risentono di influssi architettonici orientali trasmessi dalle Crociate. La forma quasi quadrata, con quattro torri angolari (le due posteriori scomparse: una circolare, l’altra forse circolare in una prima fase e quadrata in una seconda), trova confronti nell’architettura castellare islamica, che sembra aver, a sua volta, mantenuto vivo le tradizioni tardo romane di architettura castrense.”
Per il professor Arthur, il Castello di Fulcignano rappresenta una delle testimonianze più singolari del Medioevo salentino, in particolare per la sua forma localmente inconsueta (da altri studiosi definita come “castello-recinto”), tanto da poterlo ritenere una delle fortificazioni medievali più antiche sopravvissute nella provincia.
Ponendosi immediatamente sotto le mura e guardando in alto, non si può non notare la maestosità del complesso. La forma della cinta muraria è quadrangolare con i lati che presentano una lunghezza variabile che va dai 75 metri (torri comprese) del lato d’ingresso, ai 49 metri del lato più corto. L’altezza delle mura è di circa 8 metri con uno spessore di circa 2,6 metri. Le due torri angolari rimaste ancora in piedi, hanno i lati che presentano misure variabili tra gli 8,40 e i7,55 metri.
Il portale d’ingresso è quello ottimamente descritto dal De Giorgi, anche se, rispetto alla struttura originaria, sono evidenti dei successivi rimaneggiamenti come il camino ricavato nella muraglia all’esterno dell’entrata.
Il primo vano dopo l’ingresso è caratterizzato da una volta a crociera a sesto acuto con interessanti decorazioni, un sedile in muratura lungo il lato destro e un camino. L’accesso al giardino è stato modificato e, guardando dall’esterno è chiaramente visibile la forma originaria ad arco, poi successivamente tamponato in mattoni per ricavare l’attuale porta. Dal vano d’ingresso si accede, sulla destra a due vani con volta a botte, oggi abbondantemente deturpati da scritte in vernice o a penna.
Dal secondo vano, da una porticina sia accede ad un terzo locale privo di pavimentazione caratterizzato, da diversi elementi architettonici che meritano una breve descrizione.
Al centro del locale vi sono i resti di un antico ed ampio camino oggi ormai completamente distrutto. A sinistra del camino, da un’apertura con arco a sesto acuto, parte quel che resta di una scala circolare che conduceva su una delle torri di difesa. Oggi è solo percorribile in parte e bisogna stare attenti ai detriti e mattoni crollati. Mentre a destra parte una scala che conduce sul tetto dei locali in precedenza attraversati, da cui è possibile ammirare l’interno del complesso fortificato e il profilo della città di Galatone. La vista di oggi è indubbiamente ben diversa rispetto a quella che fece esclamare al De Giorgi: “Osservate che bel panorama!”.
Il panorama non è lo stesso, ma in compenso ci si può arrischiare a compiere qualche passo sulla sommità delle mura.
Le caratteristiche del terzo vano visitato sono ben diverse rispetto ai primi due vani attraversati tanto da farmi sorgere qualche dubbio sui tempi di realizzazione di questi locali, che appaiono costruiti solo in tempi successivi.
Questo terzo vano ha un porticina che conduce all’esterno verso il giardino. Percorrendo un piccolo vialetto il cui piano di calpestio è di circa un metro più in basso rispetto al piano del giardino, si ritorna verso il corpo centrale del Castello. A sinistra si notano tracce di locali ormai crollati, con la sezione iniziale di un arco in pietra ancora ben visibile e altre decorazioni in pietra sulla facciata dell’unico locale non crollato presente su quel lato del complesso. Molto probabilmente, si tratta di locali già da tempo non più utilizzati, per lo meno a fini abitativi, perché non vi è un accesso diretto dal vano d’ingresso, né in quella sezione mi conduce il vialetto del giardino.
Continuando a seguire il perimetro interno delle mura, la torre posta a sinistra dell’ingresso nasconde al suo interno un incredibile sorpresa. Occorre fare un piccolo sforzo per arrampicarsi ed accedere dall’apertura ad arco a sesto acuto che conduce all’interno. Proseguendo mantenendosi sul lato sinistro, con molta attenzione, si può nuovamente arrivare, grazie ai resti di un antico passaggio in pietra arricchito con semplici decori, sulla sommità delle mura. A destra invece vi è un’ampia apertura che si affaccia all’interno della torre che si presenta cava all’interno.
Tornato nel giardino e proseguendo lungo il lato sinistro, è possibile notare una evidente particolarità nella struttura delle mura, non visibile dall’esterno. Sino all’altezza di circa cinque metri la muratura è a pietre informi ed opera incerta, salvo diventare ben rifinita nella restante parte superiore dove sono ben visibili numerose buche per quasi tutta la lunghezza della muratura. Non si tratta di ripari per piccioni, sono delle “buche pontaie”, ossia dei fori nella muratura usati solitamente per conficcare i pali delle impalcature necessarie per completare le costruzioni particolarmente alte, per poi essere successivamente sfilate a lavoro ultimato. Ma a volte venivano usate, in modo definitivo, come base per realizzare dei ballatoi esterni. Vi è anche l’ipotesi che potessero accogliere delle travi di copertura di alloggiamenti realizzati in legno. Solo studi approfonditi e verifiche anche alla base delle mura potranno svelare l’effettivo utilizzo che venne fatto di queste buche e cosa vi fosse intorno al perimetro interno delle mura. Vi è comunque da tener presente che lungo l’esterno delle mura vi sono lunghe file di buche pontaie, e queste sono sicuramente state utilizzate per elevare l’altezza delle mura.
Concludendo il cammino lungo il lato sinistro della cinta muraria, nella parte finale si aprono due ampie nicchie ad arco, sotto una delle quali passa un lungo canale di scolo che, partendo da una sorta di pozzo-cisterna porta verso il vicino tracciato ferroviario, e i resti della solita apertura che doveva condurre sulla torre ormai distrutta. L’utilizzo di queste nicchie è alquanto oscuro e potrebbero lasciar pensare ad un nucleo di strutture in muratura andato poi successivamente incluso nelle mura.
Il lato che corre parallelo al lato d’ingresso presenta indicativamente le stesse caratteristiche del tratto appena percorso. Nel giungere al luogo dove una volta doveva sorgere la quarta torre, si possono notare tra i rami dei melograni, i resti dell’antico ballatoio in muratura che doveva condurre sulle mura.
Ma prima di concludere, non si può non raccontare la leggenda del luogo. Come tradizione vuole, ogni castello che si rispetti ha il suo fantasma. E il nascere di queste credenze, di queste leggende, è molto spesso legato a storie, difficili da dimostrare nella loro veridicità, molto spesso drammatiche se non proprio cruente, come quella che vi andrò a raccontare. La leggenda racconta che durante un assedio che si stava protraendo da lungo tempo, senza che gli aggressori ne venissero a capo, costoro con un colpo di mano riuscirono a rapire il figlioletto del feudatario del tempo per fiaccarne le difese. Il fanciullo fece un orribile fine: venne ucciso e, una volta squartato, le sue membra vennero appese ad un carrubo affinché i poveri resti fossero visibili dall’interno del castello. Quando all’indomani la madre si trovò dinanzi allo scempio fatto al corpo del figlio, impazzi per il dolore e invocò il diavolo affinché custodisse il tesoro del castello. Chi voleva impadronirsi delle ricchezze avrebbe dovuto portare un bimbo in dono a Satana. Il tempo che il demonio avesse impiegato per divorare il bimbo, sarebbe stato il tempo concesso per trovare il tesoro.
Si racconta che un uomo tentò nell’impresa ma con l’inganno, camuffando da bambino un gatto. Purtroppo per lui il gatto si mise a miagolare e i suoi versi mandarono a monte l’impresa. Il diavolo resosi conto del raggiro scatenò una tremenda tempesta facendo fuggire a gambe levate il malcapitato imprudente. Da allora nessuno provò più a cercare il tesoro del castello che rimase e rimane così protetto e guardato a vista dal diavolo. C’è poi chi racconta che in alcune notti è possibile udire ancora le grida e i lamenti della povera madre privata crudelmente della vita del suo figlioletto. Una storia molto triste, come lo sono buona parte delle storie di fantasmi.
Lasciato l’interno del Castello, mi sono incamminato verso sinistra costeggiando i resti del fossato e poi le mura seguendole per l’intero perimetro, con lo sguardo costantemente rivolto verso l’alto per abbracciarle in tutta la loro altezza. Una meraviglia!
Il sito, che era già stato dichiarato monumento nazionale con D.M. 6/11/1967, è divenuto di proprietà comunale nel 2011 dopo una lunga e veemente protesta civile da parte di molti abitanti di Galatone e non solo. Ma molto resta ancora da fare.
Fulcignano è come un forziere di un tesoro ancora non aperto. Un tesoro vero, non come quello della leggenda, che appartiene non solo a Galatone ma a tutti quanti noi Salentini, e per questo è necessario uno sforzo collettivo, da parte degli Enti, Università, Associazioni e liberi cittadini, volto a tutelate non solo il Castello ma anche l’area circostante per consentire di mantenere questa sorta di unicità anche nel paesaggio che lo caratterizza.
Speriamo di non dover attendere a lungo!
di Massimo Negro
PS: vi segnalo questo video realizzato (il 31.12.2009) con foto del luogo durante il periodo in cui montava la protesta per chiedere al Comune di Galatone l’acquisto del luogo; video che venne segnalato anche in un articolo de “Il Quotidiano” dal corrispondente locale.
http://www.youtube.com/watch?v=HAlLrcnI5YY
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bellissimo e interessante articolo, complimenti, ho imparato un sacco di cose che prima ignoravo. grazie
Grazie Francesco per il tempo che mi hai dedicato
UN TESORO CHE CON L’ANDARE DEL TEMPO NON RIMARA’ PIU’ NIENTE,PECCATO CHE NON VENGA RECUPERATO,