di Michele Stursi
Pindinguli, Zaranguli e Scisciariculi è il titolo della raccolta di poesie postuma di Uccio Giannini, edita da Edit Santoro, curata dal professor Gianluca Virgilio e fortemente voluta da famigliari e amici dell’autore, scomparso il 4 dicembre del 2010 all’età di ottantadue anni. Un profano della lingua dialettale leccese caduta in disuso, come il sottoscritto, si chiederebbe: ce suntu ‘sti Pindinguli, Zaranguli e Scisciariculi?
A tal proposito viene fortunatamente in nostro aiuto la nota introduttiva di Virgilio: credo che dal significato dei titoli che Giannini volle dare alle sue poesie – afferma il curatore della raccolta – emerga chiaramente la volontà del poeta di presentare il suo lavoro in modo semplice e dismesso, come un corpus di composizioni di poco conto e senza valore.
Di sicuro, a un qualunque sprovveduto che la sera del 28 dicembre si fosse trovato a passare dal museo “Cavoti”, affacciandosi sull’uscio della sala, gremita per l’occasione, dove abitualmente si tengono quest’anno le lezioni dell’Università Popolare “A. Vallone”, a un qualunque sprovveduto, dicevamo, non sarebbe mai passato per la testa che si stesse lì presentando una raccolta di poesie. Difatti, è difficile rimanere seduti, composti e seri, ascoltando le poesie di Giannini, per niente facile ascoltare in silenzio, senza commentare sul momento con il vicino i versi del poeta, costruiti con arguzia, con cura e dimestichezza. In un crescendo armonico di attese e mistero, come un tamburo che batte nel petto, i più sfociano in un’interminabile risata, altri lasciano un amaro in bocca impossibile da ignorare, che si mimetizza in un brusio di approvazione. Così, sentendo recitare le poesie di Giannini dalla voce espressiva e carismatica di Gregorio Caputo, l’ascoltatore come un blocco di pietra si lascia scalfire dalla fluidità del verso dialettale, dalla semplicità apparente dell’argomento, per poi all’improvviso ritrovarsi, in quell’attimo di silenzio che involontariamente si crea tra una poesia e l’altra, modellato dal poeta.
Pindinguli, Zaranguli e Scisciariculi, dice Virgilio, è un abbassamento retorico del valore dell’opera, che ne facilita l’approccio da parte del lettore. Aggiungerei che nella trappola dell’“abbassamento retorico” messa in atto dal Giannini, alla fine ci cascano tutti, inevitabilmente, e tutti ne vengono fuori non istupiditi e vuoti, ma arricchiti e dubbiosi. Le poesie del matematico Giannini (ha conseguito infatti la laurea in Matematica e Fisica e ha insegnato matematica presso le scuole superiori), coprendo un arco di tempo che va dal 1979 al 2002, hanno la capacità non solo di intrattenere e divertire, ma anche di interrogare e istruire, facendosi portavoce di un passaggio epocale che ha visto il mondo contadino prepotentemente rimpiazzato dalla società industrializzata. Si avverte quindi in alcune composizioni poetiche, come riporta Gianluca Virgilio nell’introduzione, quel senso di nostalgia, sempre ben controllato, quella considerazione piuttosto dolente del progresso, che ha portato con sé la fine dei valori, ma emerge allo stesso tempo l’esigenza di scrivere innanzitutto per se stessi, per mettere a tacere quel brusio fastidioso che ci perseguita ovunque, dandogli una veste umoristica, come nel caso di Giannini, e condividendolo con gli altri. Ecco, quindi, che la poesia di Uccio Giannini si fa espressione di un modo alternativo di affrontare la realtà.