di Ennio Bonea
Ho avuto sotto gli occhi per molto tempo il bel libro della Verdesca Zain, perché una lettura veloce non mi è stata possibile chiarisco il perché. E’ un testo di demologia che illustra tradizioni, leggende, costumi, formulari per comportamenti e rituali, proverbi su cui poggia la filosofia degli incolti contadini, culti magico-religiosi, modi di dire che accompagnano comportamenti o atteggiamenti in particolari situazioni, con uso del dialetto.
La studiosa lo ha scrupolosamente riportato, il dialetto intendo, nella varietà salentino-copertinese, di seguito tradotto in lingua. La mia dimestichezza col dialetto è empirica non essendo cresciuto nel Salento, ma di grande mio gradimento e perciò ho sostato sulle citazioni dialettali densamente presenti, non tanto per l’intendimento, quanto per darmi chiarimenti e per rilevare differenze o varianti col dialetto leccese-salentino da me maggiormente praticato. La cosa ha rallentato la lettura, ma mi ha fatto gustare di più un libro che all’interesse vivo per l’argomento, a volte completamente sconosciuto e incredibilmente nuovo, ha connesso il pregio della narratività, con uno stile agile, piacevole, con qualche vezzo di pregio accademico ma non stucchevole.
Senza piaggeria, ho provato il piacere di lettura, a diversa intensità di proporzione, che ebbi dalle pagine di quel magnifico romanzo della mitologia che è Le nozze di Cadmo e Armonia (1988) di Roberto Calasso.
L’idea del libro non è nata per improvvisa ispirazione; il libro, meglio l’idea del libro, l’autrice l’ha portata con sé, anche inconsciamente, quando, come tanti salentini hanno fatto nel passato, contadini, intellettuali, medio e alto borghesi, è andata via dal Salento. Poi l’ha partorita, dopo la lunga gestazione della lontananza, al suo rientro a Copertino; è lei stessa a chiarirne la genesi.
Constatata la profonda mutazione dei costumi e dei comportamenti, l’affievolirsi del dialetto, sia per un rifiuto sociale che per la massificazione linguistica operata dalla televisione, la scomparsa, per smembramento, delle tradizioni, è riandata, con la memoria alla sua fanciullezza copertinese, ma respingendo la nostalgia; ha cercato di dare a sé stessa ed ai suoi corregionali una traccia che sollecitasse la memoria negli anziani e la curiosità storica nei più giovani che considerano mitici, o mortificanti, i tempi di ieri, come se fossero, per dirla coi… trapassati, a mmanu a Ccaùbbe (ai tempi di Giacobbe).
Giulietta, bambina, rammenta che il bisnonno, Giuseppe Verdesca Zain, morto quasi centenario nel 1935, aveva l’abitudine di radunare intorno a sé, ogni pomeriggio a giornata lavorativa terminata, i coloni di lungo rapporto coi quali discorreva del presente e molto più del passato, per ricordare personaggi, fatti, episodi, dicerie che erano la cronaca del paese.
Tornata a Copertino, l’autrice ha ricercato non certo i vecchi conversatori dei pomeriggi da fanciulla, ma i ragazzi della sua età di allora o più grandi, coi quali ha ripercorso la memoria di riti, culti, preghiere, devozioni e relativi detti o formule di magia o di esorcismo, relativi ai tre santi che, al di là del santo protettore che a tutta la comunità paesana provvede con la sua protezione, avevano specifiche mansioni di tutela in determinati settori: san Paolo, san Vito e san Cristoforo.
Con una ventina di campagnoli copertinesi ha conversato la bisnipote, tutti indicati nominativamente, quasi fossero documenti tratti dall’archivio della memoria, i più… giovani tra i viventi, sono nati tra il ’20 e il ’31, tra gli scomparsi, non da molto tempo, c’è chi è nato nel 1885.
Da quanto ho premesso, si ricava che il libro della Livraghi Verdesca Zain trova il nucleo della sua ricerca in una espressione tra le più interessanti del mondo contadino: la scola ti li ttre pputiénti (la scuola dei tre potenti) che erano (e in un certo senso, almeno per i più anziani copertinesi, sono) S. Paolo che ha i suoi discepoli definiti li carmàti (gli incantati); S. Vito i cui seguaci sono chiamati li mànure ti santu Itu (le mani di S. Vito); S. Cristoforo che aveva li fronne ti santu Cristòfuru (le fronde di S. Cristoforo).
Ogni santo aveva una particolare area di intervento taumaturgico che poteva variare a seconda delle credenze poggiate essenzialmente, né poteva essere diversamente in una comunità di incolti, su convenzioni e convinzioni magiche, in una commistione di sacro e profano, con pratiche di vera e propria magia, condannate dalla chiesa, ma seguite dai contadini come un’osservanza sacra e di una scola con insegnamenti trasmessi oralmente, nel formulario che l’autrice riporta nelle espressioni più suggestive, e nel realismo di una liturgia profana e pagana, ma osservata con cieca devozione.
S. Paolo, che a Galatina rasserenava le tarantate, a Copertino era il santo che direttamente e attraverso li carmàti, proteggeva i lavoratori dei campi, gli zappatori, i potatori e rimondatori (mmunnatùri, scaddhratùri, nnascatùri), dai morsi della tìpara (vipera) e della sacàra (serpe velenoso) e le donne che, era credenza generale, di notte potevano essere svuotate del latte delle poppe, succhiato dal serpe che acquietava il poppante con la sua coda.
San Vito, venuto dal Nord Europa in ritardo rispetto a S. Paolo, che a Galatina curava le tarantate col ballo tipico compito di S. Vito, a Copertino era il santo protettore delle bestie, in particolare asine (più pudiche per i contadini) e cavalli e muli; ma soprattutto curatore, attraverso li mànure, dell’idrofobia, cacciando, in gran segreto, gli spiriti maligni. Li fronne di S. Cristoforo sono “figure fascinose ormai da più decenni scomparse”, santoni che coi loro riti aiutavano le piante e assistevano Santu Foffu, protettore contro le alluvioni, ma nello stesso tempo intercessore presso Dio nei casi di siccità; ma proprio per questo, incredibile e inconcepibile competizione con S. Giuseppe!
Il libro non può essere riversato in contenuti recensori, tanto è ricco di elementi non riducibili; ma si raccomanda alla lettura per la sua godibilità e la ricchezza di dati folclorici originali al punto che anche il Dizionario dei proverbi di N. De Donno avrebbe trovato ulteriore alimento ai sedicimila e passa proverbi da lui registrati.
Ennio Bonea: Giulietta Livraghi Verdesca Zain, Tre santi e una campagna. Culti magico-religiosi nel Salento fine Ottocento, Laterza, Bari, 1994, pp. XII-388
(Questa recensione di Ennio Bonea è tratta dal quotidiano: QUOTIDIANO del 15 aprile 1995)