Il Tg1 di ieri, 13 gennaio 2012, ha dichiarato:
Sicurezza alimentare. A Perugia sequestrate 120 tonnellate di legumi
I Carabinieri dei Nas del capoluogo umbro hanno sequestrato enormi quantità di legumi tra ceci lenticchie e fagioli con false denominazionmi di origine e potenzialmente pericolosi per la salute (http://www.tg1.rai.it/dl/tg1/2010/articoli/ContentItem-b52708b2-e4ea-499b-a20f-32752d4e7603.html?refresh_ce)
Inevitabile il richiamo a quanto abbiamo già pubblicato l’estate scorsa su queste pagine e che volentieri ci piace rieditare:
di Marcello Gaballo e Armando Polito
I nessi tracciabilità dei flussi finanziari e filiera agroalimentare sono entrati nel vocabolario corrente a garantire rispettivamente l’equità fiscale e la qualità alimentare. Evitiamo di esprimere i nostri commenti sull’efficacia delle relative disposizioni e ci limitiamo a documentare, solo relativamente al secondo, un fenomeno ormai dilagante, grazie anche alla globalizzazione dai più intesa come un fenomeno contro cui nulla possono le specificità territoriali, come se i prodotti che ci invadono venissero da Marte… Che tutto questo, poi, sia figlio del profitto ad ogni costo (con pesanti tributi anche di carattere sanitario) tutti lo sanno ma nessuno muove un dito per invertire, finché si è in tempo, la rotta.
Quanta nostalgia e, soprattutto, inquietudine suscitano le immagini a corredo (riprese tutte in un unico punto vendita salentino) in chi, come noi, ha fatto in tempo a vedere la putichèddha (botteguccia) dove, fra l’altro, venivano venduti sfusi i prodotti alimentari qui contemplati, allora di produzione locale e collocati nei loro bravi cassetti mentre nell’ultimo visitato, in attesa di servire il prossimo cliente, occhieggiava la sèssula, lo strumento simile a una ciabatta dai bordi rialzati e con la punta aperta, con la quale si travasava parte del contenuto del cassetto nel sacchetto destinato al cliente! Sèssula ha la stessa etimologia dell’italiano secchia, è, cioè, dall’arabo satl=secchio per attingere, a sua volta dal latino sìtula(m)=secchio, brocca.
E oggi? Per quanto riguarda le località di produzione, a Nardò, Galatone, Galatina (in passato i centri di eccellenza della produzione agroalimentare) sono subentrate generiche diciture come “MESSICO”, “CANADA”, “USA”, “LIBANO”, “EGITTO”, “MAROCCO”, “CILE”, “IRAN”, “CALIFORNIA”, “UCRAINA” e l’immancabile “CINA”.
È questa la tracciabilità o essa è un obbligo solo per i nostri prodotti?. C’è da riconoscere, però, che l’igiene, a differenza della vendita sfusa di un tempo, è garantita dalla confezione a prova di esplosione nucleare per le cui specifiche (nonché per quelle relative alla pezzatura del contenuto…) fior di burocrati hanno passato per il nostro bene notti insonni validamente coadiuvati da consulenti ed esperti vari, tutti profumatamente remunerati per la loro geniale attività. Se poi uno non si ammala di tifo come un tempo ma di cancro a causa delle radiazioni cui gli alimenti potrebbero essere stati sottoposti, cosa volete che sia?
Che strano! Parliamo di cibo e finora la parola sapore non è stata pronunziata. La colpa non è nostra; per farci, comunque, perdonare, diamo un consiglio: lasciate perdere i ceci messicani o i fagioli canadesi (tanto per citarne solo due) e pure quelli, se li trovate, di produzione locale (probabilmente i semi usati sono gli stessi, magari geneticamente modificati, usati all’estero); gettatevi a corpo morto sui lampascioni, non quelli marocchini, ma su quelli che ancora oggi qualche contadino estrae, ma non pretendete che vi esibisca il numero di lotto e qualche altra indicazione numerica e non. Se poi sarete stati voi a cavarli da un campo possibilmente incolto da tempo li sentirete ancor più saporiti…
No comment! :(
[…] http://spigolaturesalentine.wordpress.com/2011/03/04/il-sapore-del-tempo-e-un-tempo-senza-sapore/ […]
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Usare un po’ di fantasia sarebbe un gran beneficio nella vita, ma anche i ricordi e un po’ di sana immaginazione non sono male. I legumi, ingredienti fondamentali della nostra secolare dieta mediterranea, mi fanno pensare a mia nonna ‘Sina e non al viso di un povero messicano, o chi per lui, sfruttato per accontentare la produzione per esportazione ‘globale’. E il viso di mia nonna era dolce quando ci dava in premio una manciata di ceci tostati da mangiare come stuzzichino, e vi assicuro, era molto meglio delle patatine fritte! Mio padre si faceva giri ‘pindarici’ delle campagne per trovare i produttori locali di qualsiasi frutto di buon livello nutrizionale e avere così la soddisfazione di vedere la terra che aveva dato i natali a ciò che sarebbe bollito da lì a poco nella sua pentola, oltre che nel suo orgoglio di padre. Oggi questa è una soddisfazione che pochi possono prendersi ormai, e forse una parte di quei pochi la assapora solo perchè è un eccellente utilizzatore di fantasia!!!