di Rocco Boccadamo
Introdotto da una piacevole sveglia, grazie anche al bellissimo sole che accarezza la temperatura frizzante, l’esordio del nuovo anno fa fortuitamente segnare l’incontro con una compaesana, figura assai familiare e presente nelle antiche stagioni comuni, la quale, ormai da lungo tempo, vive nel capoluogo e, beata lei, ha superato i 90.
Due figli grandi, sistemati con propri nuclei familiari e, a quanto da lei confidato, una nipote già laureata e che s’accinge a convolare a nozze.
Discendente da un casato abbiente del natio paesello, il suo nome di battesimo, Virginia, sin dai primi vagiti, si è trasformato nel vezzeggiativo Lavinia, donna Vinia per tutti i concittadini, almeno per quelli di una volta.
Da quando ci siamo ritrovati a Lecce, detta donna, ad ogni incontro, dimostra ed elargisce un tratto di spiccata cordialità e un notevole senso di affabilità, comportamento, forse, ispirato dalle identiche radici di territorio e dai non pochi, reciproci ricordi.
Nell’occasione, la predetta amica, immediatamente dopo lo scambio degli auguri, mi chiede se sono a conoscenza di un episodio non buono avvenuto qualche giorno prima nei pressi di Marittima, per la precisione ad Andrano, ossia a dire del tragico incidente stradale occorso ad un pescatore del posto, appena andato in pensione.
Si chiamava Rocco, il povero malcapitato, proveniente con la sua motoretta da una strada di campagna, rimasto a terra esanime; a lungo, aveva atteso al lavoro in mare, insieme a un fratello e allo stesso padre, Mesciu Carmine, con il loro gozzo in legno ormeggiato nel porticciolo andranese.
Lavinia ha ragione a rievocare l’evento in discorso, per un motivo preciso: la casetta della famiglia di pescatori confinava, e tuttora confina, con il villino fino a poco tempo fa da lei posseduto in zona Arenosa, sormontante, giustappunto, il minuscolo approdo e, di conseguenza, almeno in passato, esistevano rapporti stretti, cordiali e amichevoli, da buoni vicini, peraltro non cancellati dall’avanzare dell’età e dalla distanza.
Precisa, Lavinia, che, durante le sue vacanze e il soggiorno col marito e i figli lì al casino dell’Arenosa, succedeva spesso che i confinanti le passassero in omaggio piccoli quantitativi di pesce da loro pescato, di quello utilizzato per la tavola di famiglia, talora ancora guizzante e freschissimo, allora allora portato a casa dalla barca, oppure già cucinato, ed era sempre e in ogni caso un dono molto gradito, apprezzato ben al di là del controvalore venale.
A un certo punto, Lavinia, ai complimenti, miei e di mia moglie, per il bellissimo traguardo dei suoi 90 anni, raggiunto la scorsa estate, sembra quasi sbottare in un piccolo cruccio, lei pur così tranquilla, aggiustata, sempre compita, sistemata e graziosamente abbigliata. Dice: “Sapete, mi dispiace proprio di essere arrivata ai novanta”. E noi a obiettare: “Dai, anzi dovresti essere felice”. E ancora lei: “No, pur essendo consapevole che tanti ne sono passati e ne ho vissuto, ora mi duole che, davanti a me, non ne rimangono molti, ciò mi dispiace vivamente, rinuncerei volentieri ad una decina delle primavere che ho addosso”.
Noi sorridiamo, continuiamo a sostenerla, osservando che, la sua, è un’autentica eccezione, un esempio di buona salute, di autonomia e, infine, le auguriamo, così come fai lei al nostro indirizzo, un ottimo 2012.
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La giornata dell’1, sia a Lecce, sia alle marine di Castro e Marittima, si snoda alla stregua di un incanto, aria moderatamente fredda e tuttavia gradevole, in cielo nemmeno una nube; prima del tramonto, dal balcone del condominio, si registra addirittura uno spettacolo eccezionale, in lontananza si gode la distesa della campagna con l’orizzonte terso e una visibilità di diverse decine di chilometri, le sommità degli edifici cittadini più alti paiono sorridere, grazie alla fascia dei loro perimetri esposta verso ovest indorata dai raggi del sole che si avvia a concludere il suo arco.
Davvero molto bello, dunque, almeno in queste plaghe, l’inizio del 2012 sotto il profilo climatico.
Sennonché, ahinoi, la realtà non poggia soltanto su cielo sereno, visibilità nitida, orizzonti e panorami ameni, nel concreto è quella che sentiamo ogni giorno in televisione, che apprendiamo leggendo i giornali, quella di cui parliamo con amici, conoscenti, parenti e familiari: i suoi connotati sono parecchio pesanti.
Peraltro, l’attuale stato delle cose non è giunto all’improvviso, si tratta di situazione fuori misura, esagerata, caratterizzata dall’abbandono di tanti principi di sobrietà, del senso dell’economia, del controllo della misura dei passi, un coacervo di debolezze e difetti portato avanti non da anni, ma da decenni.
Adesso è scoppiato il botto, il vaso è traboccato, dominano segnali di timore e di preoccupazione, che, invero, non sono soltanto di fantasia, sono autentici.
Con l’aggiunta di un ma, un grosso ma: risulta estremamente problematico porre rimedio a siffatto stato di cose.
Sì, per carità, valgono i provvedimenti presi dal nuovo governo, di rigore, di tassazioni, di sacrifici e, certamente, gioveranno anche quelli che si accinge a prendere onde cercare di migliorare il funzionamento dell’apparato pubblico e i sistemi contrattuali inerenti al lavoro, per diminuire i balzelli e le forche caudine della burocrazia, il che è chiaramente indispensabile in uno stato e in una società moderna.
E però, quanto sopra non basterà, a motivo che la situazione di estrema precarietà economica e finanziaria vigente e allarmante, tocca, ha per protagonisti, nella totalità i sessanta milioni d’italiani, nessuno escluso, a qualsiasi livello, anche se la stragrande maggioranza non vive in solluccheri e in nidi di bambagia, anzi fa a stento fronte ai bisogni; purtroppo, in ogni strato sociale, si è consolidato uno squilibrio tra entrate e uscite, fra ricavi e costi e spese.
Morale della favola, occorre, in buona sostanza, che, da questo momento, senza lasciare passare neppure un ulteriore secondo, ciascuno di noi, ciascuno degli abitanti dello stivale, cambi musica, dia una regolata alla consistenza del proprio dare e del proprio avere, metta in regola i conti personali, contemperi il soddisfacimento delle necessità e dei desideri alle risorse di cui dispone, e niente più.
Non c’entrano i colori della politica, le ideologie dei partiti, o, meglio, se influiscono, in questo caso ciò avviene in misura limitata.
Ma, rimane ovvio che, se il comportamento indicato deve essere messo in atto dalla totalità degli abitanti, i primi a doverne tenere conto s’identificano con coloro che sono stati scelti o nominati alla guida dell’apparato del Paese, a cominciare dai parlamentari, ministri, grandi manager, e così via scendendo ai livelli medi e bassi.
Nello stesso tempo, va detto che non sono solamente i senatori, i deputati e i componenti del governo o i direttori generali, a gravare molto, a incidere sul costo sproporzionato della politica e dell’amministrazione pubblica.
Esistono selve di privilegi annidati, da lunga pezza, anche negli ambiti sottostanti. Tanto per citare e senza voler fare polemiche inutili che poi si rivelano sterili, sono rimasto scosso da un caso: come è possibile che uno stenografo, al Senato, riceva una retribuzione annua, ho sentito bene, per due volte, di duecentonovanta milioni lordi, di 50 mila euro superiore a quella del Presidente della Repubblica?
Siamo matti? In che nazione viviamo? Ancor più grave, questa non è una realtà d’oggi, data chissà da quanto, si pensi, quindi, alla mole di soldi, rispetto a quello che sarebbe stato equamente dovuto, sborsati in eccesso.
All’esempio richiamato, forse, fanno compagnia decine, se non centinaia di migliaia di situazioni più o meno sballate. E’ degno e sostenibile uno stato di cose del genere?
Non interessa quali figure – Presidenti della Camera e/o del Senato succedutisi nel tempo, uffici di Presidenza, parlamentari questori e via dicendo – hanno stabilito corrispettivi assurdi, importi lautissimi di buste paghe e prebende dei rispettivi collaboratori e dipendenti, ciò che conta è che, ora, qualcuno, qualche organo terzo, Procura della Repubblica o Corte dei Conti, prenda di petto le cose, metta mano alla situazione e dica schiettamente: ”Voi, signori, sapevate, per decenni avete scientemente sperperato risorse dello Stato, erogando, distribuendo cifre che non reggono né in cielo né in terra”. E, soprattutto, si stabilisca che, con buona pace degli interessati, dal 1° febbraio 2012, le retribuzioni “lunari” siano dimezzate.
Come si fa, come non agire senza indugi? Il guaio è che, mentre noi pensiamo che dette anomalie siano sconosciute fuori degli ambienti e dei confini nazionali, al contrario, i mercati, gli altri paesi, sono perfettamente edotti che in Italia esistono catene di storture e magagne, diffuse a livello cellulare nell’intero tessuto dei residenti, ed è proprio in ciò che va ricercata la ragione per cui, nonostante il cambio di governo, in barba alle rigorose misure dallo stesso già adottate, i tristi differenziali nei rendimenti dei titoli del nostro debito pubblico e le analoghe obbligazioni di altri paesi continuano a segnare divaricazioni enormi.
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Ci si soffermi, poi, sugli eserciti di cittadini di tutte le età, di tutte le condizioni sociali, anche titolari di pensioni minime, che affollano le ricevitorie, le privative e le edicole, per le scalate ai vari e multiformi paradisi della fortuna messi a disposizione, giorno e notte, d’estate e d’inverno, da casa via web o accedendo agli esercizi aperti nelle strade e nelle piazze, alla ricerca di vincite che cambino la vita, all’inseguimento della dea bendata.
E’ una fregatura, un oceanico bluff.
75 miliardi sarebbero stati giocati durante il 2011 e pure questo dato rappresenta una roba non da matti, ma da dementi all’infinitesima potenza. Eccepirà, qualcuno, che l’Erario realizza introiti importanti grazie alle giocate. Non importa un bel niente, non è giusto che lo Stato faccia leva, così indicativamente, sugli autentici salassi a cui si sono ridotti e si sottopongono eserciti di suoi cittadini, anche tanti che non avrebbero neppure da mangiare e farebbero ricorso alle mense della Caritas o di altri enti assistenziali.
Lo Stato, per sostenere i conti, ha ben altre strade percorribili. Come? Contenendo le spese per il suo funzionamento, e, in proposito, c’è da fare un lavoro immenso, non è soltanto questione della citazione simbolica dello stenografo del Senato, si tratta di una situazione senza confini, prendendo bene le misure è possibile economizzare svariati miliardi, forse decine, di costi e spese.
Inoltre, non serve più parlarne, è ora di fare e agire, con assoluta risolutezza, sull’odioso fronte dell’evasione fiscale.
Quali critiche! Ben vengano gl’ispettori dell’ultimo dell’anno, non solo a Cortina, ma anche a Sanremo, a Capri, a Ischia, a Taormina, Costa Smeralda. Attenzione dovunque, bisogna finirla con lo scandalo che non si paghino le tasse, che da parte di milioni di soggetti si evadano e eludano le imposte dovute allo Stato.
Qui, altro che risanamento dei conti pubblici, laddove ognuno facesse correttamente e onestamente il suo dovere, potrebbero addirittura sopravanzare risorse.
Perciò, non suonerebbe peregrino intensificare gl’investimenti, aumentare il personale dell’Agenzia delle entrate e delle Fiamme gialle dedicate al settore tributario, il terreno da arare è sconfinato ed enormi i frutti potenzialmente realizzabili, capitali ora celati fra gli arbusti e nei forzieri del parassitismo, posto che chi non paga le tasse è un parassita, vive a spese degli altri.
Una ridda di problemi e compiti da svolgere, immensi. Coraggio, diamoci da fare, ciascuno di noi avverta l’allarme, alzi la propria voce in ogni sede, in ogni modo, in ogni occasione, ma bisogna finirla.
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Nel percorrere la consueta statale 16 da Lecce verso Maglie per poi raggiungere Castro, esattamente all’altezza della salitella nei pressi di Galugnano, già denominata “del mandorlo”, occhieggiando sulla corsia di sorpasso che lambisco con l’autovettura, scorgo – e, successivamente, seguo la sequenza attraverso lo specchietto retrovisore – un volatile, verosimilmente un piccione, riverso sull’asfalto, non esanime, ma ancora in movimento, con le alucce che si dimenano, svolazzanti fra un’esistenza vissuta fino a qualche attimo prima e il buio che lo attende.
Probabilmente, il pennuto ha impattato contro un’autovettura o un camion di passaggio e gli è andata male.
Non amo granché i piccioni, per lo meno quelli “contemporanei”, sporcano i vasi sul balcone e la biancheria, anche se vantano una gradevolezza d’immagine, di fisicità, ci sono una serie di contro indicazioni accanto alla loro presenza, non li amo.
Però, vedere quell’esemplare in quello stato, così conciato, mi fa tenerezza, quasi mi commuove e, proprio mentre lo sbattere delle sue ali si fa più tenue fino ad arrestarsi, mi viene spontaneo di dargli un fugace saluto ideale: “Beh, adesso non volerai più fra i condomini della città o dei paesi, ma ti librerai leggero, lassù in alto”.
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L’anno è appena agli esordi, ma, al paesello o negli immediati dintorni, si colgono già due singolari novità, fatti non frequenti che catturano l’interesse della sparuta popolazione.
Un giovane sacerdote di bell’aspetto, don S.F. avrebbe appena deciso di abbandonare l’abito talare e si sarebbe determinato ad andare a convivere con una ragazza. Buona fortuna
Strana coincidenza, la famiglia dei religiosi, se, da un lato, perde un suo componente, parallelamente, sempre restando nell’ambito del paese, dall’altro verso, ne acquisisce uno nuovo, atteso che una giovane sulla quarantina, appartenente a famiglia benestante, ella stessa in possesso di una laurea, non sposata, sin qui dimorante con i genitori, papà e mamma, avrebbe deciso di prendere il velo e farsi suora.
Sommario, nel primissimo scorcio del 2012, nel Basso Salento, chi va e chi viene, nel mondo dei consacrati.