di Alfredo Romano
Il pezzo di Danilo Siciliano, La storia di una regina con un castello d’acqua, mi ha riportato a un breve racconto che avevo scritto nel 1987 e che avevo intitolato L’Anguilla nella cisterna. Così sono stato spronato a proporloin questo Archivio.
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Arrivava da Gallipoli dopo aver pedalato per più di 20 km su una bella strada asfaltata che scorreva lungo due file ininterrotte di pini mediterranei. L’ultimo tratto, detto Tre Ponti, aveva provato l’ebbrezza di una ripida discesa. Era questa, in realtà, l’unico sensibile rilievo di una provinciale piana, la Lecce-Gallipoli, che univa il mare Ionio all’Adriatico. In quel tratto Collemeto appariva sulla destra d’improvviso come un’unica lunga via di case bianche che solcavano l’intenso verde dei bassi e cespugliosi vigneti e l’argentato bosco dei secolari ulivi. Lasciato l’asfalto per la strada bianca che segnava subito l’inizio del paese, l’uomo smontava dalla vecchia e logora bicicletta e, tenendone il manubrio con le due mani, la trainava dando inizio a uno stanco camminare, lanciandosi in un monotono grido sguaiato che pareva venisse da Napoli, come lo era per noi ragazzi allora ogni accento strano. Ma quel grido, pur se incomprensibile, ci era familiare ormai, sapevamo tutti a che genere di merce era legato: l’uomo di Gallipoli dalla pelle secca che pareva di sale vendeva anguille. Erano piccole per lo più, ma soprattutto vive. Se ne stavano sguscianti in una tinozza di legno fissata con misere corde al portabagagli.
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Si sa che l’anguilla resiste interi giorni all’asciutto grazie a un residuo d’acqua che riesce a trattenere nei bronchi. Ma il nostro non era un qualsiasi venditore di pesce, neanche a dire fresco, perché le anguille dovevano essere vive per un motivo non comune: nientedimeno questo serpentello dalla pelle viscida, le squame comunemente nere, verdastre a volte, si era assunto per Collemeto un fine altamente igienico e, aggiungerei, sociale. La piccola anguilla, scaraventata nella cisterna (quel serbatoio d’acqua piovana scavato sotterra nel tufo di cui ogni famiglia disponeva in mancanza di un qualche acquedotto), andava a cibarsi giornalmente di quei girini forniti inevitabilmente dall’acqua stagnante. Certamente il rimedio non poteva garantire un’acqua purificata, ma, si sa, anche l’occhio voleva la sua parte. Effettivamente, nel secchio pieno d’acqua tirato su con la fune fino all’imboccatura, non c’era più traccia di girini. Per l’anguilla, d’altronde, quello era l’unico e monotono pasto, sufficiente a irrobustirla in capo all’anno e divenendo così preda di un qualche appetito. Nuotava ogni giorno nel buio la poveretta e quel buco di luce in alto era l’unico suo sogno di salvezza. E ogni volta che il secchio calava giù, l’anguilla s’attorcigliava alla fune, ma, viscida qual era, scivolava ricadendo nell’acqua. Ma tenta e ritenta, un giorno le capitava la fortuna, per dire, di adagiarsi nel fondo del secchio e guadagnare finalmente la luce. Ma ecco che mani ruvide e callose l’afferravano, ché l’anguilla ben cresciuta valeva una festa e bevute di vini rosati.
Consolati, anguilla, ora un’altra più piccola prenderà il tuo posto. Quella insolita dimora, d’altra parte, era poco degna di te. Che tristezza vederti sgusciare solitaria nel buio della cisterna. Tu che venivi dal lontano mare dei Sargassi in compagnia di milioni d’anguille, di certo avresti voluto risalire un grande fiume fino alle pure sorgenti. All’ombra dei pioppi, non i soliti girini, ma l’erbe fresche del fondo avresti gustato e decine di piccoli e svariati pescetti. Hai avuto in sorte, invece, lo spazio angusto della cisterna e pareti scivolose che tante volte, chissà, ti avranno inesorabilmente respinto, ché troppo alta era per te l’imboccatura. In fondo, però, non sei vissuta invano: per un anno intero ci hai fatto credere d’aver attinto ad un’acqua pulita e cristallina, quel nostro sogno millenario! Ogni sorso, però, te l’assicuro, era un continuo ricordarti e ringraziarti. Peccato che tu non avessi dei cari da suffragare, perché noi, come è d’uso, te li avremmo ddefriscati, cioè a dire rinfrescati. Le acque più dolci e più fresche in un cielo eternamente limpido e chiaro, restino in serbo per te, cara anguilla della buia cisterna.
Civita Castellana, 1987.
Bel racconto… evidenzia tutta la sensibilità del bravissimo Alfredo.
Mio cognato avendo un ristorante tipico di pesce, molti anni fa un lavorante di un artigiano gli chiese una anguilla viva non ricordo se gli serviva per il pozzo o per la cisterna di campagna dove l’estate andava in villeggiatura. L’anguilla gli fu data che mise nella cisterna o pozzo Dopo un anno lo incontrammo e ci raccontò che aveva otturato la cisterna/pozzo, perché quando calavano il secchio in acqua si riempiva di anguille, pertanto la moglie avendo paura e le anguille erano assai, ci disse che fu costretto a otturale il pozzo/cisterna e farne un’altra. Successe che l’anguilla evidentemente era incinta e nel pozzo proliferò di anguille, essendo gente umile non capì che involontariamente si era creato un allevamento e che avrebbe potute venderli rivolgendosi a qualche pescatore o pescivendolo e che avrebbero recuperate tutte le anguille
sono persino emozionata dopo aver letto questa pagina..hai avuto acenti lirici per questa creatura d’acqua dolce e me l’hai riportata alla memoria…anche nella mia casa paterna avevamo un pozzo dal quale attingevamo l’acqua col secchio senza carrucola,,,ci mettevamo anche noi una anguilla che forse ignorantemente credevamo che depurasse l’acqua da eventuali vermetti che poptevano formarvisi a causa di eventuali impurità . Grazie per il bellissimo ricordo. Anna
oops, scusa gli errori di battuta..
Per dei bambini sapere di avere qualche animaletto in casa è sempre motivo di grande gioia. Per il piccolo Alfredo e i suoi fratelli deve essere stata una vera magia. Così l’anguilla è diventata, in molte case salentine di qualche decennio fa, il mezzo purificatore dell’acqua e dello spirito di adattamento della gente. Chissà quanti tuoi sogni ha accompagnato questo pescetto, Alfredo! Di sicuro è stata oggetto di riflessioni tra le più svariate, di sicuro ha avuto la grazia del tuo battesimo fatto di sensibilità. Oggi siamo arrivati a una scoperta rivoluzionaria: il Paradiso della cara anguilla dispensatrice di purezza sta nel cuore di Alfredo.
Co riferimento ai vari interventi dei qualificati lettori, vorrei precisare che le anguille non venivano messe nei pozzi che si riempivano di acqua sorgiva che, attraverso le nude pareti porose, filtrandosi attraverso nel nudo terreno li riempiva di acqua frsca e sorgiva, spesso salmastra per i sali che vi erano disciolti e tale acqua sorgiva aveva un continuo ricambio naturale senza mai stagnarsi e senza creare impurità e quindi senza ricorrere ad anguille per cibarsene delle sue impurità composte da vermetti che possono vivere solo nelle acque stagnanti. Le cisterne, invece, hanno le pareti ed il fondo smaltato di cemento ed altri prodotti impenetrabili, lì si fanno confluire le acque piovane che vengono incanalate dalle terrazze delle vicine case oppure dai ripiani posti alla imboccatura della cisterna dove convogliano le acque piovane nelle immediate vicinanze delle cisterne. Queste acque sono dolci perchè prive di sali, sono stagnanti perchè prive di sottili canali che ne promuoverebbero l’interscambio. Pertanto stagnandosi possono creare faune di piccoli organismi che le rendono igienicamente non potabili e la presenza delle anguille con i loro continui spostamenti muovono l’acqua, la ossigenano e nello stesso tempo eliminano i piccoli animaletti che il ristagno farebbe proliferare