La settima stella (miscuglio di semi di sesamo e riso), poesie di Maria Pia Romano
di Paolo Rausa
Questa raccolta di poesie di Maria Pia Romano, beneventana di nascita ma salentina d’adozione e ora barese per ragioni di cuore, all’insegna della liquidità, dell’umore acqueo, più che al “Panta réi” (Tutto scorre) del filosofo greco Eraclito e alla “invida aetas” e al “carpe diem” oraziani (il tempo che tras/corre e la necessità di cogliere le occasioni che ci offre la vita), concetti rappresentati dal pittore Salvator Dalì negli orologi liquefatti, attinge la sua ispirazione dall’idea di amore liquido, un sentimento basato sulla fluidità, la fragilità e la transitorietà dei legami moderni.
Maria Pia ci affascina con un linguaggio figurato, dilatato fino alle estreme conseguenze per fissare sulla pagina amori vissuti, presi e lasciati, sentimenti profondi, stati d’animo, condizioni esistenziali che si stemperano nei silenzi della notte, nelle solitudini dei rapporti e nelle atmosfere mediterranee insolenti di un sud ricco di umori, in cui innamorarsi e perdersi è un tutt’uno.
A fronte delle vicissitudini della vita e delle sue disillusioni si afferma la funzione salvifica della scrittura, più volte ripresa sempre con un uso del linguaggio spericolato, ma che affascina e fa penetrare nei mille rivoli della esistenza. In “Testamento liquido”, poesia introduttiva della raccolta, che definisce in poche pennellate seducenti la condizione dell’autrice come estranea, folle e funambola – tre caratteristiche costitutive della sua cifra artistica – dichiara che si struggeva in lacrime d’inchiostro, mentre in “La carne delle mandorle” le ore “sfarinose” trascorrono “scrivendo voli nel rosso dell’anguria”, in “Un altro mare” c’è sempre un Sud “a raccontare storie di mare/ con le dita fra le reti/ e i pensieri impigliati/ tra scogli e carezze… In “La donna che apparteneva alle cento pietre”, ritratto potente di una donna fuori dal tempo eppure immanente, scrive “preghiere che sono lettere d’amore”. Mentre in “Giostra” restano del nostro vorticoso vagabondare “sputi d’inchiostro in transito”. Un’altra “Donna che non aveva mai avuto vent’anni”, perché non è mai, anzi sempre, esistita, incarnata in quelle figure di matronei femminili possenti, rappresentate in posa statica come chi dà e prende la vita, dichiara dopo aver passato in rassegna i suoi doni o desideri che “La Scrittura è pietra che ti salverà”, rivolta alla nostra interlocutrice che si appresta a farci dono di questo “libro spaginato”, senza ordine ma intenso per le emozioni che sa suscitare nel lettore. In una confessione intima, da innamorata, non può fare a meno di dedicare al suo amante “fogli per-versi” e arriva a rivelargli “che per i tuoi occhi scriverei libri di-versi”, per poi in un gioco di affermazioni/negazioni, che troveremo disseminate lungo le frementi confessioni d’amore e di adesione alla vita, dichiarare che solo “Chi appartiene alla non-appartenenza s’innamora del silenzio e delle distanze. E scrive storie di pelle e di mare”.
L’impulso alla scrittura rappresenta per l’autrice un punto fermo nel vorticare senza posa dei sentimenti, trovando comprensione nei lunghi e adorati silenzi che si caricano di significati profondi. Perciò trova mille espressioni per rappresentarne la carica emotiva: sono liquidi, spalmati sul tempo che si può ora arrestare, parlano alla storia come “silenzi del ventre”, urlano come presi da insania e follia come “silenzi delle macchie di sangue” e cantano “notti di luna in cui s’addensano le favole”. “L’uomo senza libri” non può capire il figlio che lo invita ad orecchiare “nel silenzio delle conchiglie la voce del mare”, ossi di seppia scarnificati ma che hanno saputo mantenere nel segreto della loro corazza il sapore e l’odore del mare, il suo andirivieni sugli scogli, la linea dell’orizzonte “che spaura”. Le immagini ci consegnano anche “silenzi incurvati” come rami di un mandorlo, che ri/assumono qui in “La casa delle mandorle” un mondo di affetti altrimenti disperso e, per contrasto, ci sgomenta quella sensazione di “rumore assordante della solitudine”.
Accanto ai silenzi e al buio delle notti “macchiate di luce” sul mare “spalmato di luna”, si affermano i meriggi desolati e irrorati dal biancore impenetrabile del sole, di un sole mediterraneo che qui, ora, provoca arsura ma dispensa anche tregua e refrigerio.
Su tutto, l’acqua attraversa con la sua morbidezza e fluidità le storie degli esseri umani e degli elementi nella sua valenza di vitalità ed elemento lustrale, liquido amniotico che pre/serva la vita. Le poesie di Maria Pia Romano sono espressione diretta delle sensazioni che fluiscono come un mare ininterrotto di immagini e ci trascinano lungo le inquietudini di una giovane donna, che è fatta di acqua, elemento informale e incontenibile come i suoi affascinanti pensieri, una donna che scrive storie di pelle e di mare e che non si cura del principio e della fine delle sue storie, ma fa della circolarità una condizione da cui sempre ripartire senza frapporre termini o confini.