di Raffaella Verdesca
Si schiarì la voce più volte e fissandosi attentamente nello specchio, sussurrò valutando l’effetto scenico che ne veniva fuori:
“Mi dispiace molto, ma il povero zio Pierino ci ha lasciato per sempre.”
Accidenti! Erano ore che provava e riprovava a dire questa frase col pathos e l’intonazione migliore, ma dalla sua voce non usciva niente di buono.
Per non parlare poi di quell’espressione da salame che gli veniva fuori quando scandiva “…ci ha lasciato per sempre”!
Non poteva, zia Mara, affidare a qualcun altro l’ingrato compito di dare il triste annuncio?
In lista c’erano Marisa, Lucilla e Concetta che in quanto a recitazione non le batteva nessuno, non per niente si erano sposate gli uomini più facoltosi della città!
E Gino? Gino non sarebbe stato certo da sottovalutare, con quella sua naturale inclinazione alle espressioni lugubri e agli sguardi persi.
E invece no, e invece zia Mara aveva pescato proprio lui che faceva il cameriere sulle navi da crociera! Inutile dire che questo triste dovere gli costava forse di più degli altri perché zio Pierino lui l’amava e l’aveva amato come un padre.
Gli sembrava strano pensare al modo rocambolesco in cui lo zio si era tolto di mezzo.
Due sere prima si era alzato da tavola dopo cena, aveva salutato moglie e suocera come tutte le volte, e si era incamminato placidamente verso il Circolo di caccia del paese.
Era socio da anni di questo posto, pur non essendo mai stato un cacciatore.
Diceva che gli piaceva il fine ricreativo di quella tana di vecchi lupi d’assalto e da lì zia Mara non era mai riuscita a tirarlo fuori.
In dettaglio, la ricreazione del Circolo consisteva nel bere qualche bicchierino di vino o di grappa distillata dagli amici, giocare a carte e scommettere su chi riusciva a prendere più selvaggina degli altri.
Aveva un’espressione accigliata zio Pierino, ma era di certo il più buono di tutti.
Il destino aveva voluto che la sera incriminata uno dei concorrenti alla sfida tra cacciatori avesse tirato fuori dal carniere un uccellaccio che sembrava più una gallina che un fagiano.
Da lì si era scatenato un putiferio di giudizi e sentenze e tutti avevano riso davanti all’ardore del proprietario della strana bestiola, presunto trofeo di caccia. Chi non era proprio riuscito a smettere di ridere era stato lo zio.
Gli amici del Circolo avevano raccontato che Pierino aveva iniziato a farlo già dentro la sala e poi lungo le scale, fino a quando non l’avevano visto contorcersi ad ogni pedalata per accessi improvvisi di riso. Rideva sibilando più della sua vecchia Bartali e tanto non riusciva a trattenersi dal farlo, che stringeva gli occhi e mandava gemiti simili all’ululato di un cane.
Ridi di qua e ridi di là, il povero zio era scivolato in una scarpata poco fuori dal paese: l’avevano trovato in fin di vita che ancora rideva.
Come fare, allora, a rendere serio e compìto l’annuncio della sua morte? A pensarci sopra, veniva da ridere anche a lui!
Sbuffò e ricominciò a provare: “E’ con grande dolore che vi comunico la morte improvvisa del nostro caro e insostituibile zio Pierino.”
No, non funzionava! Forse sarebbe andato meglio un: “E’ difficile pensare che nostro zio Pierino non ci rimprovererà più: è venuto tragicamente a mancare stanotte. Ora, tutti ci sentiremo un po’ più soli!”
Ma che! Sembrava un romanzo di Pasolini! Niente da fare, il dramma non era il suo forte. Ci voleva un occhio languido, il tono giusto per suscitare commozione e contegno al tempo stesso e lui non ci sarebbe riuscito mai.
Pazienza, andasse come doveva andare!
“Zio Pierino ci ha lasciati perché era stufo di avere sempre quell’aria imbronciata anche quando era felice, perciò ha pensato bene, negli ultimi momenti della sua vita, di ridere a crepapelle per nascondere la tristezza del trapasso. Almeno non ha sofferto!”
I parenti fatti arrivare in paese per essere informati del terribile evento, rimasero sconcertati da queste parole e guardandosi negli occhi l’uno con l’altro, non seppero bene come reagire a questo annuncio bizzarro. Qualcuno pensò a uno scherzo, altri si misero involontariamente a ridere, ma tutti ricevettero comunque il messaggio che l’eccentrica trovata di Tonino aveva loro lanciato: serenità, come la morte vuole.
Perfino zia Mara scostò per un attimo dagli occhi il fazzolettino per irrompere in un singhiozzo molto simile a una risata. Pensandoci, tutti i presenti convennero che doveva essere andata proprio così questa morte grottesca e il funerale scivolò tra le strade meno nero del solito, anche perché si era annidato nel corteo il ricordo dell’ilarità del defunto e sbiadito invece quello della violenza della sua fine.
Tonino tornò ad imbarcarsi il mattino dopo, soddisfatto di come era riuscito a cavarsela in quel brutto frangente, oltre che orgoglioso dei complimenti ricevuti.
“Semplice! Basta scegliere la chiave di lettura più dolce per dare nuova luce agli eventi!” era giunta a conclusione Marisa, la cugina più piccola.
Tonino sorrise salendo sulla nave dalle scalette di servizio: quel tipo di chiave era quello che ancora non era riuscito a trovare nella sua vita, ma da quel momento sentì di averla già in tasca.