Un ulivo non piange…

ph Mino Presicce

di Michele Stursi

Questa è la storia di un esproprio. Una sentenza ingiusta, proclamata da un ignobile giudice, ci ha privato senza alcun preavviso del nostro spazio vitale, costringendoci in pochi, risicati metri quadrati. Chi non fosse a conoscenza dell’accaduto, crederebbe che queste siano le farneticazioni di un piccolo e fragile arbusto. Si sbaglia costui, perché a urlare la sua rabbia è un raggrinzito e incazzato ulivo.
Questa è la storia di un esproprio, dicevamo, ma non pensi il lettore che in codeste note si vadano a esporre le ragioni di una delle parti, quella perdente si intende. Non saremmo in grado di tenere discorsi molto lunghi allo scopo di persuadervi, non conosciamo le leggi dell’ars oratoria, né tantomeno ci intendiamo di diritto agricolo.Il nostro è un racconto e come tale ha la sacrosanta urgenza di essere raccontato, affinché gli uomini, specie egoista per natura, si sentano in colpa in ogni singolo attimo della loro futura annaspante esistenza.
Albeggiava quando giunsero in sella ai loro portentosi e assordanti ronzini. La luce del sole vezzeggiava le nostre foglie argentee e la rugiada ingioiellava la fredda corteccia; una brezza leggera solleticava le nostre fronde e un brivido fulmineo, di risposta, scorreva nella linfa per tutto il tronco, portandosi sino alle radici, per poi perdersi nel terreno.
Credevo che nulla al mondo sarebbe stato in grado di dissuadermi dalla convinzione che ogni mattino è concepito nel silenzio più intimo, incontro tra la nostalgia della notte, sbiadita dalla fioca luce della luna, e la speranza del giorno, che si riflette nel nuovo sole. Quello che vidi però mi fece ricredere: gli uomini avanzavano sicuri, calpestando quella stessa natura che li aveva dato la vita, e si dirigevano proprio verso di noi. Nel pugno di quella chiassosa offensiva venivano sbriciolate per sempre le mie certezze.
Ci guardavamo intorno, qualcuno continuava ancora a riposare indifferente ai rumori che aumentavano sempre più di intensità sino a trasformarsi in insopportabili stridori. Si fermarono davanti a me; il più anziano del gruppo senza dire una parola in quella contorta e stridula lingua umana, che ha bisogno di cambiar tono per incutere paura, fece un incomprensibile cenno con la testa. Nessuno vacillò di fronte all’incomprensibilità della richiesta: qualcosa doveva essere spostata, lì a lato, proprio accanto alla strada.
Gli ulivi tremavano nel silenzio innaturale di quell’attesa. Un albero non può piangere, bisogna avere un’anima per soffrire, e l’uomo, che il più delle volte agisce cercando di sfuggire al giudizio dei suoi pari, lo sa bene, lo ha imparato a scuola che l’albero è una “cosa”. Nessuno quindi sarà giudicato e poi condannato per aver ammucchiato una cosa.
Da inferiori entità inanimate siamo stati quindi usati, ma non è questo che fa strizzare acre olio dalle mie nere olive ribelli. Voi che ve ne state seduti, tranquilli a leggere questo mio racconto, non potete immaginare la brutalità con cui i denti di quei mastodontici espropriosauri hanno azzannato prima il terreno e poi le radici, recidendone molte, estirpandone non poche. Sentire lo scoppiettare di quelle radici che stremate abbassavano la testa dinanzi alla superiorità del loro avversario, ascoltare il pianto delle fronde degli ulivi issati come animali feriti e gettati agonizzanti in quella fossa comune, non è stata una piacevole esperienza.
Un ulivo non piange, abbiamo già ribadito, solo perché l’immaginario collettivo non glielo ha mai permesso, ma la realtà non è schiava come voi delle convenzioni umane. Poggiate un attimo l’orecchio sulla mia ruvida corteccia e sentirete il mio dolore; fermatevi anche voi a guardare la cornice decorativa di ulivi creata per ingannare voi, ma non me, e capirete la mia rabbia.
Io sono l’ultimo di una secolare famiglia di ulivi, unico superstite alla strage. Ora me ne sto dove sono sempre stato, ai margini di questo feudo, affiancato da ulivi fantocci, con lo sguardo abbassato sulle mie radici per evitare di rianimare quel fuoco che arde in ogni singolo mio vaso, alla vista di quegli stupidi alberi moderni, bassi, neri, brutti e senza frutto, che per ignoti motivi hanno rubato la terra a tanti miei simili in tutto il Salento.

 
Condividi su...

Lascia un commento

La Fondazione Terra d'Otranto, senza fini di lucro, si è costituita il 4 aprile 2011, ottenendo il riconoscimento ufficiale da parte della Regione Puglia - con relativa iscrizione al Registro delle Persone Giuridiche, al n° 330 - in data 15 marzo 2012 ai sensi dell'art. 4 del DPR 10 febbraio 2000, n° 361.

C.F. 91024610759
Conto corrente postale 1003008339
IBAN: IT30G0760116000001003008339

Webdesigner: Andrea Greco

www.fondazioneterradotranto.it è un sito web con aggiornamenti periodici, non a scopo di lucro, non rientrante nella categoria di Prodotto Editoriale secondo la Legge n.62 del 7 marzo 2001. Tutti i contenuti appartengono ai relativi proprietari. Qualora voleste richiedere la rimozione di un contenuto a voi appartenente siete pregati di contattarci: fondazionetdo@gmail.com.

Dati personali raccolti per le seguenti finalità ed utilizzando i seguenti servizi:
Gestione contatti e invio di messaggi
MailChimp
Dati Personali: cognome, email e nome
Interazione con social network e piattaforme esterne
Pulsante Mi Piace e widget sociali di Facebook
Dati Personali: Cookie e Dati di utilizzo
Servizi di piattaforma e hosting
WordPress.com
Dati Personali: varie tipologie di Dati secondo quanto specificato dalla privacy policy del servizio
Statistica
Wordpress Stat
Dati Personali: Cookie e Dati di utilizzo
Informazioni di contatto
Titolare del Trattamento dei Dati
Marcello Gaballo
Indirizzo email del Titolare: marcellogaballo@gmail.com

error: Contenuto protetto!