Ambienti, paesaggi e natura di Puglia
Terza parte
Continuiamo il nostro rapido excursus tra gli ambienti naturali pugliesi con un accenno ai boschi mesofili e xerofili.
Per boschi xerofili si intendono associazioni vegetali che si sviluppano in zone caratterizzate da condizioni climatiche critiche, quali precipitazioni scarse e temperature estive anche elevate.
Le specie vegetali presenti in questi boschi mostrano così adattamenti atti a ridurre l’evapotraspirazione per resistere ai lunghi periodi di siccità, come la persistenza più o meno prolungata delle foglie sui rami. Ad altitudini minori troviamo il leccio (Quercus ilex L.), sempreverde, cui segue il fragno (Quercus trojana Webb), semideciduo, associato con l’aumentare di quota, alla roverella (Quercus pubescens Willd.) ed ad altre essenze caducifoglie. Tipico bosco xerofilo è quello di fragno, quercia esclusiva della nostra regione, il cui areale originario è da ritrovare sull’altra sponda dell’Adriatico (Erzegovina, Montenegro, Macedonia, Albania, Grecia); ampiamente diffuso nelle Murge Sud-Orientali, individui isolati, ma di grandi dimensioni, si ritrovano però anche nel Salento (Porto Selvaggio). Le ghiande venivano utilizzate un tempo per alimentare i maiali, o, se tostate, per supplire alla mancanza del ben più raro, e costoso, caffè. Dal legno invece si ricavavano utili attrezzi agricoli o gioghi per animali ma, in virtù delle sue proprietà di robustezza e resistenza all’umidità, il fragno è stato soprattutto utilizzato per la costruzione di navi, tanto che la Serenissima Repubblica di Venezia acquistò nel 1495 interi appezzamenti di bosco per ricavarne preziosi legnami per la costruzione della sua flotta. Altre due specie di quercia, la vallonea (Quercus macrolepis Kotschy ) e la quercia da sughero (Quercus suber L.), tipicizzano con la loro presenza, piccoli lembi di bosco in provincia di Lecce e nel brindisino, anche se si nutrono dubbi circa il loro indigenato.
Il piccolo Bosco di Tricase è quanto si conserva di un’antica foresta di quercia vallonea. L’areale di diffusione della vallonea abbraccia la Grecia, l’Albania, parte della Turchia e delle coste orientali del Mediterraneo, mentre in Italia la si ritrova solo in piccole aree del Salento. Stando allo studioso Raffaele Congedo, piante di vallonea sarebbero state introdotte da un gruppo di monaci basiliani provenienti dall’Asia Minore, tra il X e XI secolo; secondo altri studiosi invece la specie si sarebbe diffusa spontaneamente. La vallonea è una quercia dalla ampia chioma globosa e dalle tipiche ghiande, le più grandi tra le querce; le cupole legnose, ricche di tannino, venivano utilizzate in passato per la concia delle pelli o per la produzione d’inchiostro nero. Tra Tuturano e Mesagne i pochi ettari del bosco Santa Teresa e bosco Lucci sono quanto rimane di ben più estese sugherete. Anche per la quercia da sughero è incerto l’indigenato, ma il valore di questi boschi dal punto di vista fitogeografico è notevole: essi rappresentano infatti le uniche stazioni di sughere presente su tutto il versante adriatico, e anche il limite orientale di espansione della specie. Lentischi (Pistacia lentiscus L.), corbezzoli (Arbutus unedo L.), filliree, macchie di cisti (Cistus incanus L., C. monspeliensis L., C. salvifolius L.) arricchiscono con il loro inteso profumo il sottobosco xerofilo, ma è soprattutto nell’erpetofauna che ritroviamo le presenze di maggiore interesse.
Una piacevole sorpresa può essere data dall’incontro, in un bosco delle Murge Sud-Orientali, con la testuggine comune (Testudo hermanni Gmelin), rara e per questo protetta ( è assolutamente vietata la raccolta, l’eventuale possesso va prontamente denunciato al Corpo Forestale dello Stato).
Il colubro leopardino (Zamenis situla L.), serpente di medie dimensioni (lungo fino a 100 cm) e dal caratteristico disegno a macchie (da rosse a marroni, bordate di nero), è un altro ospite abituale dei nostri boschi, insieme alla più nota vipera comune (Vipera aspisL.), al biacco (Hierophis viridiflavus Lacépède), al cervone (Elaphe quatuorlineata Lacépède), oltre che al ramarro (Lacerta viridis Laurenti) e alle lucertole campestri. Di notevole interesse biogeografico è il piccolo geco di Kotschy (Cyrtopodion kotschyi Steindachner), in quanto in Italia è presente solo sulle Murge, in alcune aree del Salento e nel materano; in Europa lo si ritrova poi nei Balcani meridionali e orientali o lungo le isole dell’Egeo e dello Ionio. Insieme al fragno rappresenta un valido esempio dello stretto legame della nostra terra con gli altri paesi del vicino Mediterraneo orientale: come un ponte proteso tra l’Adriatico e lo Ionio la Puglia testimonia infatti, con il suo ricco bagaglio di arte, storia e cultura, il suo antico legame con le terre d’oltremare.
Un rapido cenno alla storia geologica della Puglia ci sarà utile per comprendere meglio l’origine di questo fenomeno, ma lo faremo nella quarta e ultima tappa del nostro viaggio alla scoperta della natura pugliese.
(Fine terza parte)
Crediti
Faggeta: Malene Thyssen su licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo 2.5 Generico
Testuggine comune: Orchi su licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo 3.0 Unported
Murge Sud-Orientali, Cisto rosso e Fior di ginestra:
Francesco Lacarbonara – MMXI – tutti i diritti riservati –