di Marcello Gaballo
Per il nostro popolo la gravidanza era un evento voluto sì dalla coppia, ma sempre “con la mano di Dio”, senza il cui intervento nulla sarebbe potuto accadere. Si poteva richiedere l’intercessione di Sant’Anna, la mamma di Maria, protettrice delle partorienti, alla quale si sarebbero accese lampade e rivolte preci, fino all’ottenimento della grazia. In verità la santa poteva riuscire nella determinazione del sesso del nascituro, meno nella gravidanza, atto più sublime e perciò di competenza di chi “stava più in alto di lei”.
Una volta scoperto lo stato interessante le gravide primipare, senza esperienza, raccoglievano avvertimenti e precauzioni, che avrebbero osservato nei nove mesi. Principali informatrici erano le madri, poi le suocere, quindi le amiche intime e per ultime le vicine, come al solito invidiose, anche se apparentemente gentili.
Ecco allora una serie di norme che esse dovevano rispettare, con dei pregiudizi e credenze che ai giorni nostri fanno certamente ridere, ma che allora venivano presi come sacrosante verità, tanto da sentirsi in obbligo di trasmetterle oralmente alle proprie figlie.
Se una donna durante la gravidanza avesse bevuto in un otre il parto sarebbe stato certamente difficoltoso; non poteva neppure tenere al collo catenine o collane, che avrebbero causato un attorcigliamento del funicolo ombelicale sul collo del bambino, con conseguente morte per asfissia durante il parto.
Secondo un’altra credenza se la madre e il figlio sono nati entrambi in un anno bisestile, quest’ultimo sarà sfortunato in vita, così come lo sarà anche quello concepito in un anno bisestile.
In passato le donne salentine per pudore non ostentavano mai la gravidanza, se non quando si fosse al V-VI mese, in quanto indice di inevitabile attività sessuale col coniuge e quindi di facili costumi o comunque di scarsa serietà. Dell’evento, almeno per i primi tre mesi, venivano informati solo il marito, la madre e la suocera.
Se mai la gravidanza fosse capitata a una nubile si può facilmente immaginare lo scandalo: la sfortunata doveva fasciarsi il ventre per celare l’evento, fino ad arrivare al parto senza che nessuno avesse mai saputo nulla dello stato interessante, che nel frattempo aveva portato a termine nella segregazione domestica, adducendo malattie gravi della poveretta, pur di non rendere manifesta la sua imperdonabile “scappatella”.
Chi seguiva la donna nel corso della gravidanza era sempre l’ostetrica, riservando il consulto medico solo per i casi difficili. Quando ci si sarebbe dovuti rivolgere al ginecologo, lo si sarebbe fatto di nascosto dalle solite curiose vicine e dai parenti, che venuti a conoscenza, sarebbero stati portati a pensare a “malattia fiacca”.
Di analisi cliniche o visite di controllo neanche a parlarne, perché, sempre per il popolo, solo le donne sane e forti avrebbero potuto condurre a termine una gravidanza.
Esistevano anche dei pronostici, gettonatissimi, riguardo al sesso del nascituro; l’elemento principale era costituito dal profilo della pancia materna: se la pancia risulta pizzuta, come si dice essere la lingua delle donne, nascerà certamente una femmina, mentre se la pancia avrà la forma schiacciata nascerà un maschio. Per questo si recitava una quartina, assai nota:
Entra pizzuta
porta la scupa;
entre cazzata
porta la spata.
A tal proposito, scrive Emilio Rubino nel III numero di Spicilegia Sallentina, spada e scopa, come la forbice e il coltello, sono i simboli più veri che sin dall’antichità sono stati presi a significare le attività casalinghe per la donna e quelle virili e marziali proprie dell’uomo.
Mi ha fatto morire dal ridere questa frase: “In passato le donne salentine per pudore non ostentavano mai la gravidanza, se non quando si fosse al V-VI mese, in quanto indice di inevitabile attività sessuale col coniuge e quindi di facili costumi…”.
Grande Marcello!