Ponte di Porta Napoli o Ponte di Pietra,
dedicato oggi a sant’Egidio Maria da Taranto
di Daniela Lucaselli
Il ponte di Pietra, detto anche Ponte di Porta Napoli e dedicato oggi a sant’Egidio Maria da Taranto, è una struttura in muratura lunga 115 metri che domina il canale naturale a nord-ovest della città.
La data in cui questo ponte fu edificato è incerta.
Un’ ipotesi attendibile è quella proposta dall’egittologo francese François Lenormant, che lo fa risalire agli ultimi anni del primo millennio (X secolo) per volere di Niceforo II Foca. L’opera, strutturata in sette arcate, si estendeva secondo un asse che proteggeva e difendeva la città dai frequenti attacchi esterni.
“Da allora, annotò il Lenormant, il ponte è stato rimaneggiato molte volte, ma la parte inferiore dei suoi piloni presenta ancora tutti i caratteri della costruzione bizantina”.
Nel 1404 fu fortificato con l’innalzamento nella Piazza Grande, l’attuale Piazza Fontana, della Torre di Raimondello e della Cittadella, una massiccia torre quadrata cinta di mura e fiancheggiata da due torrioni.
Nel 1865 un decreto del Re Vittorio Emanuele II di Savoia dichiarò Taranto città aperta e libera da qualsiasi giogo militare, ragion per cui si decise per la distruzione di tutte le mura e le fortificazioni esistenti. Questo verdetto coinvolse la stessa Cittadella, rasa al suolo in vari momenti che intercorrono dal 1884 al 1893.
Il ponte invece era stato distrutto da una violenta alluvione nella notte fra il 14 e il 15 settembre del 1883.
Fu ricostruito a tre arcate, pochi metri più a destra rispetto a quello caduto in rovina, e successivamente rinnovato così come lo ammiriamo ora.
Gli amministratori comunali, supportati da una istanza popolare, proposero di rendere girevole una delle tre campate per consentire l’entrata delle navi in Mar Piccolo e garantire così la possibilità di costruire sulle sponde dello stesso il nuovo porto mercantile. Purtroppo tale progetto fu respinto e il Nuovo Ponte fu edificato senza possibilità di apertura.
Sotto questo ponte, dove le acque dei due mari di Taranto si interscambiano amichevolmente in un’avventura di vita, una volta si pescava abbondantemente e il frutto amorevolmente offerto da questo mare arricchiva le tavole dei pescatori. “ …il miglior pesce nostrano: le triglie, i cicinielli, le anguille orbe, i gamberi, i gronghi: lo si pescava con la guàdala o con il rosacchio, che erano due diversi tipi di rete che si usavano a seconda delle stagioni. Le spigole, invece, si prendevano con la lenza” (1).
NOTE:
1) G. Acquaviva, R. Cofano, O. Sapio, Guida storica essenziale tarentina, Taranto (2000), pag. 28.