di Gianni Ferraris
“…Quando arrivo ai laghi di Monticchio, in Basilicata, e mi ricordano il lago di Tovel, sopra la Val di Non e insieme la laguna di Apoyo in Nicaragua, e mi chiedo cosa voglia dire tutto ciò…” Sono parole di una cara amica, Francesca Caminoli in “Viaggio in Requiem”. Frase che ha ripreso per parlare di Sud su Paese Nuovo del 28 settembre scorso, che a sua volta riprende un articolo uscito su un numero dedicato al Sud dalla rivista toscana Il Grandevetro nell’agosto-settembre 2010…”
Così i pensieri volano fra nord di ogni nord e sud che più sud non si può. Salvo poi accorgersi che anche il nord è sud di altre terre. Che i migranti vengono chiamati da qualcuno “terroni”, a prescindere dalla provenienza. Quelli che negli anni ‘60 arrivavano nelle ricche terre del nord, fossero essi calabresi, pugliesi o veneti poco importava, erano “terroni”, in quanto altro da sè. Pochi anni dopo il Veneto mostrerà le pulsioni anti immigrati più vivaci, e si scoprirà che le rimozioni sono ovvie e scontate. Senza generalizzare mai per carità, non i veneti, solo i trogloditi.
Arrivavano da tanti nord i Crociati, fino in terra di Leuca, il finis terrae. Da lì c’era solo mare e dopo, molto dopo, altre terre. Troppo sud laggiù a sud. Era l’ultimo baluardo di incivile civiltà, si parlavano lingue strane, quasi come quelli che vivevano oltre mare, barbari da condurre sulla retta via a costo di stuprare qua e là, di rubare un pochettino.
Arrivano disperati i nuovi crociati della sopravvivenza, a Lampedusa e in Salento. Per loro è il nord, per qualcuno ne è solo l’inizio, nulla da spartire comunque con il loro sud. I crociati antichi andavano a fare guerre di religione, quelli di oggi sono crociati nel senso più letterale del termine: messi in croce. I primi avevano la croce sul petto e la benedizione del Papa, che era anche re, e che a volte si lasciava andare ai piaceri della carne, ma si sa “l’uomo non è di legno”, pazienza, sempre re e papa era.
Quelli odierni hanno la croce sulla schiena. Proprio come Lui. E proprio come a Lui qualcuno pensa sia giusto sputare addosso e insultare. Roba per chi crede, in fondo, solo quello. Labile il confine fra i sud. Inizio, fine, da sud per andare più a sud, oggi dall’inizio del nord per andare ancora più a nord, salvo poi accorgersi che Milano o Venezia sono esse stesse sud di qualcos’altro. Una catena. Partivano i piemontesi per andare in Argentina a fare quel che sapevano: coltivare terre e allevare vacche. Argentina (sud sud sud come dice bene Francesca). A volte tornavano, raramente però, i quattrini non erano poi così tanti e l’Italia… ahi l’Italia così lontana, meglio ricordare i momenti felici, piuttosto che la fame e la miseria. Perché il tempo e i tempi stemperano i ricordi, li selezionano, gettano via il brutto per lasciare le emozioni. Così la polenta era stupenda, anche la fame lo era. Ma vuoi mettere i mulini come erano bianchi? E gli ulivi salentini come erano grandi, belli e verdi visti da Torino o dalle miniere del Belgio.
Sud sud sud. Terra rossa spaccata dal sole, sassi. Salento negli occhi, mare… sole… vento… Salento… Arrivano improvvise le masserie andando per strade di ulivi, era tabacco un tempo, ora non più. E noi che girovaghiamo guardando qua e là abbiamo incollati addosso esperienze e profumi diversi, stratificati, abbiamo colline e monti e mare dentro gli occhi. Così lontano quel sud meno sud di questo. E nel tempo di scrivere queste parole libere in libertà, senza un filo forse, che so? Dieci minuti, penso che in qualche sud sono morti 50 bambini per fame e morbillo e malaria, sacrificati sull’altare del benessere. Uno ogni 12 secondi ne crepa. Per molti di loro sarebbe sufficiente una zanzariera.
I laghi di Francesca che si confondono nella memoria e nella mente, chissà se talvolta ne mischia le acque, ne fa un grande, unico mare che non è fine terra per nessuno, piuttosto è il varo di una nave che parte per andare… forse a sud.
“Dobbiamo tutti avere un sud se vogliamo essere uomini e donne completi, capaci di metterci nelle scarpe di ognuno. E se non l’avessimo, dobbiamo cercarlo e darcelo…” Ha ragione Francesca, dalla quale prendo a piene mani parole, frasi, concetti. Qualcuno lo chiama plagio? Boh. Il fatto è che leggi le parole di un’altra persona e pensi a quelle ti arrivano da sole dentro la testa, che frullano da sud a sud. Splash, la Grecia cade e ricade “troppo sud, troppo sud” urla qualcuno. Splash, cade la Spagna. Splash, cade l’Italia, quella con due sud, uno confina con la Svizzera, l’altro è il finis terrae. “Siamo in Europa, siamo in Europa” dicono quelli dell’Europa delle banche e dei quattrini, e dettano le regole per uscire dalla crisi. “Tagliare spese, pensioni, posti di lavoro… Tagliate e sarete virtuosi…” e noi, sì noi del sud, che non comprendiamo come innalzare l’età per le pensioni possa servire ai giovani che non hanno lavoro. Ah, noi del sud le cose dell’economia non le sappiamo. Tagliare e togliere, levare e risparmiare, anche sulle scuole se serve. Qualcuno in Sicilia ha messo all’asta la valle dei Templi e lo ha chiamato Federalismo Demaniale. Qualcun altro, un terrone di lassù, ha fatto valutare le Dolomiti: 870 mila euro. Il Federalismo che dice “Finalmente ora i templi ai siciliani, le Dolomiti ai Veneti”. Prima erano di tutti gli italiani… Prima. Piazza Sant’Oronzo probabilmente vale otto filobus e un mese di stipendio per l’autista.
Lasciamo andare che è meglio, poi ti siedi, bevi un bicchiere di Barbera del Monferrato o di Negramaro, ne senti il profumo, lasci correre i pensieri e ti accorgi che dietro le regole del gioco che arrivano dal sud meno a sud ci sono solo i conti, i quattrini. E le persone dove diavolo stanno? I ragazzi malati di precariato (anche i meno ragazzi in realtà, come il mio amico che non cito). E mentre sono crepati altri 50 bimbi solo perché non sanno nulla dello spread o del PIL, beh, accendo una sigaretta e provo a pensare a cosa scrivere domattina su un foglio bianco. Anche se so che in fondo “in sostanza e verità, tutto questo non è altro che un gioco…” grazie Elsa Morante per i tuoi versi. Ma noi in Europa i turchi li vogliamo o sono troppo a sud? “Prendiamoli pure” dice un signore al tavolino del bar “basta che stiano lontani da Otranto”. E sappiamo che lassù, ai confini conla Svizzera, quelli che hanno fatto le scuole dell’obbligo parlano una lingua che è nata, si in Toscana, ma che ha avuto la culla anche a Casole. Lo diceva un convegno qualche giorno fa. Alla faccia dei cretini che pensano di essere meno a sud del Salento e che scrivono numeri arabi, utilizzano alfabeti arabi, e se avessero conoscenza di filosofia, beh dovrebbero fare i conti conla Magna Grecia.
“In sostanza e in verità”…. San Mauro in rosa sta là a guardare il mare e a far rinascere musica e canti. L’altare in pietra leccese fa disquisire dotti conoscitori delle cose dell’arte. Io, umilmente e per nascondere la mia profondissima ignoranza in materia, mi limito a scrivere parole che, chissà, forse non hanno un senso quando escono da sotto le dita.
P.s.: Francesca Caminoli, giornalista e scrittrice, vive a Lucca, ha pubblicato: “Il giorno di Bajrarm” (1999), “La neve di Ahmed” (2003) e “Viaggio in requiem” (2010) per Il Grandevetro/Jaca Book. Per lo stesso editore uscirà a ottobre “La guerra di Boubacar”. Con il ricavato della vendita delle incisioni del figlio Guido, scomparso nel 2004 a Otranto, ha aperto in Nicaragua una scuola di pittura per i ragazzi di strada del progetto Los Quinchos, fondato ventanni fa da Zelinda Roccia, sarda (sud?) e tuttora da lei diretto .