Le cappelle gentilizie costruite tra fine ‘800 e primi ‘900
di Gabriella Buffo
Il cimitero, ideato e costruito come un’ideale città dei morti, cinto dalle nuove mura, si isolava così dalla realtà circostante, anche se dal punto di vista morfologico richiamava paradossalmente l’immagine stessa della città dei vivi con i viali, le piazzette, i palazzi isolati e i blocchi condominiali a cui si aggiungono anche tutte quelle norme, regolamenti e prescrizioni che regolano ogni sistema sociale. E, come avviene nel tessuto urbano, anche qui si presenta la zonizzazione per classi sociali: gli spazi riservati agli infettivi – relegati nella parte più retrostante del camposanto – , ai non cattolici, ai non battezzati, al campo della pietà o cimitero dei poveri, in cui la nuda croce rileva appena il nome, alle cappelle di confraternite, infine gli spazi più rilevanti alle edicole gentilizie.
Infatti, sul finire del XIX secolo e nei primi anni del XX secolo, alla crescita della città borghese corrisponde il proliferare di un’architettura funeraria che, seppure in miniatura, ripropone in scala ridotta le medesime soluzioni formali impiegate nelle architetture urbane.
Le famiglie benestanti, l’intera borghesia, ormai consolidatasi nel potere politico ed economico, vogliono esprimere, anche attraverso la costruzione funeraria, il segno del proprio passaggio su questa terra e, dopo aver fatto costruire il proprio palazzo in città e la villa in campagna e al mare per la villeggiatura, commissionano agli stessi ingegneri la loro edicola funeraria con quello stesso gusto eclettico tanto allora di moda.
Le famiglie, ma anche le congreghe, si affrettano a presentare all’amministrazione comunale le loro richieste di acquisto di suolo (in concessione perpetua) per l’edificazione delle tombe private.
Nelle richieste, secondo il Regolamento, devono essere specificati i materiali scelti e allegati i grafici dei progetti (alcuni sono firmati da noti progettisti quali Quintino Tarantino, Gregorio Nardò, Luigi Tarantino, Giuseppe Sambati, Benito Leante).
Come avviene per l’architettura civile e religiosa ottocentesca così anche per quella funeraria la ricerca stilistica utilizza l’antichità per trarre motivi e forme architettoniche semantiche e comunicative, tutti gli stili architettonici costituiscono modelli di riferimento da utilizzare in base alle differenti esigenze di rappresentatività. Ogni civiltà conosciuta, ogni forma di conoscenza, acquisita attraverso gli scavi archeologici e la letteratura dei viaggi, fornisce,quindi, tutti quegli elementi stilistici che, in un certo senso, soppiantano i simboli delle catacombe cristiane, le quali avrebbero dovuto, invece, essere il referente più vicino alla cultura religiosa italiana oltre ad essere quello più raccomandato dalle gerarchie ecclesiastiche. Ma l’Ottocento, sappiamo, è stato il secolo di affrancamento dal “dominio religioso”, di istanze politiche di laicizzazione e modernizzazione dello stato, secolo anticlericale per eccellenza, più vicino alle correnti di pensiero europee.
Lungo tutto il perimetro del vecchio cimitero, una accanto all’altra le cappelle delle famiglie più in vista della città neretina ripropongono un vero revival di stili: dal gotico al rinascimento al barocco a forme dell’architettura classica o a quella di civiltà egiziane e mesopotamiche.
Alcune sono posizionate come fondali prospettici, quale punto estremo della crux viarum. Infatti, entrando dall’ingresso del vecchio cimitero al termine del viale a sinistra svetta la cappella in stile neogotico, costruita dall’ing. Antonio Tafuri nel 1902. Sopraelevata su un basamento scalinato e fastosamente decorata con archi ogivali e rosoni, è il sepolcro della famiglia Tafuri, baroni di Persano e Melignano, la cui arme è effigiata al di sopra della porta di ingresso. A pianta quadrata si struttura su ordini e termina con un grappolo di pinnacoli. Il secondo piano è alleggerito da ampie bifore con vetrate colorate.
Neogotica è anche la cappella del barone Francesco Personè, il cui prospetto, tripartito da pilastri poligonali, è ritmato da ogive traforate e lateralmente da fiaccole rovesciate con ali.
Un tempio greco-romano, con un pronao sorretto da colonne corinzie e sovrastato da timpano, si trova realizzato nella cappella Gioffreda.
Neorinascimentale è invece la cappella del Capitolo della Cattedrale di Nardò.
Quasi assente, poiché poco apprezzato dalla storiografia di quegli anni, lo stile Barocco, rinvenibile soltanto in una cappella con il frontone curvilineo e il portale con un arco a doppia voluta in chiave.
Altre tombe si ergono assumendo l’aspetto di piccoli mausolei, come la cappella Conte-Filograna,la cui costruzione fu autorizzata dalla Commissione edilizia del Comune di Nardò nel 1929. Altre non sono altro che palazzi in miniatura, come la cappella Bove, in cui la scala, a doppie rampe contrapposte, con balaustra a pilastrini, conduce al piano sopraelevato.
A volte si presentano edicole con compresenza di più stili, veri e propri pastiches architettonici eclettici e retorici, in cui la significazione ridondante di indici escatologici si dibatte tra sacro e profano; ne è un esempio la tomba della famiglia Dell’Abate-De Pandi-Zuccaro- Giulio, dove elementi prettamente neogotici – apertura ogivale con arco trilobato – si uniscono ad elementi neoegizi, quali le colonne angolari fasciate a metà circa della loro altezza con motivo a bulbo sovrastato da capitello a canestro.
Lo stile egizio, molto in voga sul finire del XIX, è limitato solo ad alcuni elementi architettonici, probabilmente perché non incontra il gusto della committenza neretina, a differenza degli altri cimiteri del Salento (per esempio a Galatina, dove neoegizia è la cappella delle famiglie Galluccio, Venturi, Candido, Greco, Romano) e di Lecce (tombe di M. Piccinni, Stampacchia, Fumarola), in cui “figure quali la piramide, l’obelisco, la mastaba, che hanno conservato nel tempo i propri caratteri originari senza grossi cambiamenti, assumono il valore di elementi astratti, posti al di sopra della storia: simboli eterni dalle forme semplici e solenni”[22]. Sono i resoconti delle spedizioni e i rilievi eseguiti in Egitto da viaggiatori inglesi settecenteschicome Norden, Pocock o Dalton, quindi divulgati attraverso specifiche pubblicazioni in tutta Europa, che contribuiscono alla diffusione di elementi decorativi e architettonici “all’egiziana”[23].
Negli anni del XX secolo, accanto agli ornati e logori stilemi dettati dall’Eclettismo, viene a convivere il linguaggio del Modernismo, un nuovo stile che sintetizza l’essenzialità della forma architettonica attraverso volumi puri, carichi di potere evocativo già nella forma geometrica. Qui le suggestioni della pietas cristiana sono enfatizzate dalla morbidezza delle linee decorative del liberty floreale, a cui si aggiunge la forza evocativa della scultura.
La cappella dei baroni Personè, a pianta quadrata, si presenta come un blocco geometrico puro delicatamente decorato, altamente simbolico, con i quattro angoli della terra e le quattro direzioni cardinali, che rimandano sia alla condizione terrena dell’uomo sia alla eternità. Un nastro, intagliato con serti di foglie e fiori, avvolge l’edifico modellandolo e la stessa funzione svolge la finestra laterale in cui un cordone orizzontale definisce l’immagine di un sole che sta per tramontare.
Fiori e foglie, legati dal lenisco, decorano l’ingresso della cappella simboleggiando la vittoria sulle tenebre e sul peccato.
Come nelle loro dimore civili, anche sul prospetto delle cappelle delle famiglie Personè, Baroni di Ogliastro, Carpignano Salentino, Castro e Pallio [24], si osserva un tentativo di ribadire lo status sociale imprimendo nella pietra lo stemma nobiliare “spaccato di azzurro e di verde e sul tutto due atleti di oro ignudi, in atto di lottare, accompagnati nel capo da una testa di Mercurio con il motto et pace et bello”.[25]
La simbologia
Nel cimitero di Nardò, come in tutti gli altri del Salento, non è il prezioso marmo la materia prima decorativa delle tombe ma la pietra leccese che diventa il morbido tessuto su cui ricamare tutta la simbologia della morte, tanto eloquentemente rappresentata dallo scheletro con la falce. È un simbolo, questo, creato dall’uomo, che andrebbe indagato perché lo si colga in tutto il suo significato. La falce è il simbolo della morte che recide la vita, come si recide l’erba o il grano. Essa è il simbolo dell’uguaglianza tra gli uomini. Se la falce in sé richiama l’idea della falciatura del grano, la morte con la falce rimanda a una suggestione di raccolto, di traguardo di un ciclo naturale che inizia con la semina, continua con la fioritura, poi con la maturazione del frutto destinato ad essere raccolto per finire con la morte del grano ormai secco dal quale si estrae la spiga.
Altri elementi caratteristici delle edicole funerarie in oggetto sono poi le tibie incrociate, la clessidra, simbolo del lento scorrere del tempo infinito, le ali aperte a simboleggiare la capacità di sollevarsi dal peso della vita, le fiaccole che indicano la redenzione e la speranza nel buio della morte (sei fiaccole ornano il fastigio della cappella della congregazione dell’Immacolata), le ghirlande di fiori e foglie quali segno incorruttibili di fede e di giustizia, i tralci di vite e l’uva simboli eucaristici che indicano il sacrificio e la redenzione.
E ancora gli insetti quali l’ape, simbolo dell’anima, segno di sopravvivenza dopo la morte – nella cappella del barone Personè tre api sono intagliate sulla cornice che separa la parte superiore da quella inferiore del prospetto architettonico – ;gli animali delle tenebre come il gufo e la civetta con la loro capacità di vedere nel buio e ancora l’uroboro, il serpente che si morde la coda, metafora espressiva della riproduzione ciclica, simbolo ambivalente che collega la vita alla morte, il pesce il cui termine greco Ichthys è l’acrostico di Iesous Cristos Theou Hyios Soter cioè Gesù Cristo Figlio di Dio Salvatore.
Tra le più scenografiche è la cappella della famiglia Tommaso Zuccaro. Il progetto, firmato dal noto ing. Quintino Tarantino, si avvale di un ricco repertorio simbolico.
Il colore è bandito, resta solo il colore neutro della pietra. Un timido accenno di colore possiamo intravedere nella facciata della cappella Borgia, su cui sono dipinte fasce orizzontali bianche e grige.
Il motivo delle fasce bicrome viene mutuato dall’architettura civile, per esempio villa Lezzi a S. Maria al Bagno di Nardò, dove però i colori usati sono quelli caldi del rosso e del giallo ocra più appropriati ad abitazione di villeggiatura.
Certamente nella realizzazione di queste cappelle gentilizie gli architetti, gli ingegneri e le maestranze del tempo si avvalsero dei vari repertori a stampa che subito dopo l’Unità d’Italia iniziarono a circolare su tutto il territorio nazionale. In special modo, tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo, fiorì una serie di scritti e raccolte iconografiche sull’architettura cimiteriale.
L’Arte Funeraria Italiana, raccolta di tavole fotografiche, pubblicata a Milano, rappresentò per i professionisti del tempo il manuale del pratico operare dal quale attingere nuove soluzioni formali e stilistiche. Preziosa guida nell’ambito della progettazione fu anche il Manuale dell’Architetto, in cui l’autore Daniele Donghi aveva dedicato una consistente sezione all’architettura cimiteriale corredata di fotografie e planimetrie dei maggiori cimiteri italiani e stranieri. È anche pregevole l’opera di G.B. Savio Lapidi e monumentini funerari. Progetti con piante e particolari n.40 tavole, edita a Torino da l’Artista moderno.[26]
In definitiva il cimitero di una città rappresenta la summa degli stili e degli stilemi che si sono stratificati nell’architettura del centro abitato, ed è perciò che non si può fare a meno, al fine di un’analisi esaustiva del tessuto culturale di un territorio, di tenere nella massima considerazione anche queste propaggini, questi luoghi della contiguità fra fisica e metafisica, e dunque ontologicamente affatto lontani dai non-luoghi augeiani [27], i quali son di solito poco reputati dalle trattazioni storico artistiche. Scrive Anna Belardinelli: “Mai ho visitato un paese senza cercare di aggiungere al suo mosaico una tessera particolare: quella del luogo riservato ai morti. Spesso questo si è rivelato il tassello risolutivo per ricomporre in un disegno comprensibile tutto ciò che avevo visto fino ad allora. Sempre trovavo l’incastro giusto con tasselli che sembravano appartenere a scene di tutt’altro genere: del tempo operoso, delle relazioni sociali, dei bisogni elementari, dei desideri, in definitiva della vita. Sempre ho riportato dalla visita a questi luoghi speciali e appartati una ricca messe di informazioni e, nello stesso tempo, un’emozione forte, la sola mistura che può produrre conoscenza, entrarti dentro e modificarti”[28].
È anche molto interessante la prospettiva di sfruttamento economico di queste ulteriori sorprendenti risorse culturali. Nella città di Milano è statisticamente acclarato che, dopo il Duomo, il Cimitero Monumentale (costruito su progetto presentato nel 1860 dall’architetto Carlo Maciachini) rappresenta la seconda meta frequentata dai turisti stranieri, con “oltre 10 mila visitatori nel periodo marzo 2003 / giugno 2004”[29] .
I cimiteri salentini, opportunamente restaurati, possono, dunque, a buon diritto essere inseriti nel più ampio circuito degli itinerari culturali che, com’è noto, attirano nel nostro lembo di terra migliaia di turisti affascinati dalle straordinarie ricchezze storico artistiche che questa terra conserva.
Ma quando mai i Tafuri di Nardo’ sono stati baroni di Mollone! Carlo Tafuri barone di Mollone con il ramo di Nardo’ era imparentato, ma faceva parte del ramo di Lecce-Galatone. Vi prego di correggere grazie.