di Armando Polito
Di solito la parte di pavimento occupata dal letto è, per motivi facilmente comprensibili, quella meno soggetta ad una quotidiana pulizia, nonostante la presenza sul mercato di aspirapolvere dotati, tra gli accessori, anche di testa ultrasottile, snodabile, magari con telecamera incorporata, a fare concorrenza ad un endoscopio di ultima generazione. Basta, perciò, che questo attrezzo trascuri la zona in questione per una decina di giorni perché, sollevando le reti, si noti la presenza di una inconfondibile formazione, una sorta di peluria grigio cenere, leggerissima1: è la carpìa, voce usata a Nardò, S. Cesarea Terme, Cutrofiano (in quest’ultimo centro anche col significato di insieme di pagliuzze), Gallipoli, Montesano, Muro Leccese; scarfìa a Bagnolo, Calimera, Castrignano dei Greci, Lecce, Martano, Sternatia; al plurale scarfìe a Calimera, Melpignano, scarfèi a San Cesario di Lecce, per il Leccese; per il Brindisino scarfìi a Mesagne. Tutte le varianti riportate sono tratte dal vocabolario del Rohlfs, il quale alla voce carpìa, dopo aver ricordato che “anche in Toscana carpìa=peluria nella Versilia” rinvia a scarfìa, dove replica questa informazione, senza fornire, dunque, proposta etimologica.
Va preliminarmente detto che la voce in questione non è esclusivamente toscana o pugliese, ma alla sua ampia diffusione non ha corrisposto la sua registrazione nei comuni dizionari della lingua italiana, sicché a tutt’oggi rimane una voce dialettale, anche se, come già notato in una variante salentina, può assumere un significato più o meno leggermente traslato.
Un breve viaggio tra le definizioni di questa voce o di derivate che la suppongono come primitiva registra: “Velo. Superficiale agghiacciamento dell’acqua. Carpìa sôvr’al vein. Panno. Velo che si genera sulla superficie del vino”2; “Scarpiàr. Levar via la polvere dalle pareti o dalle travi. Levare le ragnatele o ragnateli”3; “Descarpiàr. V. tr., togliere le ragnatele [lat. tardo carpia lana sudicia]4; “Ragno, ragnatelo. Aver le carpie ai ochi. Aver caligine della vista, o gli occhi caliginosi, offuscati”5.
In un proverbio ha il significato di muschio: “Prete ca ruscélene nén metténe carpìa Pietre che ruzzolano non mettono muschio”6; in un altro quello di ragnatela: “La giustissia l’è una carpia dôv i môscon ga scàppan via”7.
Non fa nemmeno meraviglia che essa compaia in una quasi stereotipata similitudine in un sonetto (il XIII, vv. 5-6) attribuito, non concordemente, a Meo dei Tolomei, rimatore comico-realistico del tempo di Dante: “Donqua ben posso dicer: -Lasso, chi mmi/tien? Turbo, ch’al fuggir par di carpia!”8.
Addirittura è presente pure in testi di carattere scientifico-divulgativo e in particolare in uno in cui, assumendo il già visto significato di ragnatela (ma questa volta alla lettera), è indicata come strumento contro l’epistassi “Mezzo per fermare il sangue da naso. Prendasi un filo di seta ben consistente, s’incera molto bene, ed attaccasi ad una delle sue estremità una faldella di tela: dipoi si prende una corda da violino del secondo rango, e s’introduce nella narice sanguinante. Quando il capo di questa corda è in gola, si fa diligenza d’afferrarla con un paio di mollettine: si ritira la corda da violino per la narice, a quando si presenta il filo di seta, si ritira fino a che si sente la faldella nell’apertura posteriore della narice: allora si assoggetta il filo con della carpia, che s’intrude nella narice anteriore, e questo mezzo stagna quasi infallibilmente l’emoragia: pochi giorni dopo si toglie il ragnatelo, o carpia dalla narice anteriore: la faldella si staccherà dipoi, e la cura sarà perfetta.” e contro le scottature: “Rimedio familiare contro la scottatura. Si prende dell’olio d’uliva, dell’aceto, del sale e del pepe nella porzione ordinaria per farne una salsa: sbattasi tutto insieme, ed ungasene le parte scottata, che poi si cuopre con della carpia.”9
Quanto appena riportato mi consente di continuare questo tira e molla temporale ricordando che carpia era comparsa già in testi della scuola medica salernitana risalenti al XIII° secolo: “Vulnus autem extrinsecus cum panno solum et carpia, B, usque ad finem perfectam curamus. B Additio. Nota quod carpia est carpitura panni, sive rasura”10 [Curiamo poi una ferita esterna solo con un panno e carpia11, B, fino alla completa cicatrizzazione. B Aggiunta. Nota che la carpia11 è (il prodotto de)la carpitura11 del panno o rasatura)].
Carpia compare ripetutamente anche in un poema medico in sette libri (De secretis mulierum, de chirurgia, de modo medendi) di anonimo contenuto in un manoscritto del XIII° secolo e pubblicato a Napoli a cura di da Ch. Daremberg per i tipi Filiatre-Sebezio nel 1855:”Carpia sufficiet ad vulnus in exteriori/cum solo panno; sequiturque finis honestus” (La carpia basterà per una ferita nella parte esterna con solo panno; e segue un esito conveniente)12; “ …Cum sicca tamen fuerit, tunc carpia sola/sufficiet…(Quando tuttavia sarà secca, allora basterà la sola carpia)13; “Sufficiet cure cum panno carpia sola”14 (Basterà alla cura la sola carpia col panno); …“Carpia vel pannus intromittatur…”15 (…Si introduca carpia o panno).
In una traduzione latina di Oribasio (autore greco del IV° secolo d. C.) contenuta in un manoscritto che risale probabilmente all’XI° secolo si legge: “Ad autem digiti ptyrigia facta libanum tritum superpones et legas aut orobum tritum…similiter sandarace…teris et super[po]nis radici unguis, et desuper carpia de lenteo; derectat hoc ptyrigia.”16 (Contro i paterecci già formati applica libano pestato e fascia o orobo pestato…allo stesso modo pesta sandarace e ponilo alla radice dell’unghia e sopra carpia di lino; questo risolve i paterecci). Il nesso originale tradotto in latino con carpia de lenteo (carpia di lino) è xusma otonìu (alla lettera: raschiatura, filaccia di lino).
Il lettore avrà già notato che la nostra voce risulta scritta ora con accento (carpìa) ora senza. Ho rispettato l’esatta grafia del testo originale da cui la citazione è tratta. Il problema più grosso è dato dai testi in latino (a cominciare dal Du Cange che di regola non pone accento). Ora in latino carpia va letto càrpia se la i è breve, carpìa se lunga. La quantità delle vocali è decisiva in poesia e le ultime citazioni tratte dal manoscritto del XIII° secolo sono inserite in esametri e costantemente ed inequivocabilmente, nella posizione in cui si trova, la i di carpia dev’essere breve. Ma se carpia, dunque, va letto càrpia, come mai la voce da cui è partito tutto il post è carpìa?
Potrebbe essersi verificato ciò che è successo all’italiano manìa che è dritto dritto dal greco manìa, mentre nel latino medioevale è mània; fenomeno analogo per filosofìa, dal greco filosofìa, mentre in latino è filosòfia. Tutto ciò supporrebbe che carpìa non derivi più da càrpere ma dal greco karfèia (si tratta di un neutro plurale) non nel suo significato di frutta matura, ma come forma aggettivale pura e semplice (=cose disseccate) derivata dal verbo karfo=disseccare e collegata col sostantivo karfos (=paglia, fuscello) oppure, sempre dalla stessa radice, da karfìa (plurale di karfìon=fuscello; che il significato di insieme di pagliuzze che la voce ha, come s’è detto all’inizio, a Cutrofiano, sia legata all’una o all’altra di queste due voci greche?).
L’aggancio semantico piuttosto labile tra l’idea di paglia e quella di peluria, sorta di lanugine mi spinge a privilegiare l’ipotesi che carpìa sia dal francese charpie (sempre dal latino càrpere) citato in nota 10, come in italiano morìa è dal francese antico mourie (da mourir) e razzìa dal francese razzia (a sua volta dall’arabo magrebino ġhāziyya, da ġhāzwa=incursione).
E l’intermediario francese spiegherebbe e sanerebbe il contrasto tra càrpia e carpìa messo poco fa in evidenza.
________
1 Una formazione della stessa sostanza, meno leggera, più densa e consistente per lo spazio ristretto in cui si forma, si rinviene anche nel fondo delle tasche.
2 Lorenzo Foresti, Vocabolario piacentino-italiano, Fratelli del Majno, Piacenza, 1836.
3 Giuseppe Boerio, Dizionario del dialetto veneziano, Cecchini, Venezia, 1867.
4 Oscar Zambon, Glossario del dialetto veneziano di terraferma, Vianello, Ponzano, 2008.
5 Gasparo Patriarchi, Vocabolario veneziano e padovano, Tipografia del seminario, Padova, 1821.
6 Arnaldo Brunale, Proverbi a Campobasso, Ferrazzano, Enne, 2004, pag. 231.
7 Lares, v. XX, L.S. Olschki, Firenze, 1954, pag. 122.
8 Maurizio Vitale, Rimatori comico-realistici del Due e Trecento, Unione tipografico-editrice torinese, Torino, 1956, pag. 262.
9 Miscellanea, ossia problemi di Accademie, numeri, rispettivamente, del 7 aprile e del 27 ottobre 1784, in Progressi dello spirito umano nelle scienze e nelle arti, Alli confini dell’Italia, s. l., 1784, pagg. 444-445 e 1375. Il potere cicatrizzante della ragnatela, confermato dagli studi moderni, è un classico della medicina popolare di un tempo.
10 G. E. T. Henschel, Charles Daremberg, Salvatore De Renzi, Collectio Salernitana: ossia documenti inediti e trattati di medicina appartenenti alla scuola medica salernitana, vol.II, Napoli, Dalla Tipografia del Filiatre-Sebezio, 1853, pag. 430.
11 Ho mantenuto tal quale la voce latina medioevale carpitura, sorella di carpìta, che in italiano ha dato vita all’obsoleto carpìta=coperta pelosa, dal latino càrpere=strappare, cogliere, smembrare, nel significato traslato di scardassare la lana (craminàre è il verbo corrispondente nel dialetto neretino, per il quale vedi il post Un verbo destinato a scomparire, come tutti i vocaboli legati ad un fenomeno estinto del 2 maggio u. s.) Sulle voci latine medioevali carpita e carpia ecco cosa riporta il Du Cange (Glossarium mediae et infimae Latinitatis, Favre, Niort, 1883, tomo II°, pag. 182: “CARPITA Vox italica. Panni villosi vel crassioris genus, et vestis ex eo panno; unde nostris etiam Carpite, Hispan. Carpeta, tapes.” [Voce italica. Tipo di panno peloso o alquanto grossolano, e veste fatta di quel panno; donde per i nostri (in francese) anche carpite, spagnolo carpeta, tappeto); “CARPIA Linamentum, seu linteum carptum quod vulneribus inditur…nostris Charpie, vox chirurgis nota…CARPITA Eadem notione…” (CARPIA benda di lino, o lino rasato usato per le ferite,,,per i nostri (in francese) charpie, voce nota ai chirurghi…CARPITA Con lo stesso significato…). Che il verbo càrpere già in epoca classica avesse assunto il significato specialistico di trattare la lana lo testimonia Celso (I° secolo d. C.), De medicina VI, 6, 1 “ …lana mollis bene carpta…” (lana morbida ben cardata) e che tale significato sia continuato anche nel tardo latino lo attesta Marcello Empirico (IV° secolo d. C.), De medicamentis, IX, 90: “lanae sucidae non carptae” (lane appena tosate non cardate).
12 Op. cit., I, 5, vv. 55-56, pag. 43.
13 Op. cit., I, 10, v. 160, pag. 46.
14 Op. cit., I, 14, v. 246, pag. 48.
15 Op. cit., I, 33, v. 550, pag. 56.
16 Oeuvres d’Oribase, a cura di Bussemaker e Ch. Daremberg, Imprimerie national, Parigi, 1876, v. VI, pag, 151.
una delle caratteristiche della carpìa è di trattenere altri frammenti, peli, fili. Mi viene allora in mente il verbo greco “arpazo”=afferro. Credi ci possa essere qualche collegamento, oltre alle tue giustissime e condivisibili origini del termine?
Da quanto si deduce dalle argomentazioni esposte, si dovrebbe postulare quindi una commistione, o una influenza, di un salent. carfìa (di origine greca) con un altro termine salent. carpìa (di origine francese)? Però in questo caso un prestito diretto dal franc. charpie avrebbe sortito in *sciarpì (come il franc. chemise > salent. sciamissi); allora dovremmo ipotizzare un prestito dal provenzale o dal normanno (francese) che mantengono la velare sorda /k/ davanti ad /a/. Forse! E si dovrebbe spiegare perché la prostesi di s- è solo in una voce (scarfìa ma non *scarpìa). Rammento che skàrphos è varia lectio di kàrphos [ma non trovo con esattezza la fonte].
Oltre che dal greco karfèia carpìa potrebbe essere anche da karfìa (sempre greco), plurale (con valore collettivo, come spesso succede con i neutri) di karpìon=festuca. Quanto a scarfìa la s- potrebbe essere una nostra aggiunta espressiva (come in scarciòppula, rispetto a carciofo, in cui la s- potrebbe non essere dovuta alla x dell’arabo xarsuf)
Quanto ad arpàzo (da cui in latino, con metatesi, ràpere=rapire) come faccoamo a spiegare la c/k di carpià?