Col tempo e con la paglia maturano le nespole (Meddrhe – Mespilus germanica L.)
di Antonio Bruno
Mespibis germanica L. i Greci antichi lo chiamavano méspilon, Linneo pensava, sbagliando, che la Germania fosse l’area d’origine. Il caro amico Gigi, grande affabulatore, narratore del mondo che riesce a penetrare con le sue parole misteri altrimenti inesplicabili ha puntato il faro della sua sapienza sulle Meddrhe o Nespolo Comune costringendomi a ricordarlo e a farvelo ricordare.
“Thre suntu le cose ca ti nnudacanu lu core: le meddrhe, li cutugni e le male parole” Traduzione “tre sono le cose che lasciano senza respiro il cuore: le nespole, i cotogni e le cattive parole”
Se l’agricoltura e il turismo vanno di pari passo ecco che nelle strutture di accoglienza appaiono gli alberi da frutto di cui sente parlare poco che producono frutti misteriosi e tra questi le “Meddrhe”, che poi sono le Nespole che vengono prodotte dal Nespolo Comune o Mespilus germanica. Era domenica scorsa quando Gigi Di Mitri sapientemente ha iniziato a parlare di ciò che nella vita conta, dei sapori e degli odori del Salento leccese ed è così che me l’ha ricordato durante una cena vegetariana a Zollino. Il caro amico Gigi, grande affabulatore, narratore del mondo che riesce a penetrare con le sue parole misteri altrimenti inesplicabili ha puntato il faro della sua sapienza sul Nespolo Comune costringendomi a ricordarlo e a farvelo ricordare.
Chi fa accoglienza rurale, e anche chi fa accoglienza in questi splendidi alberghi del Salento leccese, se offre agli ospiti il gusto di questo frutto ecco che riesce a dare un immagine di genuinità evocata da queste essenze arboree dell’ambiente antico del nostro Salento leccese che in tutti i tempi, e ora come allora, è stato attraversato dai popoli della terra che dal Nord andavano ad Est e che oggi da Sud arrivano in Europa.
I Greci antichi lo chiamavano méspilon e nespolo deriva dal latino Mespilium, tradotto dal greco mespilon, che si riferisce a biancospini orientali simili a questa pianta da frutto.
Le meddhre (Mespilus germanica) erano frutti consacrati al dio greco Crono e al Dio latino Saturno perché era considerato utile arma di difesa contro le energie negative degli stregoni.
Pare che il primo maggio, secondo la credenza, gli stregoni potevano privare la pianta del fogliame e renderlo sterile per non riprodurre i suoi frutti, ma solo se la pianta non era stata benedetta.
Anticamente i medici credevano che avesse il potere di regolare i flussi intestinali. Questa utilizzazione riprese all’inizio del secolo con una sperimentazione a livello ospedaliero da parte di un medico francese, il Dott. Mercier, che ottenne buoni risultati sulla regolazione delle diarree.
Nel Bollettino della Società dei naturalisti in Napoli è riportato uno scritto del Della Porta sulle varietà di nespolo (Mespibis germanica L.) che si coltivavano ai suoi tempi:
“I nostri nespoli sono di due specie, uno a frutto grande quasi quanto una mela, coi rami privi di spine, ed è coltivato e perciò ha perduto l’abito selvatico; l’altro, irto di spine, che nasce nelle selve e nei luoghi incolti , a frutto piccolo e più acerbo e che appena si può mangiare dopo che si è maturato lungo tutto l’inverno, e a Napoli lo chiamano niespolo canino. Ve n’è poi una terza specie, a frutto più stretto ed allungato, senza noccioli, che credo piuttosto un prodotto della coltura e della bontà del terreno, piuttosto che un genere diverso, perchè dallo stesso albero si hanno frutti rotondi con nòccioli e frutti oblunghi e senza noccioli”.
Quindi ci sono tre varietà di nespolo cioè il Mespilus germanica L., che corrisponde al nespolo canino; il M. g. apyrena, che è Vinternis ossihìis carens di Della Porta; e il M. g. fructìt maximo, che è quello descritto
E’ un un albero che ha avuto origine nella penisola balcanica sud orientale, nel Caucaso, in Crimea, nel Nord dell’Iran ed in Turkmenistan. Il nome germanica che fu adottato da Linneo riteneva da una presenza molto forte in Germania che fece pensare a Linneo che quella fosse l’area d’origine.
Era noto insieme al cotogno come frutto astringente; infatti Nicolas Alexander, benedettino, nel 1751 scrive: “lo si impiega all’interno ancor verde, nei flussi di ventre, la dissenteria, i vomiti, la nausea e in tutti i casi in cui le fibre rilasciate hanno bisogno di essere ristrette”.
Henry Leclerc medico francese 1870-1955 scrittore del libro Lineamenti di Fitoterapia fece uno sciroppo di nespolo che risultò efficace nelle diarree infantili.
L’albero può raggiungere l’altezza di 6 metri ed è caratterizzato quasi sempre da un tronco storto. Le foglie sono grandi e caratterizzate da una leggera peluria nella pagina inferiore e una seghettatura vicino alla punta, i fiori sono bianchi. Interessante la maturazione dei frutti: ricordate il vecchio adagio “col tempo e con la paglia maturano le nespole”? Bene, le nespole o meddrhe vengono raccolte in autunno e lasciate ammorbidire in un cesto mettendogli accanto un paio di mele per un paio di mesi. In questo modo diventano dolci altrimenti sono molto astringenti.
La decozione delle foglie e dei frutti è utile come gargarismo nei mal di gola.
La tradizione popolare conosceva l’impiego antidolorifico, in caso di mal di stomaco, dei frutti secchi polverizzati.
Il decotto dei frutti freschi, non ancora maturi, era somministrato nelle affezioni epatiche.
Forse ho scritto delle nespole, oltre che per la fortissima suggestione che mi ha dato domenica Gigi Di Mitri, perchè il tempo è galantuomo, lo riscontro in ogni circostanza e con il tempo “i muri si abbassano” come mi disse Rino De Filippi un vecchio ormai scomparso segretario di un vecchio e ormai estinto partito nel quale mi onoro tuttora di aver militato in giovinezza.
Bibliografia
Giancarlo Bounous, Elvio Bellini, Gabriele Beccaro, Laura Natarelli: Piccoli Frutti e Fruttiferi minori in montagna tra innovazione e tradizione
Markus Kobold:Liquori d’erbe e grappe medicinali
I Nostri frutti nelle TRADIZIONI POPOLARI e nella fitoterapia, Categoria Etnobotanica, Frutti, Tradizioni Popolari, Contributo al Convegno sui Frutti Dimenticati di Casola Valsenio http://www.etnobotanica.org/category/tradizioni-popolari/
Bollettino della Società dei naturalisti in Napoli 1914 http://www.archive.org/stream/bollettinodellas26soci/bollettinodellas26soci_djvu.txt
Henry Leclerc : Lineamenti di Fitoterapia
Elvio Bellini – Edgardo Giordani: Riscopriamo i fruttiferi minori
Postato su Biblioteca Comunale Francesco Piccinno, FB. Complimenti.
carissimo Antonio, grazie del post, ma…
“Thre suntu le cose ca ti nnudacanu lu core: le meddrhe, li cutugni e le male parole”
Traduzione “tre sono le cose che lasciano senza respiro il cuore: le nespole, i cotogni e le cattive parole”
… permettimi di non essere del tutto d’accordo con la tua traduzione di “nnudecare lu core”… io incaricherei Amando Polito…
Naturalmente è una boutade….
Nnuticàre: anzitutto è difficile dire se il raddoppiamento iniziale di n è di origine espressiva (fenomeno frequente nei dialetti salentini) oppure ciò che rimane, per aferesi, della preposizione in. È, invece, agevolissimo e quasi impossibile da contestare che la voce non può che derivare da un latino volgare *nodicàre, non attestato nemmeno nel latino medioevale, il che per me è una delle tante testimonianze concrete di una poeticità (anche in senso etimologico, dal momento ha la voce poesia è dal verbo greco poièo=faccio, creo) “popolare” che può tranquillamente far felice concorrenza a quella “dotta”. *Nodicàre, poi, è forma derivata dal classico nodàre, come, per fare un solo esempio, albicàre=biancheggiare lo è da albàre=imbiancare (il suffisso -icàre conferisce alla voce originaria una sfumatura di incipienza o di approssimazione). Le parole sono come gli uomini, nel senso che anche alcune di loro sono sfortunate: il destino ha voluto nel nostro caso (uno dei tanti) che nessuna persona di cultura abbia mai usato (e imposto col suo ascendente) *nodicàre che sarebbe stata, in italiano, la trascrizione più fedele della nostra voce dialettale, che è usata transitivamente (come nel proverbio citato) ma anche assolutamente (cioè senza complemento oggetto) nel senso di avere problemi di deglutizione (sta nnòticu). Dopo quanto ho detto credo sia chiaro quanto sia difficile la “traduzione” che (vista l’inesistenza di nodicàre) obbliga ad usare una circollocuzione che mai sarà in grado di rendere, lo sottolineo, l’immediatezza, l’espressività e, ripeto, la poeticità della voce di partenza. Per questo, la traduzione di Antonio Bruno può essere una delle tante valide ma tutte, come succede sempre in queste circostanze, approssimative.
mi permetterai, caro amico, di aggiungere una considerazione al tuo plausibilissimo post. Nel dialetto la laringe non mi sembra trovare un termine che la traduca, per cui la si indicava con un generico “nnutu” (nodo), da cui potrebbe essere derivato “nnuticare” (come da “lurdu”-llurdisciare, “minesscia”-minissciare, ecc.).
Il nostro popolo, ovviamente digiuno dell’anatomia, non poteva darsi spiegazione di quella sporgenza sul collo, mentre conosceva che nelle sue vicinanze sarebbero decorsi l’esofago (cannacuezzu) e la trachea (cannaliri), come in tutti gli animali che aveva avuto modo di osservare prima di cuocerli. Tale protuberanza, paragonabile alla rilevatezza di un nodo su una fune, di una canna palustre o di un tubo qualsiasi, ecco che la denomina con un generico “nnutu”.
Sono soltanto dei pensieri che mi vengono in mente, assolutamente distanti dalla tua più scientifica analisi.
Piuttosto “ti solletico” con quel, per me, misterioso, “cannaliri”…
Per la fretta ho dimenticato, infatti, di aggiungere che il latino classico nodàre significa annodare e che a sua volta è da nodus=nodo.
Cannaliri è forma aggettivale sostantivata con aggiunta di un ulteriore suffisso al latino cannàlis=relativo alla canna, a sua volta da canna=canna. La trachea è canna gutturis (canna della gola) in celio Aureliano (medico del 5° secolo d. C.)
Approfitto dell’occasione per ricordare che nel dialetto neretino esiste anche cannauèzzu, da canna+gozzo, probabilmente importato perché gozzo in neretino è quàzzu e, perciò, mi sarei aspettato cannaquàzzu.
Non sapevo di questo frutto, due domeniche fa con il WWF e con il gruppo archeologico abbiamo visitato il bosco del compare,involontariamente mi sono accorto di questo albero di nespolo che non conoscevo,la mia curiosita di capire di che frutto si trattava ho vhisto al gruppo ma nessuno mi ha dato spiegazioni, cosi ne ho raccolto due che conservo, grazie a questo articolo sono riuscito a sapere di che frutto si tratta,grazie
vorrei sapere gentilmente se è possibile fare il liquore con i noccioli delle nespole comuni e come. grazie.