di Daniela Lucaselli
Le mie spigolature questa volta riguardano il porto di Taranto, uno dei luoghi più celebri della città ionica. Ubicato sulla costa settentrionale del golfo è costituito da una rada, denominata mar Grande e da un’insenatura interna più piccola chiamata Mar Piccolo.
Il porto comunica col Mar Piccolo tramite un canale di scarsi fondali, il Ponte di Pietra di Porta Napoli. A sua volta il Mar Piccolo è messo in comunicazione con il Mar Grande a mezzo di un altro canale più a sud, artificiale, il canale navigabile con il ponte girevole in ferro.
Il porto è una struttura che impera al centro della città e nel cuore del Mediterraneo.
In passato era uno degli approdi più ambiti e sicuri del Mediterraneo. Il sito, infatti, dove ebbe origine Tarantos era abitato sin dall’epoca preistorica da genti che ebbero contatti con le popolazioni dell’Egeo (1) e ricoprì un ruolo egemone fino agli inizi dell’età ellenistica.
La scelta di questa confortevole meta favorì lo sviluppo della città in età classica ed ellenistica e le assicurò l’interesse di Roma che la utilizzò per il commercio con il sud del Mediterraneo.
Le fonti letterarie, infatti, attestano che in età classica il porto era un “rifugio” importante per le navi militari. Nella seconda metà del IV secolo a. C., la struttura portuale era operativamente attiva nell’esportazione dei prodotti dell’artigianato, quali vasi, rilievi in pietra tenera, mosaici, che inviava in Sicilia, in Grecia e in molti Paesi del Mediterraneo.
La sua decadenza ebbe inizio nel III secolo, dopo che Taranto cadde sotto il controllo dell’autorità di Roma: gli eventi si susseguirono e ne determinarono la storia e il destino. Le guerre annibaliche, il saccheggio e la distruzione del 209 crearono uno dei momenti più critici per la vita della città e di conseguenza per il suo porto.
Polibio, comunque, sostiene che il porto di Taranto rimase, nonostante questo momento storico particolare, una tappa obbligata per chi veniva dalla Sicilia o dalla Grecia.
Lo studioso sottolinea la sua forma e la sua posizione al centro dell’area urbana, dove, precisa, si arrivava per mezzo di un ponte.
“Mentre la maggior parte del golfo di Taranto è importuosa, a Taranto c’è un porto molto bello e ampio, del perimetro di cento stadi, chiuso da un grande ponte. Tra il fondo del porto e il mare aperto si forma un istmo, sicchè la città sorge su una penisola e poiché il collo dell’istmo è poco elevato, le navi possono facilmente essere trainate da una parte all’altra”.
Il porto di cui si parla è quello che oggi è il “porto piccolo” e pare che fosse chiuso da un ponte.
Tale ponte, che esisteva molto probabilmente già in età annibalica, come si può dedurre da una testimonianza di Appiano (2), secondo lo Schmiedt doveva corrispondere all’attuale Ponte di Napoli. La coincidenza dell’antico bacino con la parte più sicura dell’insenatura portuale ha fatto perdere le tracce di qualsiasi struttura muraria di rinforzo costruita dalla città per raffozzarne le possibilità.
La distruzione operata dai Saraceni rappresentò per la città l’inizio di un periodo di inarrestabile decadenza.
Taranto non fu più il prestigioso crocevia “lungo uno degli itinerari più importanti per gli scambi economici e culturali del mondo antico” (3).
Quarant’anni dopo, e precisamente nel 967, l’Imperatore d’Oriente, Niceforo Foca, ricostruì la città e cambiò la posizione del porto di Taranto: “solo fino a quell’anno questo era entro il Mar Piccolo, lungo la sponda Nord dell’Acropoli Greca, dopo la ricostruzione di Niceforo l’approdo dovette essere spostato nel Mar Grande, nell’insenatura compresa fra lo Scoglio del Tonno e la città, nel luogo che ancora oggi è detto porto Mercantile” (3).
Fu comunque l’invasione Normanna nell’Italia meridionale a far riacquistare importanza a questa struttura che venne ampliata nel XV secolo, sotto gli Angioini, quando appunto Taranto attraversò un momento economico piuttosto fiorente.
Varie vicissitudini si avvicendarono: nel 1573 la città passò agli Spagnoli, nella prima metà del XVII secolo un’epidemia di peste decimò drasticamente la popolazione, fino a quando, durante il periodo napoleonico, Taranto divenne una “piazzaforte marittima, vertice di un triangolo difensivo comprendente anche la Spezia e Venezia.
Di Taranto si scriveva: < …Essa per la posizione geografica esibisce una porta sicura e comodissima per le gite in Egitto e nell’Arcipelago. Taranto è sempre un porto sicurissimo in mare ed un’ottima situazione per terra colla linea dell’Adriatico.
E’ il luogo dove potrebbero i Francesi tirare viveri e mandare truppe per sostenere l’impresa per aver sempre un ottimo quartiere di ritirata e qualunque eventi di rovescio…” (4).
Il 23 aprile 1801 un’armata francese occupò Taranto. Nel 1815 ritornarono i Borboni. L’unico lavoro portuale effettuato fu la costruzione di una banchina lunga7 metricon 6 piccoli moli sporgenti ove potevano attraccare piccole e modeste imbarcazioni da pesca o da carico.
Dopo l’Unità d’Italia Taranto riprese il ruolo di un’importante base militare. La costruzione del Nuovo Arsenale e il decollo industriale videro il porto marittimo al servizio delle attività militari.
Le strutture non militari, ma fatiscenti, quali la banchina Garibaldi in Mar Piccolo, e i due moli S. Cataldo e S. Eligio costituivano il “porto mercantile”.
Questa è storia una storia che non è solo ricordo, una storia che parla, una storia che è ancora viva e vita e che fa sentire impetuoso il suo eco… in questa grande-piccola Città, che è Taranto.
NOTE:
1) Q. Quagliati, in Not. Scavi 1900 e 1902; M. Coppa, Storia dell’urbanistica dalle origini all’ Ellenismo, Torino, 1968, pp. 707-709;
2) P. Wuilleumier, Tarente, Paris 1939, pag. 240;
3) M. Magazzino, G. Solano, R. Russo, L. Andriani, G. Andriani, V. Donvito, R. Stabile, Il Porto di Taranto, Mottola (1987), pag. 2;
4) M. Magazzino, G. Solano, R. Russo, L. Andriani, G. Andriani, V. Donvito, R. Stabile, Il Porto di Taranto, Mottola (1987), pag. 2 e 5;
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