CIVILTA’ CONTADINA DI FINE OTTOCENTO
SANTA CISARIA E SSANTU MARTINIEDDHRU
I CONTADINI INVOCAVANO I DUE SANTI TAUMATURGICI PERCHE’ CONVINTI CHE TENESSERO LONTANA LA MORTE
di Giulietta Livraghi Verdesca Zain
Con l’avanzare della vecchiaia e il proporsi sempre più frequente degli acciacchi propri dell’età, i vecchi entravano nel clima depressivo dell’incombente fine e se da una parte, per non tradire alla loro rassegnazione cristiana, si dicevano pronti a “partire” (“Stàu cu llu pete ssuétu a lla partùta”), dall’altra cercavano di esorcizzarne lo spettro ricorrendo allo scongiuro:
“Sbatte lu palùmmu sbatte l’ale
Santa Cisària nganna lu male;
intra’a lla limma lu palùmmu patésce,
Santa Cisària la ita llunghésce;
cappa tagghiàta no tt’à ddulire
ca Santu Martiniéddhru ti face criscìre”.
(“ Sbatte… il colombo sbatte le ali / Santa Cesarea inganna il male [il padre, ossia il diavolo che lo tenta]; // nel bacile, il colombo soffre: / Santa Cesarea allunga la vita; // mantello tagliato [ridotto a metà] non te ne dolere // ché San Martinello ti fa ricrescere [ridiventare intero]”).
Ricorso al magico-religioso che, come si può notare, risulta imperniato sulle figure protettrici di due santi le cui note agiografiche venivano astutamente convogliate a proprio tornaconto.
Per sfuggire all’imposizione paterna che la voleva sposa di un ricco mercante, Santa Cesarea era ricorsa a uno stratagemma: la mattina delle nozze, prima di calarsi dalla finestra e raggiungere il convento scelto a suo rifugio, aveva versato un po’ d’acqua in un catino, sistemandovi poi dentro un colombo impastoiato. Col suo sbattere d’ali, la bestiola aveva ovviamente creato un rumore d’acque smosse, in tal modo ingannando il genitore il quale, messosi ad origliare dietro l’uscio e pensando che la figlia si stesse ancora lavando, aveva deciso di concederle tempo per i suoi preparativi nuziali.
Una proroga che aveva permesso alla Santa di portare a compimento la fuga e quindi le odiate nozze.
Altrettanto calzante la storia di San Martino, giovane soldato protagonista di un commovente atto d’amore: incontrando un povero vecchio seminudo, lo aveva premurosamente coperto con metà del suo mantello, lì per lì tagliato con un deciso colpo di spada.
Nel racconto canonico, tanta esemplarità di gesto trovava conclusione in una folgorante apparizione di Cristo con sulle spalle il mezzo mantello regalato all’indigente, ma nella versione popolare i termini si ampliavano: all’apparizione di Cristo, San Martino aveva visto il suo mezzo mantello miracolosamente ridiventato intero, simbolo del dono di moltiplicazione che da quel momento gli veniva conferito.
Di qui l’uso, anzi l’obbligo, di annunziarsi con la frase augurale “Santu Martinu bbi cresca” (“San Martino vi moltiplichi il raccolto”) tutte le volte che si arrivava in un campo dove si stava raccogliendo. Obbligatorietà di saluto da far valere anche negli incontri con i vecchi, che simbolicamente visti come operai intenti al racimolo degli anni, meritavano l’intervento del Santo, in questo caso deputato al prolungamento della vita.
Unica differenza nella compitazione del nome che da Martino passava al vezzeggiativo Martiniéddhru, quasi a sollecitare un afflato di tenerezza fra la gioventù del Santo soldato e l’inermità della vecchiaia.
Nel caso in oggetto, ovverosia nella poesiola-scongiuro pronunciata dai vecchi, l’uso del vezzeggiativo veniva agito come credenzialità patriarcale, ribadimento di un privilegio che facendo ponte fra la dilazione dei tempi di scadenza perpetrata da Santa Cesarea e la moltiplicazione degli anni attuata da San Martino, si traduceva in un sicuro allontanamento della morte.
Questo “pezzo” è stato pubblicato dal quotidiano “LA GAZZETTA DEL MEZZOGIORNO” l’11 novembre 1997
DA CHE MONDO è MONDO L’UOMO HA CERCATO CONFORTO DAI SUOI MALI NEL SOPRANNATURALE, DALLO STREGONE AL GUARITORE AL MASCIARO, SPECIE QUANDO LA MEDICINA UFFICIALE NON RIESCE A RISOLVERE IL PROBLEMA. GRAZIE ALL’AUTORE PER IL GRADEVOLE POST.
GRAZIE A NINO PER AVERLO PROPOSTO.
UN CARO PENSIERO.
Ciao Gigi, caro, carissimo amico!
La tentazione è fortissima e non riesco a trattenermi dal riportare una delle invocazioni più “goliardiche” che un vecchio vicino di casa recitava a mo’ di rosario infilandone una dietro l’altra fino all’ilarità generale.
Era quella delle partorienti a Santa Liberata, “..che dolce sia l’uscita, come dolce fu l’entrata…”.
Fortissima questa… non l’avevo mai sentita. Facendo sorridere, riporta a certe piacevoli realtà esistenziali!