LETTERATURA DISSIDENTE:
MAURIZIO NOCERA SU SALVATORE TOMA
di Paolo Vincenti
“Salvatore Toma è nato a Maglie l’11-12 maggio 1951 e qui morto nell’agosto del 1968 in seguito ad una colluttazione d’amore. Ma non erano passate che poche ore dal suo disastroso decesso, che il cielo lo rispedì sulla terra per mancanza di prove. Ora vive su una enorme quercia, si nutre di beffe e raramente guarda a terra. Ma più che per le sue divine poesie, Salvatore Toma è famoso per la sua acrobatica precisione nel beccare il vasino, abilità maturata col fatto che non volendo scendere mai più dall’albero, i monellacci del luogo glielo spostavano, divertendosi a vedere come se la cavava. Ed è appunto per questo incalcolabile virtuosismo che nel 1993 ha vinto il Premio Nobel. Si narra che in quell’occasione, unanimemente richiesto di esibirsi, i giudici scappassero in tutte le direzioni come pazzi inferociti, ma furono da lui tutti puntualmente beccati anche a distanze mostruose. In questi ultimi tempi gli è presa la fissazione dei fumetti, ma guai a portarglieli via perché sbraita come una bestia! Quei maledetti monellacci, ora che lo scherzo del vasino non funziona più, gli hanno messo in testa che i fumetti sono dei meravigliosi dolcetti che si fanno in provincia di Rovigo. Poveri poeti. Scherzi a parte, Salvatore Toma è un tipo decente, presentabile, un po’ volutamente folle, ma in definitiva un buono. E’ sposato con una cara moglie-madre, piovutagli dal cielo (senza colluttazione…perciò è sfortunato al gioco) e ha due strepitosi bambini che gli fanno da papà e gli stanno sempre appresso, perché se lo perdono d’occhio un istante, ma solo un istante, lo si ritrova subito su quella maledetta querciaccia… Capito ora?”
Questa era la auto-presentazione, in un italiano un po’ precario come la sua vita, che a Salvatore Toma era piaciuto fare per il suo libro Forse ci siamo (Pensionante dei Saraceni 1983) e che viene ripresa in quarta di copertina di questa ripubblicazione, Ancòra un anno (là dove bisogna sempre rimettere l’accento sulla ‘o’ di ‘ancora’ perché, in prima battuta, la correzione automatica del computer prontamente la elimina), edito, per la prima volta, nel 1981 da Capone.
Questo libro è la quinta opera in volume di Salvatore Toma, poeta salentino autodidatta, nato a Maglie nel 1951 ed ivi vissuto fino al 1987, anno della sua prematura scomparsa. Dopo Poesie (Prime rondini), edito da Gabrieli nel 1970, Ad esempio una vacanza, Gabrieli 1972, Poesie scelte, Ursini 1977, Un anno in sospeso, Lalli 1979, nel 1981, Toma trovava grosse difficoltà a pubblicare questa sua ennesima fatica letteraria e, dopo il giro dei sette conventi, incontra finalmente l’editore Capone di Cavallino disposto a dargli fiducia.
Così il libro, curato da Nicola G.De Donno e Donato Valli, che ne scriveva l’Introduzione, vide la luce e, se non si può dire esattamente che fu un successo (e nessuno dei libri di Toma lo fu, se non per postuma grazia ricevuta di “Santa Maria Corti” da Mediolanum ), diede almeno la stura al poeta magliese per continuare a scrivere e pubblicare. Oggi, in occasione del ventennale della morte del poeta, il libro, per la cura di Maurizio Nocera, viene ristampato da Capone in 300, dico trecento copie, conservando il primevo impianto dell’opera, “Introduzione” del Magister Valli compresa. Il libro è stato presentato, venerdi 1 giugno, al Fondo Verri di Lecce da Lorenzo Capone e Maurizio Nocera, con letture di Piero Rapanà. Ancòra un anno (1978-1980), dedicato da Toma “Agli indiani d’America alla pacifica tribù pellirossa Duwanish e a Capriolo Zoppo a tutti gli oppressi e morti di violenza”, presenta in copertina una carta assorbente colorata di Antonio Massari, intitolata “Salvatore Toma Capo indiano”, su disegno di Edoardo De Candia intitolato “Mandria di bisonti”; in quarta di copertina, un ritratto di Toma ad opera di Antonio Massari e lo scritto “Autoritratto” dello stesso autore.
Toma, “un poeta essenziale” come lo definisce Mauro Marino, “con la forza dell’ingenuo, del puro-folle, del santo mischia sentimenti”, pubblicò nel 1983 Forse ci siamo (Pensionante dei Saraceni), la sua opera più matura, e poi numerosi brani su riviste e fogli sparsi. Morì il 17 marzo 1987 ed è sepolto nel cimitero di Maglie. Profondo amante della natura, faceva l’allevatore di cani e nutriva uno smisurato interesse per gli uccelli e gli animali in genere.
Nel 1999, quando ormai ad occuparsi di Toma erano soltanto i suoi amici (“pochi” come sottolinea Maurizio Nocera) e quella ristretta cerchia degli addetti ai lavori, ecco che la grande italianista Maria Corti (“l’hidruntina” come è stata ribattezzata da Nocera) confermava, applicandolo al Toma, il motto latino non omnis moriar, pubblicando Canzoniere della morte (Einaudi Torino), una selezione dei brani migliori di Toma, ad imperitura memoria. Questo libro, “l’omaggio più bello a Totò Toma”, scrive Nocera il sovversivo nella “Prefazione” di Ancòra un anno 2007, “che, vivo lui, l’avrebbe reso l’uomo più felice del mondo, una sorta di Nobel post mortem”, contribuiva a far conoscere l’opera di Toma al grande pubblico nazionale, tirandolo fuori a forza dal guscio nel quale forse lo stesso Toma, pur lamentandosene, amava vivere e determinando un risveglio di interesse da parte di amatori e studiosi, non solo salentini (sul merito dell’operazione culturale condotta da Maria Corti col Toma ci si continua a dividere, in Salento, fra favorevoli e contrari, ma a noi questa discussione sembra francamente un po’ sterile).
Nel 2002, il Fondo Verri-Libero Cantiere di Lecce (leggi Marino Mauro, operatore culturale, poeta e dissidente e Rapanà Piero, operatore culturale, attore e dissidente) ha pubblicato Totò Franz, altrimenti detto Totò Toma (Amaltea Edizioni) a cura di Maurizio Nocera e Antonio Verri (fa un po’ specie leggere il nome di Verri, come curatore, sulla copertina del libro, sapendolo, a quella data, morto già da 9 anni, ma tant’è). In questo libro sono contenute le lettere inedite di Toma col titolo “Cara Babi ti amo da morire sempre”. Ma, procedendo con ordine, il libro si apre con una corrispondenza fra Verri e Toma a mo’ di Introduzione, col titolo “Caro Toma”.
Questa Introduzione, spiega Maurizio Nocera, era stata pensata da Verri nel 1993 e consegnata a Nocera per il libro su Toma in gestazione. Verri, convinto che di lì a poco tempo avrebbe lasciato questo mondo, raccomandò a Nocera di fare un buon lavoro visto che il libro sul comune amico Toma-Atahualpa avrebbe dovuto terminarlo lui.Come previsto, Verri finì i suoi giorni terreni causa incidente e Nocera, stordito dal tragico evento, che si aggiungeva alla morte dello stesso Toma, rinserrava nel cuore quel lutto e al libro su Totò Toma non pensò più. A distanza di qualche anno, dopo avere metabolizzato i lutti, riprendeva in mano quel progetto e decideva che era giunta l’ora di omaggiare degnamente quel poeta magliese che era stato così importante nella sua vita, utilizzando i materiali messigli a disposizione a suo tempo da quell’altro poeta, il capraricese, per lui non meno importante. Veniva fuori così questo Totò Franz (appellativo dato a Toma da Verri), volume all’apparenza celebrativo che di celebrativo ha ben poco, realizzato grazie agli amici di Toma , come Salvatore Colazzo, Luigi Chiriatti, Mauro Marino e Piero Rapanà, e soprattutto alla moglie Paola Antonucci e ai figli.
In copertina, il libro reca un collage di Antonio Verri pensato appositamente per questo volume e in quarta di copertina una tempera di Antonio Massari (altro esponente dei “Selvaggi del Salento”, specie oggi in via di estinzione), eseguita apposta per il libro, dopo la lettura del “Canzoniere della morte” del ‘99, curato da Maria Corti, alla quale il presente volume è dedicato. “Corri fratello indio”, scrive Mau Nocera nel suo poema Totò Franz, altrimenti detto Totò Toma, “corri con la tua lancia, corri con l’ascia e il pugnale, corri con la tua bandiera, – la nostra bandiera di fuoco – corri come un dio infuriato, come indio nostro fratello di qua, come indio nostro fratello di là” (“Mi vergogno, fratello indio!”).
Il poemetto è in realtà una raccolta di componimenti poetici, dedicati al Messapo Totò Franz, “grande fratello Atahualpa di qua”, come, per citare alcuni titoli, “Una Squaw Betissa di altri tempi” o “Non uccidete gli uccellini”, nati in occasioni diverse, alcuni già pubblicati sul Bardo di Maurizio Leo, o su Ballyhoo-Quotidiano dei poeti, altri inediti, e nei quali componimenti,oltre all’ “indio magliese” a cui è dedicato il libro, compaiono anche gli altri fratelli di Nocera volati via, come l’ “Uomo dei Curli” accomunato a Totò Franz dal medesimo atroce destino, o “Fintotontopazzo” De Candia, che firma alcuni disegni dell’opera, e poi la bionda “Mesar Li”, il pittore Antonio Massari, ed altri compagni dell’ “altrimenti detto Totò Toma”; e si dipanano così i ricordi (“Vagnuni lu Totu è mortu!”) dell’ “Aquila celeste indio Totò” e di tutti i frequentatori del suo bosco magliese, come in “Di te Franzlibria” in cui il Noce verseggia “Bene, Totò Franz, selvaggio Atahualpa di un Salento messapico, che Nostra Signora dei Turchi inseguivi, dama di un nero damascato, per un Canzoniere della morte desiderato. Totò Franz – altrimenti detto Totò Toma, Poeta dei viburni e dei corbezzoli, l’uomo dei curli t’aveva amato: è stato così che ti ha rivelato!” e la lirica si snoda in un curioso intreccio metaletterario, di poesia sulla poesia, in cui non sai dove finisca Nocera ed inizi Toma, o finisca quest’ultimo ed inizi Verri o Carmelo Bene, o dove finisca la finzione poetica ed incominci la cronaca letteraria.
Ancora, così in “Ballata Kosovara”, struggente ricordo di “mio fratello – indio kosovaro che di nome Totò Franz faceva- ” che “alla guerra non va, non va, non va!” o in “Morte per incanto (e in volo) dell’uccello cantaTore” in cui definisce Toma “The Great Poet”, come egli stesso amava firmarsi, e così in tutte le altre liriche, dedicate all’Indio Totò “Fiore del Salento”, come “Povero Kosovo di bombe dilaniato”, o “Quella volta che Totò Franz chiese di Aoh!”, nelle quali si ricorda il volo fulmineo del pellerossa di Maglie e il lampo di genio dell’”altrimenti detto”, con la malcelata speranza che la sua poesia viva forever.
Ma è in un gruppo di lettere che Verri aveva messo da parte che il libro trova il suo valore aggiunto: “Cara Babi ti amo da morire sempre” è una serie di lettere inviate dal poeta di Maglie a questa ipotetica donna, con le date di invio e molte foto in bianco nero che corredano l’epistolario. Seguono alcune poesie inedite del Capo Toma “occhi di lince”. Poi, vi sono due scritti: uno di A.L.Verri, tratto da Sud Puglia XII, 4, 1986, ed uno di Maurizio Nocera, tratto da Apulia, I, 2000. In questo ultimo scritto, il prof.Nocera tratta principalmente dell’opera Salvatore Toma.Poesie non edite in volume e antologia della critica, edito dal Liceo-Ginnasio “Francesca Capece” nell’anno scolastico 1998-99, una serie di poesie poco conosciute e di saggi critici su Toma, curata da Nicola De Donno con Presentazione di Vito Papa, Preside dell’Istituto. Nel suo contributo Nocera ripercorre buona parte della bibliografia su Toma, a partire dal primo in assoluto intervento sulla poesia di Toma, che è di Nicola De Donno del 1978, Poesie di Salvatore Toma, passando per gli stessi scritti di Verri, cioè il già citato Il poeta dei liburni e dei corbezzoli, Caro Toma… ( in “Sud Puglia”, I, 1987), Questa sua vita così grigia ( in “Titivillus”, Maglie 1993); lo scritto di Verri-Nocera Le rane hanno il pancino chiaro.Per Totò Toma (Dopopensionante 1988); e ancora, un opuscolo del 1988 dello stesso Liceo Capece di Maglie, Ancora un anno con Salvatore, Classi IIIC e III E, il saggio di Claudio Micolano, Salvatote Toma il mondo la poesia ( in “Note di storia e cultura salentina”, Galatina 1993), naturalmente Il Canzoniere del 1999 curato dalla Corti, “la grande sacerdotessa delle lettere salentine”, come la definisce Salvatore Colazzo, ecc. Il libro si chiude proprio con una Postfazione di Salvatore Colazzo, altro dissidente della cultura salentina, grande amico del naturalista Toma, ma anche di Verri e di tanti altri “irregolari” come lui che, per un breve istante, pensarono di potere bruciare il mondo; fu breve quella illusione, secondo quanto riferisce Colazzo, ma bellissima.
Lo spirito del dissidente che ormai ci ha contagiato in pieno ci fa riportare quasi per intero, a chiusura di questo delirante “pezzo”, che tutto è tranne la recensione che voleva essere, una lirica dell’amato (ebbene, al fin confessiamo i nostri sentimenti) Nocera, cioè “ Di te Franzlibria” : “Ancora al coreutico uomo dei curli , dicesti: La vita non è un ballo che si balla solo perché ci sei dentro. Per starci dentro occorre che la musica ti piaccia ( Versi di Toma da Poesie scelte ) – ricordandogli che La civetta caccia nella calma delle notti in qualche vecchio rudere… con lo stomaco vuoto il collo ritirato fra le ali gli occhi dolci come lampade a petrolio. Domani sazia dominerà il silenzio con le ciglia che battono lente come l’orologio della torre. (Toma, Poesie scelte). Venne poi il tempo di Un anno in sospeso, e a proposito dello zallo salentino – dell’associazione internazionale stanchi di parole- con furore all’uomo dei curli urlasti: Non ridere di lui perché ha scritto a tua moglie con uno pseudonimo.(Toma, Un anno in sospeso). Direttamente a questo scemo del villaggio dicesti: Cerca di essere semplice quando parli te l’ho detto cerca di essere chiaro perché non ti capisco non nascondere la tua povertà di concetti sotto termini ortodossi parla chiaro se no non ti capisco (Toma Un anno in sospeso) – raccomandandogli: Mio caro erudito civilizzato rincoglionito tu sei morto da tanto tempo infinito e non lo hai mai capito. Svegliati dall’erudizione delle tue sacrosante fobie qui sei nella perdizione.( Toma, idem). Ancòra un anno ci fece sapere che avevi già deciso di voler stare in cielo con Capriolo lo Zoppo pellerossa e con tutti gli altri oppressi e morti di violenza, mai invece con lo yankee di turno. Ci facesti sapere anche altro. Ce l’avevi detto a voce alta – e noi, conigli vigliacchi, ce ne morimmo quasi di sgomento: A questo punto cercate di non rompermi i coglioni anche da morto. E’ un innato modo di fare questo mio non accettare di esistere. Non state a riesumarmi dunque con la forza delle vostre incertezze o piuttosto a giustificarvi che chi si ammazza è un vigliacco: a creare progettare ed approvare la propria morte ci vuol coraggio! Ci vuole tempo che a voi fa paura. Farsi fuori è un modo di vivere finalmente a modo proprio a modo vero. Perciò non state ad inventarvi fandonie psicologiche sul mio conto o crisi esistenziali da manie di persecuzione per motivi di comodo e di non colpevolezza. Ci rivediamo ci rivedremo senz’altro e ne riparleremo… Addio bastardi maledetti vermi immondi addio noiosi assassini. (Toma, Ancòra un anno). […] Ora la tua vita la tua morte, Totò Franz – altrimenti detto Totò Toma, lu Nicola De Donno ha raccontato – per il Ginnasio-Liceo Francesca Capece di Maglie da te frequentato – con un bel Salvatore Toma Poeta. Poesie non edite in volume e antologia della critica intanto che la tua lontana/vicina Maria (Corti) il bel gesto della sua vita ha fatto: dedicarti un Canzoniere: un Canzoniere di morte appunto, e di eternità.”. E in margine alla poesia, annota Nocera: “Maglie 1999. Mi dicono che Maria Corti è nel Salento a presentare Canzoniere della morte, mentre Nicola G.De Donno lotta contro la morte a Milano in un letto di ospedale. Mi chiudo nel bosco delle ciancole con la penna di Totò Franz e un foglio di carta dell’uomo dei curli. Anch’io non intendo uscire più da lì.”. Può essere la sorte più ironica di così?
www.Info-Salento.it giugno 2007