Il caldo, l’acqua e il motore di ricerca… (seconda parte)

di Armando Polito

Come si riconosce la bontà dell’acqua. La classifica delle acque migliori

“C’è discussione tra i medici su quali sono le acque più utili. A buon ragione condannano le stagnanti e quelle che scorrono lentamente, ritenendo più utili quelle correnti; infatti col movimento e con gli stessi urti si assottigliano e giovano. Per questo mi meraviglio come mai da alcuni sono massimamente lodate le acque di cisterna. Ma questi adducono la ragione che l’acqua piovana sarebbe leggerissima poiché ha potuto salire e restare sospesa in aria. Per questo preferiscono pure le nevi alle piogge e alle nevi pure il ghiaccio come per una sottigliezza compressa di affini. E dicono che neve e ghiaccio sono più leggeri e il ghiaccio molto più leggero dell’acqua. È molto importante per la vita che questa opinione sia respinta. Innanzitutto quella leggerezza a stento può essere avvertita se non come pura sensazione dal momento che per quanto riguarda il peso le acque non differiscono per niente tra loro; né è argomentabile motivo di leggerezza  il fatto che l’acqua sia salita in alto in pioggia poiché vediamo che pure le pietre vi salgono e la pioggia cadendo viene infettata dal vapore della terra. Perciò si sente che c’è moltissima sporcizia nell’acqua piovana e che essa riscalda rapidissimamente. Mi meraviglio che la neve e il ghiaccio appaiano come la parte più sottile di quell’elemento, se si adduce il caso della grandine dalla quale è fatale che venga fuori una bevanda pestilenziale. Non pochi tra costoro al contrario dicono che dal ghiaccio e dalla neve si ricavano bevande molto insalubri poiché  la parte più sottile che c’era è svanita. Si vede certamente che ogni liquido si riduce congelando e che per l’eccessiva rugiada si genera la rogna e per la brina la carie del grano come fa pure la neve. Certamente succede che le acque piovane imputridiscono rapidamente e durano pochissimo quando si naviga. Epigene poi dice che l’acqua imputridita purificata sette volte non imputridisce più. Affermano pure i medici che le acque di cisterna sono inutili perché induriscono l’intestino e la bocca e ritengono che non si debba credere che rispetto alle altre acque ci sia meno deposito o animaletti che arrecano fastidio e dicono che neppure quelle di fiume sono le più utili, come pure quelle di nessun torrente e che sono salubri soprattutto moltissimi laghi. Dunque certe acque anche di questo tipo sono utilissime quale in un posto quale in un altro. I re dei Parti bevono solo dal Conape e dall’Euleo e queste acque li accompagnano nei lunghi percorsi. E il loro bere appare gradito non perché siano fiumi, giacché non bevono né dal Tigri né dall’Eufrate né da molti altri. Il fango è il difetto delle acque; se tuttavia nel fiume ci sono anguille lo si considererà come indizio di salubrità, come di freddo se nella sorgente nascono le tignole. Tra tutte le acque poi sono condannate quelle amare e quelle che subito gonfiano chi le beve, il che accade a Trezene. Coloro che vanno verso il mar Rosso rendono utilizzabili in due ore le acque nitrose e salmastre nei deserti con l’aggiunta di farinata d’orzo della quale poi si cibano. Sono condannate in primo luogo le sorgenti che creano fango e che presentano un cattivo colore a chi beve; è importante pure vedere se le acque macchiano i vasi di rame, se cuociono lentamente i legumi, se versate rilasciano lentamente  terra, se con la cottura formano spesse croste nei vasi. È un difetto dell’acqua non solo che essa sia puzzolente ma anche che sappia di qualcosa per quanto quel sapore possa essere piacevole e gradito e, come succede spasso, si avvicini a quello del latte. Bisogna che l’acqua salubre sia il più possibile simile all’aria. Si dice che in tutto il mondo c’è una sola sorgente di acqua dal gradito profumo, Cabura in Mesopotamia. Le favole ne danno la ragione: in essa si bagnò Giunone. Per il resto le acque salubri non devono avere nessun sapore o odore. Alcuni giudicano con la bilancia la salubrità dell’acqua ma lo fanno con diligenza ingannevole poiché rarissimamente avviene che una sia più leggera dell’altra. È più opportuno ritenere che fra acque pari la migliore è quella che riscalda e si raffredda più velocemente. Anzi affermano che attinta con vasi da portare a mano si riscaldi posandoli a terra. Quale dunque si rivelerà la più degna di approvazione? Soprattutto quella dei pozzi, come vedo risultare nelle città, ma soprattutto di quelli dai quali più se ne attinge ed essa passando per la terra diventa più sottile. Sulla salubrità basta quanto fin qui detto. Per la freschezza è necessaria l’ombra e che vedano l’aria. Su tutte un’osservazione che vale anche perché essa non manchi: la vena deve provenire da un tratto di fiume, non da mattoni. Si può anche fare con un artificio che l’acqua sia fredda al tatto se pure spinta in alto o precipitando dall’alto capta il movimento dell’aria. La medesima acqua viene percepita più fredda da quelli che nuotano e trattengono il respiro. Fu invenzione di Cicerone farla bollire e messa in un vaso di vetro raffreddarla sotto la neve. Così si fruisce del piacere del freddo senza i difetti della neve. Si sa che ogni acqua bollita è più utile ed è meglio raffreddare la calda con questa sottilissima invenzione. Se l’acqua ha dei difetti il rimedio consiste farla bollire finché non si riduca alla metà. Con l’applicazione di acqua fredda si blocca l’emorragia e nei bagni tiene lontana l’arsura se la si ingerisce. Molti concludono con un esempio familiare che quelle che sono freddissime al gusto non per questo lo sono anche al tatto e questa sensazione può invertirsi. La più famosa al mondo  di tutte le acque col record della freschezza e della salubrità come testimonia Roma è l’acqua Marcia concessa a Roma tra gli altri doni degli dei. Un tempo si chiamava Aufeia e la sua fonte Pitonia. Nasce negli ultimi monti dei Peligni, passa per i Marsi e il lago Fucino dirigendosi dritta dritta a Roma. Poi nascostasi sotto terra riesce sulla Tiburtina portata a Roma per nove miglia da una conduttura posta su archi. Si pensa che il primo a portarla a Roma sia stato Anco Marcio, uno dei re, Poi Quinto Marcio Re nel corso della sua pretura e ultimamente lo rifece M. Agrippa. Il medesimo condusse l’acqua Vergine dall’incrocio all’ottavo miglio per due miglia attraverso la Prenestina. Vicino c’è il ruscello Ercolano che ripudiando tal nome ebbe quello di Vergine. Comparando questi fiumi si conosce la differenza sopradetta perché quanto la vergine è più fredda al tatto tanto lo è la Marcia al gusto. Tuttavia già da tempo è finito  il piacere di entrambe per Roma per l’ambizione e per l’avarizia che dirottano la pubblica salute nelle ville e nei sobborghi”3.

Il vademecum del cercatore di acqua.

“ Non sia considerato fuori argomento aggiungere qualcosa sul modo di cercare l’acqua. Si trova soprattutto nelle valli e per una certa conformazione convessa alle radici dei monti. Molti ritennero che le parti settentrionali siano ovunque ricche di acqua. Su quest’argomento converrebbe mostrare la varietà della natura. Sui monti dell’Ircania dalla parte di mezzogiorno non piove, perciò si trovano solo nella parte esposta al boscoso Aquilone. Ma l’Olimpo, l’Ossa, il Parnaso, l’Appennino, le Alpi sono tutti rivestiti di boschi e bagnati dai fiumi. Alcuni solo a mezzogiorno, come in Creta i monti Bianchi. Dunque in queste cose nessuna osservazione sarà giudicata generalmente valida. Sono segni della presenza dell’acqua il giunco o la canna o l’erba, cosa di cui si è detto, e soprattutto la rana che in un luogo si posa col petto. Il salice erratico e l’ontano o la vetrice o la canna o l’edera nascono spontaneamente per fluire dell’acqua piovana da un posto più alto ad uno più basso, per cui costituiscono un segno fallace. Indizio molto più certo è l’esalazione della nebbia che si vede da lontano al sorgere del sole; alcuni indagano da un posto alto stando bocconi col mento che tocca la terra. C’è anche un’altra particolare indagine, nota solo agli esperti, che la eseguono quando c’è un caldo torrido e nelle ore più ardenti del giorno cercando di vedere dove maggiore è la riflessione del sole. Infatti se quel luogo è più umido in una terra assetata non è infondata la speranza di trovarvi acqua. Ma bisogna fissare lo sguardo tanto intensamente da sentire fastidio agli occhi. Per evitarlo ricorrono ad un’altra prova e scavato il terreno fino alla profondità di cinque piedi, vi mettono dentro pentole di creta non cotta o catini di rame unti e una lucerna accesa sulla quale pongono una sorta di volta di frasche, coprendo tutto con la terra. Se trovano le pentole umide o rotte o sudore nel catino o la lucerna spenta non per esaurimento dell’olio o il vello della lana umido non hanno dubbi che lì ci sia l’acqua. Alcuni riscaldano prima il posto col fuoco in modo che la prova dei vasi sia più efficace. La terra stessa promette l’acqua quando presenta macchie biancheggianti o è tutta di colore verde. Nella nera infatti le sorgenti non sono perenni. La creta usata dai vasai toglie sempre ogni speranza. Non procedono nello scavare un pozzo quando osservando la scorza della terra l’ordine prima detto procede dalla nera. L’acqua è sempre dolce nella terra argillosa, più fredda nel tufo. E infatti anche questo si apprezza perché rende le acque dolci e leggerissime e filtrandole trattiene le impurità. Il sabbione preannuncia acque scarse e fangose. La ghiaia promette vene incerte ma di buon sapore. Il sabbione maschio, la rena e la terra rossastra promettono acque certe, stabili e salubri; i sassi rossi ottime ed è segno certo, come pure le radici sassose dei monti e la selce e in più fresche. Bisogna però che chi scava trovi sempre il terreno più umido e che l’attrezzo scenda più facilmente. Chi scava un pozzo muore se incontra acqua contenente zolfo o alluminio. La prova del pericolo è data da una lucerna accesa mandata giù che si spegne. Allora a destra e a sinistra del pozzo si scavano degli sfiatatoi che fanno disperdere quell’aria pericolosa. Anche senza questi difetti l’aria diventa pericolosa per la profondità e si rimedia con la ventilazione fatta agitando continuamente dei lenzuoli. Quando si arriva all’acqua le pareti del pozzo non vanno intonacate per non ostruire le vene”4.

Alcune osservazioni sulla temperatura dell’acqua.

“Alcune acque subito all’inizio della primavera sono più fredde, perché la loro origine non è profonda essendo state formate dalle piogge invernali; altre quando è il tempo della canicola ed entrambi i cambiamenti si notano a Pella in Macedonia. Davanti alla città, infatti, all’inizio dell’estate l’acqua palustre è fredda, poi col gran caldo si raffredda nei luoghi più elevati della città. Questo avviene anche a Chio per simile ragione nel porto e nella città. Ad Atene quando l’estate è piovosa l’Enneacruno è più freddo del pozzo nel giardino di Giove. Questo nel tempo secco è freddo, come soprattutto i pozzi alla comparsa di Arturo. Non vengono meno neppure in estate ma il livello si abbassa in quei quattro giorni, in molti per tutto l’inverno, come intorno all’Olimpo ritornando le acque in primavera. In Sicilia intorno a Messina e Mile le sorgenti seccano completamente in inverno, in estate traboccano e formano un fiume. In Apollonia di Ponto vicino al mare una sorgente sgorga solo in estate e soprattutto al nascere della canicola ed è più modesta se l’estate è piuttosto fredda. Alcune terre diventano più secche per le piogge come nel territorio di Narni, cosa che M. Cicerone inserì nelle sue Cose prodigiose dicendo che la terra per la siccità diventa fango, per la pioggia polvere. Ogni acqua d’inverno è più dolce, d’estate meno, minimamente in autunno e meno nei periodi di siccità. Per lo più il gusto dell’acqua fluviale non è uguale per la grande differenza del letto. Tali sono le acque quale è la terra attraverso la quale scorrono e quali sono i succhi delle erbe che bagnano; perciò gli stessi fiumi in qualche tratto si ritrovano non salubri. cambiano il sapore pure gli affluenti, come accade al Boristene e vinti si stemperano. Alcuni cambiano a causa delle piogge. Tre volte è accaduto nel Bosforo quando vennero giù salate e rovinarono le messi; e altrettante volte le piogge fecero amare le inondazioni del Nilo con grande rovina dell’Egitto”5.

Come nascono, muoiono e cambiano le sorgenti.  

“Nascono talora  sorgenti quando si tagliano le selve che prima erano assorbite dagli alberi, come sull’Emo mentre Cassandro assediava i Galli perché tagliarono i boschi per farne steccati.  Talora col taglio del bosco, che abitualmente tratteneva l’acqua e la disperdeva,  i torrenti scorrono procurando danni e comporta conseguenze per le acque il fatto che la terra sia coltivata e mossa e che si sciolga il callo della sua superficie. Si tramanda per certo che espugnata una città che si chiamava Arcadia si estinsero le sorgenti e i fiumi che in quel luogo erano numerosi; dopo che fu rifondata dopo sei anni riemersero dopo che ciascuna parte aveva cominciato ad essere coltivata. Anche i terremoti versano e inghiottono le acque, come risulta essere avvenuto cinque volte intorno a Feneo di Arcadia. Così anche sul monte Corico nacque un fiume e dopo si cominciò a coltivare. Quel mutamento è sorprendente poiché non appare nessuna causa evidente; come a Magnesia il fatto che da calde diventarono fredde, senza cambiare il sapore salato. E in Caria, dove c’è il tempio di Nettuno, un fiume che prima era stato  dolce cambiò in salato. E ha del prodigioso che Aretusa a Siracusa abbia il sapore del fango durante i giochi olimpici, cosa verosimile poiché Alfeo scorre verso l’isola sotto le profondità del mare. La fonte dei Rodiesi nel Chersoneso ogni nove anni manderebbe fuori la sua lordura. Cambiano pure i colori delle acque, come il lago di Babilonia ha le acque rosse in estate per undici giorni. E il Boristene in estate si presenta verde nonostante abbia le acque più sottili di ogni altro fiume e perciò galleggia sull’Ipani. Nel fenomeno c’è un altro portento, che quando soffiano i venti di mezzogiorno è  l’Ipani a galleggiare su di lui. Ma c’è anche un’altra prova della sua sottigliezza, che non emette nessun vapore, neppure nebbia. Coloro che in questa questione vogliono apparire diligenti dicono che le acque diventano più pesanti dopo il solstizio d’inverno”6.

Come trasportare l’acqua prelevata dalla sorgente.   

“Del resto è utilissimo condurre l’acqua dalla sorgente mediante tubi di terracotta spessi due dita, con le connessure a forma di scatola, così che il superiore entri, intonacati con calce viva e olio. L’elevazione dell’acqua a cento piedi sarà cosa facilissima. Se verrà per un condotto sotterraneo a due vie le lame per mezzo delle quali bisogna che l’acqua monti dovranno essere di piombo. Oltrepassa l’altezza della sua origine. Se verrà per un tratto più lungo deve salire e scendere frequentemente perché il livello non sia perso. Infine bisogna che i tubi siano lunghi dieci piedi; se sono lunghe cinque debbono pesare sessanta libre, se di otto cento, se di dieci centoventi e così via. Di dieci si chiamano quelle la cui larghezza delle lame, prima che si pieghi, è dieci dita, di cinque se è la metà. È necessario che in ogni piegatura del colle sia di cinque dita dove l’impeto è domato. Lo stesso vale per i serbatoi secondo quanto richiede la situazione”7.

Non bisogna esagerare con i bagni caldi né bere eccessivamente.

Mi meraviglio che Omero non abbia parlato delle sorgenti calde, poiché per altri versi ci fa sapere che frequentemente si lavava con l’acqua calda; ma lo fa perché evidentemente non c’era allora la medicina di oggi che si avvale  dell’aiuto delle acque. È invece utile ai nervi la sulfurea, quella ricca di alluminio ai paralitici o a chi soffre di malattie simili; la bituminosa o la nitrosa, come la Cutilia, da bere o per purificarsi.”7

“Molti si vantano di sopportare per parecchie ore il calore delle acque; questo è dannosissimo perché è necessario servirsene un po’ più a lungo che per i bagni e poi uscendone usare acqua fredda dolce non senza olio. Questo il volgo lo considera sciocco, perciò non altrove i corpi sono più infermi,  perché le teste sono riempite dal troppo odore e le parti sudate sono offese dal freddo, mentre l’altra parte del corpo è sommersa. Simile errore fanno quelli che si vantano di bere molto. Ho già visto uomini gonfi per il bere tanto che gli anelli sono ricoperti dalla pelle poiché l’eccessiva  acqua bevuta non può essere eliminata. Né questo conviene che accada senza assaggiare frequentemente del sale. Adoperano utilmente anche il fango delle stesse fonti, ma così, se spalmato secca al sole. Non si deve credere che tutte le acque calde abbiano proprietà medicamentose, come a Segesta di Sicilia, a Larissa, nella Troade, a Magnesia, a Melo, a Lipari. Neppure la perdita di colore del bronzo o dell’argento, come molti hanno creduto, è prova della proprietà medicamentosa dell’acqua, perché nelle sorgenti di Padova non si vede nulla di questo e neppure differenza nell’odore”8.

I benefici dell’acqua marina, pure di quella…fatta in casa.

“Medesimo sarà il modo di curare anche nelle acque marine che si scaldano per i dolori dei nervi a saldare le fratture e le ossa contuse nonché a disseccare i corpi per il quale scopo si usa anche l’acqua marina fredda. Inoltre c’è un altro molteplice utilizzo, quello del navigare per i tisici, come abbiamo detto, o per chi sputa sangue, come ricordiamo che di recente ha fatto Anneo Gallione dopo il consolato. Non si va in Egitto tanto per andarci ma per la lunghezza della navigazione. Pure lo stesso vomito scatenato dal movimento instabile giova a molte malattie del capo, degli occhi, del petto e a tutte le malattie per le quali si beve l’elleboro. I medici ritengono l’acqua di mare alquanto efficace da sola ad eliminare i gonfiori, se viene cotta con farina di orzo contro la parotite. La si mescola pure in empiastri soprattutto bianchi e in unguenti. Giova anche al cervello ferito. Si beve pure, non senza fastidio per lo stomaco, per purgare i corpi, la nera bile o a far uscire da una parte il sangue rappreso. Certi l’hanno data da bere nella febbre quartana e conservata nel tenesmo e nelle malattie delle articolazioni, e in questo per la conservazione in grado di neutralizzare le tossine. Alcuni cotta, tutti dopo averla attinta dal mare profondo, non corrotta da alcuna mescolanza con sostanze dolci e in quest’uso vogliono che la preceda il vomito. Allora mescolano con l’acqua anche aceto o vino. Quelli che la danno pura raccomandano che si mastichino ravanelli con aceto e miele per provocare il vomito. Nei clisteri infondono pure acqua marina riscaldata. Non altro preferiscono per curare i gonfiori dei testicoli, nonché i geloni prima che si ulcerino. Allo stesso modo i pruriti, la rogna e i funghi. Pure i pidocchi e gli orribili animali del capo vengono trattati con l’acqua di mare ed essa schiarisce i lividi. In queste applicazioni giova molto dopo averla usata trattare la parte con aceto caldo. Si riconosce che è salutare contro i morsi velenosi, per esempio di tarantole e scorpioni e a quelli che sono venuti in contatto col veleno dell’aspide. In questi casi viene presa calda. Essa viene spruzzata mista ad aceto contro i dolori di testa. Infusa calda coi clisteri placa il dolore di pancia e la bile. Più difficilmente si raffreddano quelli che sono stati riscaldati con acqua marina. L’acqua delle conche cura le mammelle gonfie, l’intestino e la magrezza del corpo, il loro vapore quando bollono insieme con l’aceto tolgono la pesantezza d’orecchi, i dolori di testa. Le acque marine eliminano rapidissimamente la ruggine del ferro, guariscono pure la rogna delle pecore e rendono morbida la lana.  So bene che queste cose possano sembrare superflue a quelli che vivono nelle terre centrali. Ma anche a questo la cura umana ha provveduto trovando il modo che ciascuno si facesse da sé l’acqua di mare. In tale procedura è notevole il fatto che se si immerge più di un sestario di sale in quattro di acqua l’acqua viene vinta e il sale non si scioglie. Del resto un sestario di sale con quattro di acqua acquista la forza e la natura di un mare salatissimo. Ritengono poi cosa ben ponderata che la misura di acqua prima detta sia temperata con otto bicchieri di sale poiché così riscalda i nervi e non esaspera il corpo”9.

Il talassomele e l’idromele.

“Si invecchia pure quel preparato che chiamano talassomele, fatto con parti uguali di acqua marina, miele e acqua piovana raccolta in alto mare e per l’uso mettono il tutto in un vaso di terracotta impeciato. Giova soprattutto come purgante senza che lo stomaco ne risenta ed è di gradevole sapore ed odore. Un tempo si preparava pure l’idromele con pura acqua piovana mescolata a miele e lo si dava agli ammalati desiderosi di vino come bevanda non nociva. Da molti anni è stato messo da parte poiché ha gli stessi difetti che ha il vino, non la stessa utilità”10.

Come rimediare in mare alla mancanza di acqua dolce.

“Poiché i naviganti hanno spesso mancanza di acqua dolce mostreremo come possono rimediare. Velli sparsi intorno alla nave si inumidiscono per l’alito del mare che li investe e da essi viene spremuto dolce umore. Allo stesso modo piccole palle di cera vuote messe in mare con piccole reti oppure vasi vuoti otturati raccolgono al loro interno dolce umore. Infatti sulla terra l’acqua marina filtrata dall’argilla diventa dolce”11.

I benefici del nuoto e non solo.

I corpi degli animali e delle bestie che hanno subito una lussazione nuotando in qualsiasi tipo di acqua facilissimamente recuperano la funzionalità dell’arto. Sono timorosi pure i viandanti nel saggiare la salubrità dell’acqua che non conoscono: vi fanno attenzione quando escono dal bagno bevendo subito quella fredda su cui nutrono sospetti. Il muschio che si è formato nell’acqua spalmato giova alla gotta e mescolato con olio al dolore e gonfiore dei talloni. La schiuma che forma l’acqua quando sbatte elimina le verruche. E la rena dei lidi del mare, soprattutto la sottile e riscaldata dal sole è un rimedio per i sofferenti di idropisia e di reumatismi che se ne coprono.12

 

prima parte: https://www.fondazioneterradotranto.it/2011/07/14/il-caldo-lacqua-e-il-motore-di-ricerca-prima-parte/

terza parte: https://www.fondazioneterradotranto.it/2011/07/17/il-caldo-lacqua-e-il-motore-di-ricerca-terza-ed-ultima-era-ora-parte/


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3 Op. cit., XXXI, 21-25 Quaeritur inter medicos cuius generis aquae sint utilissimae. Stagnantes pigrasque merito damnant, utiliores quae profluunt existimantes; cursu enim percussuque ipso extenuari atque proficere. Eoque miror cisternarum ab aliquibus maxime probari. Sed hi rationem adferunt, quoniam levissima sit imbrium aqua, ut quae subire potuerit ac pendere in aere. Ideo et nives praeferunt imbribus, nivibusque etiam glaciem, velut adfinium coacta subtilitate. Leviora enim haec esse, et glaciem multo leviorem aqua. Horum sententiam refelli interest vitae. In primis enim levitas illa deprehendi aliter quam sensu vix potest, nullo paene momento ponderis aquis inter se distantibus. Nec levitatis in pluvia aqua argumentum est  subisse eam in coelum, quum etiam lapides subire appareat, cadensque inficiatur halitu terrae. Qui fit ut pluviae aquae sordium inesse plurimum sentiatur citissimeque ideo calefiat aqua pluvia. Nivem quidem glaciemque subtilissimum elementi eius videri miror, adposito grandinum argumento, e quibus pestilentissimum potum esse convenit. Nec vero pauci inter ipsos e contrario ex gelu ac nivibus insaluberrimos potus praedicant, quoniam exactum sit inde, quod tenuissimum fuerit.  Minui certe liquorem omnem congelatione deprehenditur et rore nimio scabiem fieri, pruina uredinem, cognatis et nivis causis. Pluvias quidem aquas celerrime putrescere convenit, minimeque durare in navigatione. Epigenes autem aquam quae septies putrefacta purgata sit perhibet amplius non putrescere. Nam cisternas etiam medici confitentur inutiles, alvo duritias facientes faucibusque; etiam limi non aliis inesse plus, aut animalium quae faciunt taedium, confitendum habent. Nec statim amnium utilissimas esse, sicut etiam torrentium ullius, lacusque plurimos salubres maxime. Quaedam igitur et huius generis aptissimae aliae alibi. Parthorum reges ex Chonape et Eulaeo tantum bibunt; et eae quamvis in longinqua comitatur illos. Et horum placere potum, non quia sint amnes, apparet, quoniam nec e Tigri nec Euphrate nec e multis aliis bibunt. Limus aquarum vitium est; si tamen idem amnis anguillis scateat salubritatis indicium habetur, sicuti frigoris tineas in fonte gigni. Ante omnia autem damnantur amarae et quae, quum sorbentur, statim implent, quod evenit Troezene. Nam nitrosas atque salmacidas in desertis Rubrum mare petentes, addita polenta, utiles intra duas horas faciunt ipsaque vescuntur polenta. Damnantur in primis fontesqui coenum faciunt quique malum colorem bibentibus; refert et si vasa aerea inficiunt aut si legumina tarde percoquunt, si liquatae leniter terram relinquunt decoctaeque crassis obducunt vasa crustis. Est etiamnum vitium non foetidae modo, verum omnino quidquam resipientis, iucundum sit illud licet gratumque et, ut saepe, ad viviniam lactis accedens. Aquam salubrem aeri quam simillimam esse oportet. Unus in toto orbe traditur fons aquae jucunde olentis in Mesopotamia, Chabura. Fabulae rationem adferunt, quoniam eo Juno perfusa sit. De cetero aquarum salubrium sapor odorve nullus esse debet. Quidam statera iudicant de salubritate, frustrante diligentia,quando perrarum est ut levior sit aliqua. Certior subtilitas, inter pares meliorem esse, quae calefiat refrigereturque celerius. Quin exhaustam vasis quae manu pendeant depositis in humum tepescere adfirmant. Ex quonam ergo genere maxime prababilis continget? Puteis nimirum, ut in oppidis constare video, sed his quibus exercitationis ratio crebro haestu contigit, et illa tenuitas colante terra. Salubritati haec satis sunt. Frigori et opacitas necessaria, utque coelum videant. Super omnia observatio una, eadem et ad perennitatem pertinet, ut illa e vado exiliat vena, non e lateribus. Nam ut tactu gelida sit, etiam arte contigit: si etiam expressa in altum aut e sublimi deiecta verberata corripit aera. In natando quidem spiritum continentibus frigidior sentitur eadem. Neronis principis inventum est decoquere acquam vitroque demissam in nives refrigerare. Ita voluptas frigoris contigit sine vitiis nivis. Omnem utique decoctam utiliorem esse convenit: item calefactam magis refrigerari, subtilissimo invento. Vitiosae aquae remedium est si decocoquatur ad dimidias partes. Aqua frigida ingesta sistitur sanguis. Aestus in balineis arcetur si quis ore tenet. Quae sunt haustu frigidissimae non perinde ac tactu esse, alternante hoc bono, multi familiari exemplo colligunt. Clarissima aquarum omnium in toto orbe frigoris salubritatisque palma praeconio Urbis Mracia est, inter reliqua deum munera Urbi tributa. Vocabatur haec quindam Aufeia, fons autem ipse Pitonia. Oritur in ultimis montibus Pelignorum, transit Marsos et Fucinum lacum, Romam non dubie petens. Mox in specus mersa in Tiburtina se aperit novem millibus passum fornicibus structis perducta. Primus eam in Urbem ducere suspicatus est Ancus Marcius, unus e regibus, postea Q. Marcius Rex in praetura rursusque restituit M. Agrippa. Idem et Virginem adduxit ab octavi lapidis diverticulo duobus millibus passum Praenestina via. Iuxta est Herculaneus rivus, quem refugiens Virginis nomen obtinuit. Horum amnium comparatione differentia supra dicta deprehenditur, quum quantum Virgo tactu, tantum praestet Marcia haustu. Quamquam utriusque iam pridem Urbi periit voluptas, ambitione avaritiaque in villas ac suburbana detorquentibus publicam salutem. 

4 Op. cit., XXXI, 26-28 Non ab re sit quaerendi aquas iunxisse rationem. Reperiuntur in convallibus maxime et quodam convexitatis cardine, aut montium radicibus. Multi septemtrionales ubique partes aquosae existimavere. Qua in re varietatem naturae speculare conveniat. In Hyrcanis montibus e meridiano latere non pluit. Ideo silvigeri Aquilonis tantum parte sunt. At olympus, Ossa, Parnasus, Apenninus, Alpes undique vestiuntur, amnibus perfunduntur. Aliqui ab Austro, sicut in Creta Albi montes. Nihil ergo in his perpetuae observationis iudicabitur. Aquarum sunt notae iuncus aut arundo aut herba, de qua dictum est, multumque alicui loco pectore incumbans rana. Salix enim erratica et alnus aut vitex aut arundo aut edera sponte proveniunt et corrivatione aquae pluviae in locum humiliorem  e superioribus defluentibus, augurio fallaci. Certior multo nebulosa exhalatio est, ante ortum solis longius intuentibus; quod ex edito quidam speculantur, proni terram mento attingente Est et peculiaris aestimatio peritis tantum nota, quam ferventissimo aestu sequuntur, dieique horis ardentissimis qualis ex quoque loco repercussus splendeat. Nam si terra sitiente humidior est ille indubitata spes promittitur. Sed tanta intentione oculorum opus est ut indolescant; quod fugientes ad alia experimenta decurrunt, loco in altitudinem pedum quinque defosso, ollisque e figlino opere crudis aut peruncta pelvi aerea cooperto lucernaque ardente concamerata frondibus, dein terra. Si figlinum humidum ruptumve aut in aere sudor vel lucerna sine defectu olei restincta aut etia vellus lanae candidum reperiatur, non dubie promittunt aquas. quidam et igne prius excoquunt locum, tanto efficaciore vasorum argumento. Terra vero ipsa promittit candicantibus maculis aut tota glauci coloris. In nigra enim scaturigines non fere sunt perennes. Figularis creta semper adimit spes. Nec amplius puteum fodiunt, coria terrae observantes ut a nigra descendat ordo supra dictus. Aqua semper dulcis in argillosa terra, frigidior in tufo.  Namque et hic probatur. Dulces enim levissimasque facit et colando continet sordes. Sabolum exiles limosasque promittit. Glarea incertas venas sed boni saporis. Sabulum masculum et arena et carbunculus certas stabilesque et salubres. Rubra saxa optimas speique certissimae. Radices montium saxosae et silex, hoc amplius rigentes. Oportet autem fodientibus humidiores adsidue respondere glebas faciliusque ferramenta descendere. Depressis puteis sulphurata vel aluminosa occurrentia putearios necant. Experimentum huius periculi est demissa ardens lucerna si exstinguatur. Tunc secundum puteum dextra se sinistra fodiunt aestuaria, quae graviorem illum halitum recipiant. Fit et sine his vitiis altitudine ipsa gravior aer, quem emendant adsiduo linteorum iactatu eventilando. Quum ad aquam ventum est sine arenato opus surgit, ne venae obstruantur.

5 Op. cit., XXXI, 28-29 Quaedam aquae vere statim incipiente frigidiores sunt, quarumnon in alto origo est; hibernis enim constat imbribus; quaedam Canis ortu, sicut in macedonia Pella utrumque. Ante oppidum enim incipiente aestate frigida est palustris, dein maximo aestu in excelsioribus oppidi riget. Hoc et in Chio evenit, simili ratione portus et oppidi. Athenis Enneacrunos nimbosa aestate frigidior est quam puteus in Iovis horto. At ille siccitatibus riget; maxime autem putei circa Arcturum. Non ipsa aestate deficiunt omnesque quatriduo eo subsidunt. Iam vero multi hieme tota, ut circa Olympum, vere primum aquis redeuntibus. In Sicilia quidem circa Messanam et Mylas hieme in totum inarescunt fontes, eastate exundant amnemque faciunt. Apolloniae in Ponto fons iuxta mare aestate tantum superfluit, ut maxime circa Canis ortum; parcius si frigidior sit aestas. Quaedam terrae imbribus sicciores fiunt, velut in Narniensi agro, quod Admirandis suis inseruit M. Cicero siccitate lutum fieri prodens, imbre pulverem. Omnis aqua hieme dulcior, aestate autem ninus, autumno minime minusque per siccitates. Neque aequalis amnium plerumque gustus est, magna alvei differentia. Quippe tales sunt aquae qualis terra per quam fluunt qualesque herbarum, quas lavant, succi. Ergo iidem amnes parte aliqua reperiuntur insalubres. Mutant saporem et influentes rivi, ut Borysthenem,victique diluuntur. Aliqui vero et imbre mutantur. Ter accidit in Bosporo, ut salsi deciderent necarentque frumenta; toties et Nili rigua pluviae anare fecere, magna pestilentia Aegypti.

6 Op. cit., XXXI, 30 Nascuntur fontes decisis plerumque silvis, quos arborum alimenta consumebant, sicut in Haemo obsidente Gallos Cassandro, quum valli gratia silvas cecidissent. Plerumque vero damnosi torrentes corrivantur detracta collibus silva, continere nimbos ac digerere consueta. Et coli moverique terram, callumque summae cutis solvi, aquarum interest. Proditur certe in Creta expugnato oppido quod vocabatur Arcadia cessasse fontes amnesque qui in eo situ multi erant; rursus condito post sex annos emersisse uti quaeque coepissent partes coli. Terrae quoque motus profundunt sorbentque aquas, sicut circa Pheneum Arcadiae quinquies accidisse constat. Sic et in Coryco monte amnis erupit posteaque coeptus est coli. Illa mutatio mira, ubi causa nulla evidens apparet; sicut in Magnesia calidas factas frigidas, salis non mutato sapore. Et in Caria, ubi Neptuni templum est, amnis qui fuerat ante dulcis mutatus in salem est. Et illa miraculi plena, Arethusam Syracusis fimum redolere per Olympia,verique simile quoniam Alpheus in eam insulam sub ima maris permeet. Rhodiorum fons in Chersoneso nono anno purgamenta egerit. Mutantur et colores aquarum, sicut Babylone lacus aestate rubras habet diebus undecim. Et Borysthenes aestatis temporibus caeruleus fertur, quamquam omnium aquarum tenuissimus, ideoque innatans Hypani. In quoet illud mirabile, Austris flantibus superiorem Hypanim fieri. Sed tenuitatis argumentum et aliud est, quod nullum halitum, non modo nebulam emittat. Qui volunt diligentes circa hoc videri dicunt aquas graviores post brumam fieri.

7 Op. cit., XXXI, 31 Ceterum a fonte duci fictilibus tubis utilissimum est crassitudine binum digitorum, commissuris pixydatis, ita ut superior intret, calce viva ex oleo laevigatis. Libramentum aquae in centenos pedes sursum elici, minimum erit: si cuniculo veniet, in binos adactus, laminae esse debebunt, per quas surgere in sublime opus fuerit, e plumbo. Subit altitudinem exortus sui. Si longiore tractu veniet, subeat crebro descendatque ne libramenta pereant. Fistulas denum pedum longitudinis esse legitimum est; et si quinariae erunt sexagena pondo pendere; si octonariae centena, si denariae centena vicena, ac deinde ad has portiones. Denariae appellantur cuius laminae latitudo, antequam curvetur, digitorum decem est, dimidioque eius quinaria. In omni anfractu collis quinariam fieri, ubi dometur impetus, necessarium est:; item castella, prout res exiget.

8 Op. cit., XXXI, 32 Homerum calidorum fontium mentionem non fecisse demiror, quum alioqui lavari calida frequenter induceret; videlicet quia medicina tunc non erat haec quae nunc aquarum perfugio utitur. Est autem utilis sulphurata nervis, aluminata paralyticis aut simili modo solutis; bituminata aut nitrosa, qualis Cutlia, bibendo atque purgationibus. Plerique in gloria ducunt plurimis horis perpeti calorem earum, quod est  inimicissimum; namque paulo diutius quam balineis uti oportet ac postea frigida dulcedine nec sine oleo discedentes; quod vulgus alienum arbitratur idcirco non alibi corporibus magis obnoxiis. Quippe et vastitate odoris capita replentur et frigore infestantur sudantia, corporum parte mersa. Similis error quam plurimum potu gloriantium. Vidique iam turgidos bibendo in tantum ut anuli integerentur cute,quum reddi non posset hausta multitudo aquae. Nec hoc ergo fieri convenit sine crebro salis gustu. Utuntur et coeno fontium ipsorum utiliter, sed ita, si illitum sole inarescat. Nec vero omnes quae sint calidae medicatas esse credendum, sicut in Segesta Siciliae, Larissa, Troade, Magnesia, Melo, Lipara. Nec decolor species aeris argentive, ut multi existimavere, medicaminum argumentum est, quando nihil eorum in Patavinis fontibus ne odoris quidem differentia aliqua deprehenditur.

9 Op. cit., XXXI, 33-34 Medendi modus idem et in marinis erit, quae calefiunt ad nervorum dolores, ferruminandas fracturas ossaque contusa. Item corpora siccanda, qua de causa et frigido mari utuntur. Praeterea est alius usus multiplex, principalis vero navigandi phitisi adfectis, ut diximus, aut sanguinem exscreantibus sicut peoxime Annaeum Gallionem fecisse post consulatum meminimus. Neque enim Aegyptus propter se petitur, sed propter longinquitatem navigandi. Quin et vomitiones ipsae instabili volutatione commotae plurimis morbis capitis, oculorum, pectoris medentur omnibusque propter quae elleborum bibitur. Aquam vero maris per se efficaciorem discutiendis tumoribus putant medici, si illa decoquatur hordacea farina ad parotidas. Empiastris etiam, maxime albis, et malagmatis miscent. Prodest et infusa cerebto icto. Bibitur quoque, quamvis non sine iniuria stomachi, ad purganda corpora bilem que atram aut sanguinem concretum reddendum alterutra parte. Quidam et in quartanis dedere eam bibendam et in tenesmis articularibusque morbis adversatam, et in hoc vetustate virus deponentem. Aliqui decoctam, omnes ex alto haustam, nullaque dulcium mixtura corruptam, in quo usu praecedere vomitum volunt. Tunc quoque acetum aut vinum aqua miscent. Qui puram dedere, raphanos supermandi ex mulso aceto iubent ut ad vomitiones revocent. Clysteribus quoque marinam infundunt tepefactam. Testium quidem tumori fovendo non aliud praeferunt. Item pernionum vitio ante ulcera. Simili modo pruritibus, psoris et lichenum curationi. Lendes quoque et tetra capitisanimalia hac curantur et liventis reducit eadem ad colorem. In quibus curationibus post marinam aceto calido fovere plurimum prodest. Quin et ad ictus venenatos salutaris intelligitur, ut phalangiorum et scorpionum et ptyade respersis. Calida autem in his adsumitur. Suffitur eadem cum aceto capitis doloribus. Tormina quoque et choleram calida infusa clysteribus sedat. Difficilius perfrigescunt marina calefacti. Mammas sororiantes, praecordia maciemque corporis piscinae maris corrigunt. Aurium gravitatem, capitis dolores, cum aceto ferventium vapor. Rubiginem ferro marinae celerrime exterunt. Pecorum quoque scabiem sanant, lanasque emolliunt. Non ignoro haec mediterraneis supercacua videri posse. Verum et hoc cura providit, inventa ratione qua sibi quisque aquam maris faceret. Illud in ea ratione mirum, si plus quam sextarius salis in quatuor aquae sextarios mergatur, vinci aquam salemque non liquari. Cetero sextarius salis cum quatuor aquae sextariis, salsissimi maris vim et naturam implet. Moderatissimum autem putant, supra dictam aquae mensuram octonis cyathis salis temperari, quoniam ita et nervos excalefaciat et corpus non exasperet. 

10 Op. cit., XXXI, 35-36 Inveteratur et quod vocant thalassomeli, aequis portionibus maris, mellis, imbris ex alto; et ad hunc usum advehunt fictilique vaso et piceato condunt. Prodest ad purgationes maxime sine stomachi vexatione, et sapore grato et odore. Hydromeli quoque ex imbre puro cum melle temperabatur quondam quod daretur adpetentibus vini aegris veluti innocentiore potu, damnatum iam multia annis iisdem vitiis, quibus vinum, nec iisdem utilitatibus.

11 Op. cit., 37 Quia saepe navigantes defectu aquae dulcis laborant haec quoque subsidia demonstrabimus. Expansa circa navim vellera madescunt accepto halitu maris, quibus humor dulcis exprimitur. Item demissae reticulis in mare concavae e cera pilae vel vasa inania obturata, dulcem intra se colligunt humorem. Nam in terra marina aqua argilla percolata dulcescit.

12 Op. cit., 37-38 Luxata corpora et hominum et quadrupedum natando in cuius libeat generis aqua, facillime inartus redeunt. Est et in metu peregrinantium ut tentent valetudinem aquae ignotae; hoc cavent e balineis egressi statim frigidam suspectam hauriendo. Muscus qui in aqua fuerit podagris illitus prodet; item oleo admixto, talorum dolori tumorique. Spuma aquae adfrictu verrucas tollit. Nec non arena lirorum maris, praecipue tenuis et sole candens, in medicina est siccandis corporibus coopertis hydropicorum aut rheumatismos sentientium.

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