Lu Scarcagnizzu
di Pino de Luca
San Simone è un bel posto. Nel cuore messapico del basso Salento a due passi di Sannicola (di cui è frazione) e tre da Alezio, uno sputo da Tuglie.
San Simone ha un rilievo con un grande spazio: Oasi dei Francescani si chiama. Luogo dal profumo vintage e dall’aura di pace.
San Simone è li, in un fazzoletto di terra la contraddizione umana plasticamente rappresentata: Oasi di pace con un cannone a far bella mostra, vintage con affianco un tetto solarizzato. Declinazione straordinaria della velocità della storia quando si muove su piccoli spazi.
San Simone e l’Oasi francescana che ospita uno spettacolo culturale: Mino De Santis presenta (finalmente) il suo primo CD e, dopo, la cultura: mieru e pezzetti te cavallu!!!
Accostamenti ardui nello spazio e nel tempo, forse anche raffazzonati e stridenti, ma sempre accostamenti.
Un palco scarno con tre sedie e il groviglio di fili d’ordinanza, una approssimata amplificazione e luci rosso-verdi che proiettano sul suolo e sui muri strane ombre da anaglifo …
La platea in una cornice d’altri tempi, popolata da sedie di plastica, metà rosse e metà bianche, s’anima e in breve tempo non c’è più un posto che non sia occupato da culo umano, si occupano anche gli spazi per accovacciarsi sui mattoni o sporgenze di fortuna.
Piero prende il microfono e avvisa che “lo spettacolo va ad incominciare …” salgono sul palco i musicisti non prima di una breve introduzione di un personaggio illustre di Tuglie, dell’assessore di Sannicola e dei ringraziamenti di Mino De Santis con il viso bianco come un cencio e l’emozione che gli spegne la voce.
Salgono sul palco il suonatore di mandola, il sassofonista e Mino con la sua chitarra. Si comincia ragazzi. Il ritmo della ballata dalla chitarra viene accompagnato da improvvisazioni degli altri due strumentisti e la voce di Mino si scioglie raccontando di un cavallo “malacarne”.
Le canzoni si susseguono, si snocciolano una ad una lanciando secchiate di emozioni su un pubblico di varissima umanità, attento ai testi, denso e partecipe, che quasi respira a ritmo coerente con l’ironia sottile dei testi e le musiche contaminate che fanno da contrappunto.
Mino non è giovanissimo e non sarò qui a tesserne le lodi. Mino ha scritto una pagina di canzone popolare vera, del popolo del Salento … lento … lento …lento che si libera (era ora) dalla pur splendida prigionia del tamburello, dell’organetto e del violino e approda ad un linguaggio nuovo, fatto di dialetto e di italiano colto al volo, masticato, rimasticato e sputato fuori in una nuova forma di colostro, vero alimento con il quale crescere i piccoli.
Musica accattivante, di uno che sa suonare la chitarra, la lascia nei suoi accordi semplici, quasi ondeggianti come un materassino gonfiabile sulla bonaccia, e poi inserisce citazioni coltissime, di Faber certo, ma anche di swing e di country, e i due comprimari silenti e presenti, in punta di piedi accendono lampi di luce sui quadri che la chitarra e la voce dipingono in diretta. Son bravi, è certo.
Era tanto tempo che con assistevo ad un parto, ne avevo perduto il pathos, le urla di dolore, l’emozione per il primo vagito e la violenza necessaria del primo taglio: il cordone ombelicale che ha legato Mino alle sere tra amici è reciso, tagliato per sempre.
Quando uno riesce a cantare l’anima di un popolo, di una generazione, di una terra, anche suo malgrado, diventa bene collettivo. Soprattutto se è “bonacciu”. Ne riparleremo presto de lu Scarcagnizzu!!!!