di Pier Paolo Tarsi
Possiamo partire da un’interessante intervista (interamente disponibile al seguente link: http://www.vincenzosantoro.it/nottedellataranta.asp?ID=233) rilasciata il 13 agosto 2005 a Carla Petrachi da Eugenio Imbriani, docente di Antropologia Culturale all’Università del Salento, studioso serio del tarantismo e non solo. È opportuna anzitutto una precisazione: Imbriani, per anni impegnato nel seno dell’Istituto Diego Carpitella, al momento in cui l’intervista è stata rilasciata si era già volontariamente allontanato da questo ente, battezzato “nell’estate del 1997 con il proposito di studiare e valorizzare il patrimonio artistico e culturale del Salento” (fonte: sito dell’Istituto Diego Carpitello: http://www.lanottedellataranta.it/istituto_carpitella.php) e poi finito per diventare di fatto, con un evidente restringimento dei vasti intenti sopra indicati e a scapito in specie dell’attività di ricerca scientifica, semplicemente (o almeno, soprattutto) il promotore e l’organizzatore della famigerata Notte della Taranta, cioè – eventualmente qualcuno avesse passato gli ultimi anni su Marte e non lo sapesse – della estiva kermesse musicale itinerante per vari comuni salentini che conclude il suo ciclo a Melpignano, ove raggiunge il suo clou nel mega-concertone e show-mediatico finale negli ultimi giorni di agosto. Data la situazione descritta, il detto antropologo, interessato ovviamente più che altro alla ricerca e allo studio, finalità purtroppo “fagocitate” dalla Notte della Taranta che, per sforzi e risorse economiche e organizzative richieste, “cannibalizza” necessariamente tutto il resto delle attività per cui era sorto l’Istituto stesso, se ha inteso come anticipato prendere a suo tempo le distanze da questo, non ha ritenuto opportuno sollevare polemica alcuna. Imbriani infatti ribadisce spesso nella sua intervista di voler rimanere assolutamente lontano dalle polemiche su un eventuale “tradimento” dell’ampiezza di finalità per cui l’Istituto si era costituto e in particolare di voler astenersi da polemiche sul fagocitante e totalizzante evento mediatico (che vede almeno tanti detrattori, per ragioni molto diverse e spesso distanti tra loro, quanti sono i tifosi, motivati da ragioni anche qui molto variegate, ragioni che per continuità tematica non interessa ora analizzare).
Scelta arguta questa astensione dalle polemiche che non è dovuta (come si potrebbe pensare) ad una sobria pacatezza della persona in questione, a indifferenza o addirittura a una accondiscendenza remissiva e arrendevole della stessa, quanto al fatto, ben più interessante e istruttivo qui per noi, che Imbriani, con la mentalità tipica dello studioso, è interessato più a comprendere la realtà che a valutarla e giudicarla. Chiariamo. Lo studioso in questione vuole con il suo atteggiamento a-polemico cogliere l’occasione per farci comprendere che è assolutamente normale e persino inevitabile che in certe operazioni di patrimonilizzazione (ossia nel processo che mette capo a una definizione ben leggibile di un patrimonio culturale, a una rappresentazione e un’auto-rappresentazione facilmente riconoscibili e distintive – ma per forza di cose semplificanti – della propria “identità culturale” storico-tradizionale), siano implicate delle scelte attive che non sono mai neutrali ma sono anzi dettate da un gioco complesso di fattori sociali concreti e contingenti in cui rientrano a pieno titolo anche quelli economici, le scelte delle politiche assessoriali, la gestione e la spartizione delle risorse e delle energie disponibili ecc. Definire, tratteggiare un quadro distintivo e ben riconoscibile e comunicabile di qual è l’offerta del patrimonio culturale che incarna le espressioni dell’identità salentina non è epistemologicamente e non può essere fattivamente un’operazione ingenua e neutrale, ma è un atto di costruzione sempre guidato, pilotato, condizionato, che si mette in moto attraverso delle azioni che implicano per necessità delle scelte specifiche (e dunque anche delle rimozioni, Dimenticare è non a caso il titolo di un libro di Imbriani), ossia delle selezioni attive da operare sul proprio complesso patrimonio e sul proprio variegato passato, mosse sempre a partire dalle concrete e palpabili esigenze plurime, concomitanti e interagenti (spinte di natura economica, politica, sociale ecc.) che si esprimono nel presente (anche la storia del resto, non dimentichiamolo, si scrive sempre a partire dalle esigenze che si manifestano nel presente!).
Così, per tradurre il tutto su un piano più concreto, il gioco delle forze sociali messe in campo, più o meno deliberatamente e consapevolmente, per ragioni plurime (che sono anche economiche), ci spinge a indirizzare risorse ed energie non tanto allo studio e alla comprensione ma a quelle operazioni che permettono di auto-rappresentarci e sollecitare negli altri (turisti, visitatori, viaggiatori, osservatori esterni, stranieri ecc.) una rappresentazione semplificata ma chiara, cristallizzata, attraente ed economicamente produttiva del Salento come di una terra bagnata da mari incontaminati e costellata da monumenti barocchi (a scapito di tutto il resto del patrimonio!), in cui la Pizzica (a scapito di tutto il resto del patrimonio!) diviene l’elemento distintivo e caratteristico di una fisionomia culturale legata alla nostra terra, l’espressione preponderante e iconica del nostro patrimonio popolare etno-musicale, più accattivante di altre che avrebbero tuttavia altrettanto diritto (a rigore scientifico-antropologico parlando) di essere qualificate come vivide espressioni musicali popolari.
Nell’intervista Imbriani fa un esempio eloquente di tali rimozioni menzionando il caso del cantore popolare (questo si veramente popolare!) Enzo Petrachi, un esempio di autentica e ancora vitale musica folk salentina che apparirebbe tuttavia alla maggioranza a dir poco di gusto “kitch”. E infatti questa opzione (come ogni similare) viene rimossa e taciuta, benché le feste paesane nel corso di tutto l’anno offrano lo spettacolo di apprezzabili masse di anziani che, mentre magari non hanno MAI ballato la pizzica in vita loro (come invece è opportuno lasciar credere ai turisti e persino a noi stessi!), preferendo il valzer e la polka (opportunità rare e saggiamente sfruttate per avere un contatto fisico con l’altro sesso, alla faccia della tradizione!), seguono con trasporto le rime degli stornelli di Enzo Petrachi, plaudendo al loro cantore come fosse l’autentica espressione musicale del loro sentire popolare, magari sotto gli occhi allibiti di qualche giovane disorientato dalle auto-rappresentazioni costruite di cui si è nutrito – parliamo sulla base di una recente e assai provante esperienza personale consumatasi nel corso della festa patronale di San Giuseppe da Copertino!
Tornando al nostro discorso, se il gioco delle forze sociali (più o meno consapevolmente) è mosso, per esempio, dall’esigenza economicamente imprescindibile che il Salento venga rappresentato e scelto dal turista come la terra della pizzica, la terra dove si offre la possibilità di danzare con le note della Taranta, dobbiamo accettare, insieme alle favorevoli e innegabili ripercussioni sul piano economico, anche lo scotto di queste scelte e delle naturali, ovvie, scontate e implicite semplificazioni del ben più complesso nostro universo/patrimonio culturale. Se questa impostazione è fondata, ne segue che nulla pertanto possono le polemiche (del tipo “il Salento non è solo pizzica, o solo barocco o solo pittule”, oppure “Quella della Notte della Taranta non è la vera pizzica” per esempio), nulla le fondate rimostranze dello studioso che, con mentalità filologica, denuncia un’aberrazione della matrice originaria di questa espressione etno-musicale in una degenerazione falsata, finta e inautentica sul piano musicologico, coreutico, ed espressivo-contestuale della storia e della tradizione, confezionate ad uso e consumo dei turisti.
Queste polemiche (seppure assolutamente fondate e – ci pare – persino ovvie), di fronte al fenomeno mediatico “Notte della Taranta” sono dunque assolutamente fuori luogo, anzi, secondo Imbriani e giustamente, non fanno che portare acqua al mulino da cui vorrebbero sottrarle, dando al contrario maggiore visibilità e amplificando il fenomeno che si vorrebbe ridimensionato: tutto infatti, titola l’intervista allo studioso, fa audience! In questo senso dobbiamo comprendere dunque il richiamo al silenzio (silenzio eloquente tuttavia, come cerchiamo di spiegare qui) e l’invito ad astenersi dalle polemiche (in modo accorto e fondato) che Imbriani rivolge agli studiosi che invece, puntualmente, ogni anno, un po’ come succede per il Festival di Sanremo a livello nazionale, attraverso la stampa si fanno come per consuetudine trascinare ingenuamente da queste sterili diatribe, sterili vogliamo dire nell’ottica dello studioso, il quale è chiamato invece a rimarcare e a svelare la complessità del patrimonio culturale e a inquadrare nell’ottica filologicamente adeguata ogni sua manifestazione passata e presente in ben altre sedi, ad altri livelli, là dove cioè è di casa il processo di comprensione profonda e di studio.
Questo differente livello si deve esprimere efficacemente attraverso i canali comunicativi (saggi, studi, ricerche ecc.) in cui può incontrare il pubblico adeguato, interessato realmente a esplorare tale ricchezza (molto più circoscritto delle masse delle notti della taranta: quelli che vogliono capire saranno infatti sempre meno di quelli che vogliono ballare e basta). Tali mezzi espressivi non hanno come referente primario il turista che vuole semplicemente e forse anche giustamente ascoltare e ballare la famigerata pizzica nella terra in cui tradizionalmente si è espressa, secondo le sue aspettative e le rappresentazioni semplificate che lo hanno spinto al soggiorno, ma colui o colei che vogliono conoscere più a fondo e autenticamente la cultura e la storia salentina, intenzionati per esempio a comprendere che la Pizzica e il fenomeno tarantismo sono due cose diverse anche se congiunte in certi contesti specifici della nostra storia etnologica, che l’espressione coreutica originaria di questa danza non ha molto a che vedere con la pizzica che si vede ballare nella notte della Taranta o nelle sagre, che certe reinterpretazioni sonore non rientrano nel patrimonio e nel paesaggio sonoro ascrivibili alla tradizione, che certi testi – ritenuti magari e a torto quelli più rappresentativamente tradizionali – sono stati pensati e composti solo recentemente ecc. Questa impostazione generale al problema cui ci ha trascinati la lettura del “silenzio” di Imbriani, ci fa anche capire perché, ad esempio, questo processo di narrazione identitaria auto-rappresentativa non affatto insensibile alle logiche economiche, sfocia concretamente, tra l’altro, in un evento come quello della Notte Taranta che prende vita in modo circoscritto solo d’estate. La Taranta, bisogna infatti dire, abita qui specialmente da giugno ai primi di settembre, ossia nel corso della stagione turistica durante la quale si ascolta pizzica ovunque fino alla nausea, poi il tutto (per fortuna di chi qua ci vive tutto l’anno!) si inabissa fortemente, fino alla prossima stagione, fino alle prossime e puntuali riproposizioni delle consuete polemiche di accompagnamento e corredo del carrozzone spettacolare. La pizzica dunque, di fatto, scompare quasi del tutto nel corso della vita dei salentini per tutto il resto dell’anno, per affacciarsi al limite in qualche occasionale sagra paesana o festicciola, in modi e forme molto più discrete, silenti e molto meno appariscenti (i turisti del resto non ci sono o sono molto pochi, e così sarà almeno fino alla realizzazione dell’utopia destagionalizzante!).
Come mai, dobbiamo allora chiederci, scompaiono violini, tamburelli e suonatori per nove mesi l’anno? Che cosa significa ciò? Semplicemente che abbiamo fatto un’abbuffata di taranta durante l’estate da non poterne più? O questo fenomeno vuol dire qualcos’altro? È questo che ci interessa ora comprendere per procedere nel nostro ragionamento, per il quale il lettore interessato alla questione dovrà attendere il nostro prossimo articolo, ovviamente su questo sito.
Sì, abbiamo inventato una cultura “a portata di mano”, per un uso compulsivo e consequenziale alle mode, ma ci siamo dimenticati della cultura genuina, vera che sempre ha rappresentato la semplicità della nostra comunità. Ossessionati dal rumore che deflagra stupide meraviglie, abbiamo mutilato la memoria collettiva e al contempo le tradizioni culturali che hanno contrassegnato seriamente per molti anni la vita della gente del Sud. Abbiamo imparato stupidamente ad abbandonare il rigore, la scienza, la cultura per il gossip, per le chiacchiere pseudo-culturali, rincorriamo chimere che non ci appartengono. Apprezzo l’articolo e ne condivido ogni cosa. L’augurio è che quanto prima la comunità si ravveda dello sbando e comprenda seriamente il valore della nostra tradizione.
Ottimo articolo col quale sono pienamente d’accordo.
Non marginalizzerei però il tutto alla pizzica. Spiego: il presente articolo si specializza dichiaratamente sull’ ambito musicale, ma in realtà il “Salentino tipo” in sè è un salentino 4 mesi all’anno.
Salentu intra lu core dunque, ma solo quando questo ci pone un gradino più in alto di chi ne apprezza le bellezze materiali e non.
Non a caso i più radicali sono coloro che studiano o lavorano fuori, o coloro i quali ospitano in estate il loro colleghi ed amici altitaliani.
Amore di comodo, dunque. E i risultati si vedono.
Grazie ad Elio e Corrado per l’attenzione e per i bei commenti, ai quali spero di riuscire in qualche misura a replicare con la continuazione del discorso sopra iniziato. Saluti
approfondirò il mio intervento te lo prometto …
[…] patrimonio culturale nella sua versione più semplificata di cui abbiamo detto nella prima parte: http://spigolaturesalentine.wordpress.com/2011/06/08/come-ci-inventiamo-una-cultura-il-caso-della-no…- con il reale, il quale va cercato nella concretezza della vita e dei contesti esperienziali in cui […]
E vero ci siamo inventati anche noi una Cultura, l’articolo del Prof.Pier Paolo Tarsi ha già qualche anno ma è attualissimo, il caso della Fòcara e la Taranta patrimoni immateriali conosciuti al livello planetario si uniscono creando una Sinergia di sicuro successo il Salento aperto tutto l’anno. Ai voglia a dire che al Nord si stà meglio che per es…a Novoli o Martano, se la terra del Salento fosse ipoteticamente spostata in un’altra parte del mondo sembrerebbe un’improbabile fantasia solo sul posto vivendola diventa realtà.
autore Ersilio Teifreto
News di Novoli
Il fascino, le tradizioni e le bellezze del Salento da vivere 365 giorni all’anno. Dai riti religiosi alla musica popolare, dall’arte al turismo. Nasce per questo “Salento tutto l’anno” un comitato che riunisce le fondazioni che da anni organizzano i due eventi di maggior richiamo del Tacco d’Italia. Da una parte “La Notte della Taranta,” che ha portato la musica salentina in tutto il mondo, dall’altro la Fòcara di Novoli, il più grande falò d’Europa intorno al quale, in occasione dei riti legati a Sant’Antonio Abate, si radunano, a gennaio, artisti di tutte le discipline provenienti da ogni angolo del mondo.
Il protocollo d’intesa, che avvia la collaborazione per la pianificazione congiunta di nuovi progetti turistico –culturali, è stato firmato domenica 13 dicembre a Novoli., in occasione della Festa della Vite che ha dato il via alla costruzione della Focara 2016…
fonte http://www.focara.it rilevatore Ersilio Teifreto del blog http://www.torinovoli.it