di Massimo Negro
La recente ed interessante nota del caro amico Marcello Gaballo sul bellissimo campanile di Soleto, pubblicata su questo sito, mi ha riportato alla memoria una passeggiata fatta all’incirca un anno fa, in occasione della festa di Sant’Antonio da Padova, per le strade del piccolo centro salentino.
Sono così andato a riguardare le foto di quella giornata, tra le bancarelle, in chiesa alla consegna del pane benedetto ammassato nelle ceste, tra i confratelli della congrega all’uscita della processione, seguendo il simulacro del santo portato in spalla tra le vie del paese.
Ma tra queste vi sono alcune foto di un posto un po’ particolare, forse non propriamente bello anche per lo stato in cui si trova, ma che a mio avviso ancora oggi a saperlo scovare esercita una qualche forma attrazione se non si limita a guardarlo superficialmente. Non sono foto del noto campanile, ma di una vecchia casa. Una casa tra le strette stradine del centro storico, la casa di quello che la gente del posto ebbe a definire il “mago di Soleto”, Matteo Tafuri.
Marcello racconta con molta efficacia nella sua nota le incongruenze che gli studi ci hanno restituito nel legame tra questo “strano” personaggio e la costruzione del noto campanile, avvenuta ben prima della sua nascita. Ma le leggende non guardano le date, anzi se ne fanno beffa; così si racconta come il Tafuri in quest’opera si fosse avvalso dell’aiuto di figure diaboliche e di streghe che, seconda la leggenda, il presunto “mago” aveva con chissà quale rito costretti a servirlo.
Tutto in una notte.
Una lunga notte durante la quale il Tafuri secondo la leggendo piegò a se le forze diaboliche, pronunciando strane formule latine mai udite. Strane ombre si affaccendarono quella notte su e giù lungo il campanile, realizzando eterni ricami con la morbida pietra leccese.
Forse anche il sorgere sole venne rallentato per dare modo di portare a compimento l’opera; ma la luce per quanto la si possa ritardare nel suo incedere alla fine ha sempre la meglio sulle tenebre e i diavoli, improvvisati manovali al servizio del mago in questa opera immane, persero anch’essi la cognizione del tempo restano pietrificati, bloccati in alto sul campanile, dai primi raggi del sole.
Ma chi era questo strano personaggio? Era veramente un mago? Un occultista capace di comandare alle oscure figure dell’inferno? O fu altro?
Matteo Tafuri nacque a Soleto nel 1492, ove nel 1584. Non fu un personaggio da poco..
Dopo i primi anni della sua formazione passati tra Soleto e Zollino a seguire il magistero di Sergio Stiso ad apprendere lettere greche e latine, lasciò il Salento approdando dapprima a Napoli dove studia matematica, medicina, filosofia, appassionandosi alla magia naturale, all’astrologia e alla fisiognomica. Dopo Napoli iniziò il suo peregrinare prima in Italia e poi nel resto d’Europa. Prima Padova e poi Venezia dove entrò in contatto con i filosofi salentini Marcantonio Zimara e Girolamo Balduino.
Lasciò l’Italia per dirigersi in Inghilterra prima e in Irlanda poi. In questi paesi iniziarono per lui i primi seri problemi causati dalla sua passione per la magia. La stessa Inquisizione si ebbe ad occupare di lui ma venne scagionato grazie all’intervento del Pontefice.
Dopo un passaggio in Germania approdò a Parigi alla Sorbona dove pare ebbe a conseguire il dottorato in filosofia e medicina. Un suo ritratto col rosso copricapo della Sorbona si trova nel dipinto del 1580 della Madonna del Rosario nella navata sinistra della Chiesa Matrice di Soleto. Il quadro, pur non in buone condizioni, ci restituisce la figura barbuta e con il capo coperto del Tafuri, con le mani giunte e lo sguardo rivolto verso la Madonna e il Bambino.
Dopo Spagna, Grecia e forse anche Asia Minore, nel 1550 torna a Napoli dove entra a far parte dell’Accademia dei Segreti fondata da Giovan Battista Della Porta, che giunge a citarlo nella sua opera Coelestis Physiognomonia indicandolo come esempio di coloro che eccellono nell’arte della fisiognomica.
A Soleto è rimasta la sua casa natale dove sull’architrave di un antico arco è inciso il motto: « HUMILE SO ET HUMILTA’ ME BASTA. DRAGON DIVENTARO’ SE ALCUN ME TASTA »
Con quest’iscrizione Matteo Tafuri esprimeva e manifestava ai cittadini e a chiunque passasse dalla sua dimora la sua mite e umile natura caratteriale, avvertendo però che poteva trasformarsi in un dragone qualora qualcuno lo avesse ingiuriato e si fosse fatto beffe di lui. Purtroppo il Tafuri trascinò con se, anche nella sua natia e piccola Soleto, le maldicenze che ebbero già a colpirlo in Inghilterra e in Irlanda. La sua passione per la magia e l’alchimia lo rendevano un personaggio scomodo forse anche “pericoloso” e sicuramente temuto per la società di allora.
“Del salentin suol gloria ed onore” lo definisce il De Tommasi; “assiduo verso gli infermi”, esercitò con impegno e successo la professione di medico ma mentre era “di modello coi suoi scritti, di ammirazione e rispetto coi suoi consulti” fu dalla ignoranza popolana ritenuto un “Mago”.
Il De Giorgi nei suoi Bozzetti scrive “Fu l’idolo dei grandi, la delizia dei letterati, lo spavento degli idioti”.
Un suo discepolo e concittadino Francesco Scarpa in una sua opera lo definisce l’Atlante filosofo salentino.
Il De Giorgi, dopo averlo definito un “genio enciclopedico”, continua scrivendo:
I ciuchi del suo tempo e del suo paese attribuirono alla stregoneria la potenza del suo genio e della sua dottrina. Mille fiabe curiose si inventarono su di lui, le quali se avessero avuto anche un sentore di verità non sarebbe egli certamente sfuggito alle zampe leonine dell’Inquisizione, in quei tempi così propizii agli arrosti! Ed ora il suo nome giace dimenticato, e fra i ritratti degli illustri salentini che decorano la Biblioteca provinciale di Lecce si cercherebbe invano la effigie di Matteo Tafuri, che fe’ stordire i dotti di Salamanca e di Parigi con la sua immensa dottrina! Che si ripari e presto alla inconsulta oblivione!
Di questo personaggio misterioso non restano opere, se si escludono un Pronostico ed un Commento agli Inni Orfici, contenuto nel Codice Vaticano greco 2264.
Di lui resta anche l’antica casa dove ebbe ad abitare. La casa, di proprietà privata, si trova in cattivo stato di conservazione. Un bellissimo pozzo decorato all’interno ma danneggiato con delle brutture per far passare dei tubi dell’acqua e i resti poggiati all’interno dell’antico arco crollato, dove era posto il motto del Tafuri, è quello che rimane di lui.
Riprendendo l’esortazione finale del De Giorgi, ritengo cosa doverosa da parte del Comune di Soleto e della cittadinanza rendere omaggio a questa straordinaria figura provvedendo al recupero dell’immobile, rendendogli finalmente in tal modo gli onori che gli spettano.
A Matteo Tafuri “il Sapiente”!
Tanto è stato scritto su questo personaggio, ma, escludendo l’autocelebrazione così consueta nel costume salentino, poco c’è di concreto.
Anche il restauro dell’immobile, sarebbe necessario per la salvaguardia del patrimonio architettonico (se è privato non capisco perchè dovrebbe intervenire il capitale pubblico) e poco avrebbe a che fare con la valorizzazione della persona! Certo è che in altri luoghi, intorno a personaggi e leggende, vengono creati circuiti culturali e turistici capaci di mantenere un intero paese.
Sollecitare quindi un restauro della casa Tafuri di Soleto sarebbe utile in un progetto turistico culturale più ampio, in questo caso sì, con il coinvolgimento dell’amministrazione pubblica.