di Tommaso Manzillo
Dovrebbe pazientare il lettore se si insiste con un ulteriore approfondimento su Antonio De Viti De Marco, ma lo spessore culturale, economico e politico dell’uomo impone un altro contributo su una figura storica grandiosa. Per gli addetti ai lavori, per gli amanti della scoperta e della ricerca, cercare di capire meglio il marchese di Casamassella è sempre appagante, pieno di sorprese, e riempie l’animo di grande soddisfazione e orgoglio per aver saputo portare il Salento nel mondo. Si, nel mondo. Perché la sua fama si estese presso i più grandi economisti americani, tedeschi, inglesi, oltre agli italiani Vilfredo Pareto, Maffeo Pantaleoni, Luigi Einaudi ed altri.
L’uomo che approntò la nuova scienza delle finanze viene dal Salento ed è Antonio De Viti De Marco. Sarebbe l’ora di iniziare anche a parlare, oltre che di federalismo fiscale, anche di federalismo culturale. Ce lo chiedono i protagonisti più grandi di ogni particolare territorio, che molto spesso rimangono oscurati dalla Storia, lontani dalle aule scolastiche ed univesitarie, dopo aver offerto decisivi contributi nel panorama culturale, storico, politico, economico e sociale. E il Salento, soprattutto Galatina, hanno una lunga schiera di figure da conoscere e approfondire.
Il portale internet dell’Università del Salento offre al navigatore un bellissimo e interessante documentario sulla vita privata, e non solo, dell’aristocratico, così come raccontata da Emilia Chirilli, l’ultima testimone della famiglia De Viti De Marco. La storica e biografa del professore universitario visse i suoi primi anni di fanciullezza nella tenuta di Casamassella, e ricevette tante preziose informazioni, lettere e documenti originali da donna Carolina, sorella del marchese. Il documentario di Manuela Mosca, che ho letteralmente trascritto, autrice anche del libro, eleva l’uomo a maestro della scienza delle finanze (lo aveva già fatto Einaudi, davanti a Pareto, Pantaleoni e Mosca), riconosciuto sul piano nazionale ed internazionale.
Economista liberale, ma anche sociale, democratico, radicale e laico, subì, grazie alle origini famigliari, l’influsso della cultura anglosassone nella sua formazione personale. Fu un grande innovatore anche della teoria della banca. De Viti De Marco impose un nuovo modo di intendere la scienza delle finanze, grazie allo studio, fin da giovane, insieme all’amico Maffeo Pantaleoni, di Stanley Jevon e la scuola del marginalismo di Karl Menger e Leon Walras. I due intendevano introdurre gli ideali del pensiero marginalista in Italia, applicato con la matematica, per tentare di diffondere un orientamento spiccatamente liberale. Durante la sua attività parlamentare tenterà, senza riuscirci, la costruzione di una grande area politica per i liberali e democratici.
Fu De Viti De Marco ad inserire per primo i beni pubblici nel contesto generale della finanza pubblica, definendo la scienza delle finanze come la scienza della domanda e dell’offerta di beni pubblici. Il suo punto di partenza, come del resto lo è nel campo dell’economia politica nello studio del mercato, è il bisogno collettivo, che nasce e si sviluppa dal vivere insieme. Il bisogno della pace e della sicurezza, il bisogno delle infrastrutture, dei servizi, sono avvertiti dall’individuo che vive inserito nella sua collettività. Per questo rifiuta il costituzionalismo tedesco con la sua economia politica che hanno sempre difeso lo Stato subordinando l’individuo, mentre abbraccia quello anglosassone e la sua economia politca che difende l’individuo: chiaro intendimento contro il fascismo. Gli economisti del tempo riconoscevano soltanto il mercato come unico modo di intendere l’economia polica, mentre De Viti De Marco introduce il concetto di economica pubblica, in cui lo Stato gioca un ruolo essenziale nel soddisfacimento dei bisogni collettivi.
Nella letteratura italiana di finanza pubblica ci sono due scuole di pensiero. La prima vuole che l’attività politica dello Stato si svolga in maniera efficiente, e De Viti De Marco rientra in questo caso, mentre Montemartini e Puviani parlano di fallimento del mercato. Quella che prevalse con il tempo fu l’idea di De Viti De Marco, ossia che l’attività dello Stato funziona proprio come il mercato.
Nel 1986 James Buchanan, il caposcuola dell’orientamento Public Choice, ottenne il premio Nobel per l’economia grazie allo studio inteso, fin dal suo viaggio in Italia del 1949, di Antonio De Viti De Marco, la cui opera più importante fu, dallo stesso Buchanan, citata nel suo primo lavoro sull’economia pubblica. I teorici di questa branca sociale, come il nostro Giuseppe Palmieri di Martignano, seguono certamente gli insegnamenti di Pietro Verri, nelle sue Meditazioni sulla economia politica (1771), quando afferma che “l’interesse privato di ognuno, quando coincide con il pubblico interesse, è sempre il più sicuro garante della felicità pubblica”.
Siamo certamente d’accordo con Emilia Chirilli quando afferma, agli inizi del documentario in sua memoria, che la storia di Antonio De Viti De Marco è veramente degna di memoria.