di Armando Polito
Nonostante l’allarme puntualmente lanciato dagli studiosi sui pericoli di una prolungata esposizione al sole, rimane indubbio che una carnagione ambrata è, almeno per chi scrive, più attraente di una chiara se non pallida, mentre nell’immaginario collettivo essa è indizio di una vita sportiva e sana, a contatto diretto con la natura; poi, magari, quell’invidiata tintarella è il costoso, artificioso frutto delle cosiddette lampade, ancora più pericolose e dannose, sempre secondo gli studiosi, del buon, vecchio sole; mi rimangio il buon appena pronunciato perché da tempo si parla di sole malato per i danni che abbiamo arrecato alla fascia protettiva dell’ozono e che hanno ridimensionato se non ribaltato i benefici della nostra stella.
Ed ecco il businnes delle creme protettive e di quelle che, magari, ti garantiscono un’abbronzatura da negro in tre giorni e il melanoma fra una decina di anni…
Il dialetto neretino ha due verbi riflessivi (ma l’ausiliare, anche per loro, è avere) molto pittoreschi, specialmente il primo, usati all’indirizzo dei fanatici dell’abbronzatura ad ogni costo: scrucuddhàrsi e ssussulàrsi; sicché, almeno un tempo, la madre apprensiva al figlio che si accingeva a recarsi al mare usava la canonica espressione: “Mi raccomàndu, pensa cu nno ti scrucùddhi allu sole!” e al suo ritorno, al poveretto rosso come un peperone: “Fìgghiu mia, no sta bbiti comu t’ha ssussulàtu?”
Prima di tradurre in italiano le frasi appena scritte fornisco l’etimologia delle parole chiave.
Scrucuddhàre, assente nel vocabolario del Rohlf, deriva da s– intensiva (dal latino ex) e crucùddhu=cavalletta, diminutivo [deformato, con cambio b->c– propiziato dall’ affinità fonetica delle prime due sillabe [*brucùllu(m)>*crucùllu(m)] del latino tardo bruchu(m)=larva di locusta, a sua volta dal greco broychos=locusta, larva di locusta, da brycho=divorare.
Non è un caso che, mentre crucùddhu segue le regole dell’accento latino, le varianti vrùcuddhu (Castrignano dei Greci e Martano) e crùddhucu (Parabita e Taviano) suppongono un diminutivo greco *bròychyllos. Da notare, inoltre, che proprio nei comuni ellenofoni (i primi due) non è avvenuto l’inconsueto passaggio b->c– ma quello assolutamente regolare b->v-. Basta un semplice accento a ricostruire due storie differenti…
Ma torniamo a scrucuddhàre: in esso è chiaro il riferimento all’abitudine delle cavallette di starsene pressoché immobili per lungo tempo (quanto e più delle lucertole) al sole, per cui la relativa frase tradotta suonerebbe così: Mi raccomando, bada di non esporti al sole come una cavalletta!
Ssussulare (assente anch’esso nel Rohlfs) potrebbe essere da s– intensivo (come il precedente) + il latino ustulàre=bruciacchiare, forma intensiva da ustum, supino di ùrere=bruciare, con assimilazione –st->-ss-; oppure più probabilmente (dal momento che per l’assimilazione appena indicata non conosco altri esempi), corrisponde parzialmente all’italiano assolare (da sole con aggiunta di ad in testa e del suffisso –are in coda), con sostituzione (ecco il perché del precedente parzialmente) di ad con sub=sotto e aggiunta in testa di ex (*exsubsolàre>*ssubsolàre>*ssussolàre >ssussulàre).1
Traduzione della seconda frase: Figlio mio, non vedi come ti sei scottato?
E, come se non bastasse, c’è anche l’intensivo dell’intensivo (il dialetto può questo ed altro…): ssussulisciàre, come il precedente usato anche in riferimento ad un inconveniente meno grave solo perché riguardante il pane o il biscotto sottoposti a cottura eccessiva, ai limiti della torrefazione…
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1C’è da dire, a parziale ridimensionamento dell’aleatorietà delle forme ricostruite, che in Plinio è attestato l’aggettivo solatus/a/um=danneggiato dall’eccessiva esposizione al sole [(Naturalis historia, XXIX, 38: solatis, id est sole correptis (ai colpiti da insolazione, cioè danneggiati dal sole)]. Ora, è proprio il caso di dirlo, è evidente come il sole che questo aggettivo è strutturato come se fosse un participio passato da un verbo solo/solas/solàvi/solàtum/solàre. Questo verbo, che nel latino classico esiste, non è, però, legato al sole (sol/solis) ma all’aggettivo solus/a/um=solo, tant’è che significa spopolare, devastare, rendere deserto. Nulla vieta di pensare, tuttavia, che nel latino parlato accanto a solàre=devastare venisse usato l’omofono solàre=esporre al sole, anche perchè i due concetti sono così lontani che il contesto d’uso avrebbe senz’altro scongiurato ogni possibilità di equivoco; in conclusione il nostro ssussulàre potrebbe derivare direttamente (e perciò essere molto antico) da un latino *exsubsolàre e non essere stato ricalcato sull’italiano assolàre che risale alla metà del XIX° secolo.
Molto interessanti le derivazioni offerte da Armando a proposito dei due verbi. Ci aggiungerei alcune considerazioni che mi vengono in mente dopo la riflessione su questi termini, sempre meno utilizzati. Scrucuddhare non potrebbe forse richiamare la superficie cheratinizzata dell’insetto e quindi applicarsi ad una pelle divenuta secca e disidratata per l’eccessiva esposizione solare? E questa azione è derivata da una esposizione lenta e duratura, come potrebbe accadere per la cute di un pescatore o di un contadino.
Rapida è invece la conseguenza sottolineata dall’altro verbo: ssussulare, che si utilizza soprattutto per la bistecca troppo cotta al fuoco, che evidentemente indica lo stesso risultato, ma in tempi molto ristretti.
In entrambi i casi mi sembra si voglia comunque indicare un danno irreversibile della pelle. Altrimenti il popolo sarebbe ricorso a “bbampare” e “rrussicare”, come accade per chi si espone alla prima abbronzatura. E se proprio si vuole andare per il sottile, bbampare è riferito alla pelle degli adulti, rrussicare a quella dei piccolini esposti al sole senza adeguata protezione
Integrazioni tutte perfettamente condivise.