DI TANTO TEMPO (QUESTI SONO I GIORNI) di Paolo Vincenti
di Elio Ria
I temi trattati nel libro di Vincenti sono molteplici tanto da non rendere esaustiva una connotazione critica all’opera “Di tanto tempo (Questi sono i giorni)”.
Si ha comunque l’impressione che l’autore abbia voluto coinvolgere l’uomo nelle molteplici condizioni dettate dal tempo e dalla società. Non indica ovviamente una via d’uscita per le problematiche trattate ma vi è una seria trattazione dell’animo umano che osa confrontarsi ogni giorno non solo con le cose visibili ma anche invisibili dell’anima. E allora tutto è oggetto di attenzione e di riflessione interiore: un tramonto, la noia, la città, la natura, l’uomo.
L’uomo alle soglie della modernità è un essere carente, tranne che di quel tempo che gli è dato come patrimonio costitutivo della finitudine della sua condizione mortale. È costretto a imparare subito e senza errori come vivere il tempo, considerato che arriverà il giorno in cui dovrà renderne conto.
Il libro di Paolo Vincenti è una conversazione a più voci, autori famosi e importanti tirati in ballo per testimoniare la fondatezza delle azioni svolte nel tempo e guidate dal pensiero.
Il protagonista è il tempo. Presente nel presente, nel passato e nel futuro, a chiedere conto del suo utilizzo. Come un banchiere che chiede la restituzione delle somme prestate. Nella sua interrogazione del tempo già vissuto e di quello ancora da vivere, l’autore immagina colloqui con i filosofi e gli scrittori, che dal loro pensiero trae spunti e verità nell’arduo tentativo di dare una seppur minima e apodittica definizione del tempo, specificando e rivelando con umiltà il proprio malessere ma anche disagio e sofferenza per quanto di brutto viviamo ogni giorno in compagnia del tempo.
Ma la chiave di lettura della sua opera letteraria sta proprio a pagina 37 del libro, dal titolo “Cosa importa”.
Qui specifica il suo modus vivendi con il candore e l’innocenza di un bambino.
[…] Voglio una vita bella e desiderabile / e morire prima di raggiungere l’apice! / voglio consumare quest’amore fugace e carezzevole / e schiantare nella tomba, prima di diventare riprovevole, / perché se i fiori della giovinezza appassiscono presto, / io voglio vivere adesso e non mi importa il resto, / […]
Ciò che conta è l’interesse per il presente. Il tempo non è elasticizzato oltre i confini della fantasia, ma è reso “razionale”, a portata di mano, quasi addomesticato per i propri usi e consumi, inneggiando alla freschezza della giovinezza che è tutta da assaporare in fretta accelerando anche il tempo, affinché quel che deve accadere accada subito e non importa il resto. È evidente la consapevolezza del labile confine che lega la vita alla morte: non c’è quindi molto tempo da perdere, bisogna agire quando le necessità incombono e gli eventi lo desiderano. Sì, perché è questo il messaggio: imparare a vivere con il tempo; considerando che esso non ha bisogno di accelerazione bensì del suo naturale scorrimento temporale per non polverizzare né frantumare i momenti che appartengono all’uomo. Non è facile e Vincenti sviscera le sensazioni che lo colpiscono: “avverto quest’assurdo di esistere e mi logoro, mentre i compagni fan merenda, mi distruggo, mentre gli altri se la ridono”, a significare appunto la difficoltà di comprendere quanto il tempo va rivelando, percependo una mera intensificazione del presente, nella “tirannia dell’istante” e nella “desertificazione dell’avvenire”. Scrive appunto, “Per me che vivo nel presente e non so immaginare il futuro e mi rifugio nel passato e mi ripiego nel ricordo e mi viene la gobba, mentre gli amici corrono in quell’attimo che è da vivere ed è unico ed io mi avvilisco e basta”.
C’è il dramma dell’uomo contemporaneo che seppure sempre in movimento è fermo allo stesso punto di partenza, con giorni che generano altri giorni in una successione labirintica di tempo che biforcano altro tempo: un gioco perverso.
L’autore osserva il mondo. Analizza le ansie, le istanze, le risposte che la società rivendica in termini di pace, solidarietà e cultura. La speranza è che prima o poi il tempo sorprenda e stupisca l’uomo tanto da invogliarlo alla consapevolezza di “essere tempo”.
Il libro scritto da Vincenti è l’inizio di un lavoro che non può ritenersi finito (anche in ossequio al tempo) ma l’incipit per la comprensione e sviluppo di un tempo adattato alle esigenze della contemporaneità, scevro da orpelli culturali, falsi perbenismi, pericolose ideologie e in linea con il vivere giusto e senza sprechi dell’uomo, affinché da esso possa cogliere tutto il meglio che c’è.