di Armando Polito
Il verbo di cui oggi scopriremo l’insospettabile parentela ricorre nel dialetto neretino con diverse sfumature di significati: da quello di rimuovere qualcosa di alimentare che si è incollato (scazzicàre li fiche cu nno si ‘ncàsanu=rimuovere i fichi secchi perché non si incollino l’un l’altro nel contenitore in cui sono conservati; scazzicare li biscotti intr’a ‘llu stanàtu=scollare dal fondo della teglia i biscotti) a quello di riportare alla memoria (ce sta scàzzichi!=quale antico ricordo stai mettendo in campo!) fino a quello riflessivo di eccitarsi sessualmente (ddhu film m’ha fattu scazzicàre=quel film mi ha fatto eccitare).
Più complicata è la questione etimologica, anche perché debbo procedere senza l’aiuto del Rohlfs, che per l’occasione non solo non fornisce etimo ma, secondo me, fa anche un po’ di confusione.
Prendo in considerazione citando fedelmente dal suo vocabolario i lemmi che seguono:
scàzzica attestato proprio per Nardò: “rumore leggiero (p. e. dei topi)”;
scazzicàre attestato per Maglie e Nardò (nella variante scazzecàre per San Cesario di Lecce) “sollevare, alzare leggermente”; scazzacàre a Gallipoli “scuotere il saccone o il materasso”; ancora per Nardò il nesso mi scàzzicu “mi alzo con difficoltà” e ancora scazzicàre per Nardò, Galatone, Taviano, San Pietro Vernotico, scazzecàre per San Cesario di Lecce, tutti nel significato di “stimolare (l’appetito), stuzzicare”; scazzacàre per Alessano e scazzecà per Martina Franca nel significato di “mettersi in brio, animarsi, infervorarsi”; scazzicàre a Mesagne in uso riflessivo “andar in fregola, eccitarsi sessualmente, entrare in foia”; scazzicàre per Melissano “stridere, squittire (del rumore dei topi)”.
Da quanto riportato risulta evidente che per il Rohlfs tutti i significati riportati sono in relazione tra loro. Tuttavia, se posso accettare un qualche collegamento tra l’idea di “scuotere il saccone”, “stimolare” e “eccitare”, mi riesce estremamente difficile collegare poi queste idee col rumore prodotto dai topi. Io credo che scàzzica sia di origine onomatopeica e che con questa sia collegata la voce scazzicàre di Melissano; tutte le altre per me hanno un’origine diversa, che mi accingo a spiegare.
Parto dall’italiano scalzare e dalla sua pluralità di significati (cito dal De Mauro): “togliere dai piedi le scarpe e le calze; rimuovere la terra intorno al pedale o alle radici di una pianta perché possa assorbire più facilmente le sostanze nutritive; togliere la terra o il materiale di sostegno di un muro, di un edificio e simili per abbatterlo, rimuoverlo, ecc.; scoprire la radice di un dente o l’orlo della matrice di un’unghia tagliando, abbassando e comprimendo i tessuti che li rivestono; scuotere, indebolire il credito o il buon nome di qualcuno; allontanare o far rimuovere qualcuno da una carica, un impiego e simili con subdole manovre, specialmente per prenderne il posto; minare, indebolire, diminuire. Dal latino excalceàre composto di ex=fuori e càlceus=scarpa”.
L’etimologia (unanimemente accettata) conferma l’idea di rimozione o spostamento che è alla base di tutti i significati riportati. Il corrispondente neretino di scalzàre è scazzàre e, arriviamo al dunque, scazzicàre non è altro che la sua forma frequentativa con l’aggiunta alla radice (scazz-) del suffisso –icàre (come in italiano in nevicare da neve, incespicare da cespo, morsicare da morso etc. etc.1).
E, per chiudere con la parentela rivendicata nel titolo, il calcio (gioco del pallone) è dal latino càlceus sopra ricordato, a sua volta da calx=calcagno. Potenza della pedata, in particolare del colpo di tacco!
* Non ha capito che i soldi non si fanno con le parole ma con le pedate. E quel che è peggio mette in campo parole con significati poco adatti alla sua età…
** Ho capito, ti riferisci a scazzicarsi nel senso di eccitarsi sessualmente…
*** Oggi mi sento troppo eccitato per pensare a quello che stanno pensando questi due delinquenti …
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1 A chi dovesse obiettare che le voci italiane addotte ad esempio nascono tutte da radici nominali e non verbali opporrò direttamente, per tutti, un esempio dialettale: ‘mbirticàre=capovolgere è da in+vert- (radice di vèrtere)+-icàre, con normalissimo passaggio –v->-b-.
Non hai compreso nel nutrito elenco quel particolare utilizzo che il nostro popolo fa di questo verbo: “scazzicare lu sangu”, quando il prurito intenso affligge il soggetto. Il corpo umano il popolo lo intende perfettamente in equilibrio e una allergia, meno frequentemente le caldane della donna in menopausa, possono causare un vistoso arrossamento cutaneo, quasi fossero dovuti al “ribollire” del sangue all’interno dei vasi.
Ciò che più “scàzzica” in questo caso è la “foca”, ovvero l’orticaria, che si manifestava soprattutto dopo il contatto con il grano mietuto di recente.
Ma “lu sangu si scàzzica” anche nella tarantata, che a seguito di questo impeto incontrollabile inizia il suo ballo frenetico e terapeutico
Grazie per la preziosa, come sempre, integrazione.
Mi permetto di esprimere delle riflessioni etimologiche: il verbo neretino scazzicare, quale intensivo con -ic- di scazzàre ‘scalzare’ < ex-calceare, ben si adatta all'economia del dialetto in questione. Ma il leccese ha scausare, squasare: non abbiamo una forma intensiva in -ic- **scausicare, *squasicare; così il brindisino scazari non ha scazzicàri non ha una forma *scazicari.
Il nostro verbo trova corrispondenza in molti dialetti dell'Italia meridionale nella forma scazzecà, con il significato principale di 'smuovere', quello secondario di 'sollevare, distaccare' e quello figurato di 'stimolare, stuzzicare': il verbo scazzecà viene inteso come intensivo (con -ic-) del verbo scazzà 'schiacciare', 'scacciare', 'sommuovere', a sua volta dal lat. captiare (da cui l'ital. cacciare) con s- intensivo.
Attendo lumi.
Aggiungo che in passato avevo vagliato la probabilità che il verbo scazzecare (a Lecce), quale intensivo di un verbo (mancante) *scazzare, sia verosimilmente di prestito napoletano.
Oppure, da un precedente *scuzzicàre che origininariamente doveva significare «togliere, rimuovere la crosta», verbo denom. di sal. còzzica ‘crosta’; da qui il passaggio semantico di ‘sollevare, distaccare’ > ‘stuzzicare, stimolare’. Un confronto lo abbiamo nel romanesco scoccià(re) ‘togliere il guscio (=còccia)’, quindi ‘rompere (spec. il guscio delle uova)’.
Saluti.
Faccio notare che “pantaloni” in dialetto neretino è “cazzi”, in altri “càusi” e “calzetta” è “cazzèttu”, in altri “quasetti”. Non mi convince l’interpretazione di “scazzecà” come trascrizione di schiacciare (in neretino squazzàre) perché semanticamente mi pare piuttosto ardito il passaggio dal concetto di premere al suo esatto opposto e fa confusione tra “schiacciare”, probabilmente di origine onomatopeica, e “cacciare” (nel senso di “tentare di catturare” [dal latino *captiàre (omologo a captàre, intensivo di càpere, come initiàre da ìnitum, supino di inìre)] e in quello solo apparentemente contraddittorio di “allontanare, mettere in fuga”.
Quanto a “scazzicare” figlio di “scuzzicare” faccio notare che nel dialetto neretino quest’ultima voce è presente proprio col significato di “scrostare , da “còzzica” che per me è forma aggettivale da coccio (probabilmente dal latino clocea variante di cochlea=chiocciola) o, in alternativa meno convincente per motivi fonetici, potrebbe essere connesso con l’italiano cotica (forma aggettivale dal latino cutis=pelle).
Altro che lumi! In questo settore si rischia costantemente di restare con le batterie esaurite ed è fondamentale l’aiuto di altre lampade. È per questo che la ringrazio, non solo per l’attenzione…