di Armando Polito
È intuitivo che il linguaggio si è evoluto da una forma primitiva molto probabilmente costituita da pochi fonemi di natura imitativa fino a giungere a quella che i linguisti chiamano arbitrarietà del segno, vale a dire l’assenza di qualsiasi rapporto tra significante (la parola) e il significato (il concetto che essa esprime). A complicare le cose, poi, sono intervenuti nel tempo altri fenomeni come i calchi, gli incroci, le voci gergali, le abbreviazioni, gli acronimi, il linguaggio degli sms e chi più ne ha più ne metta. Le parole composte perciò, e oggi mi riferisco a quelle il cui primo componente è una preposizione, in particolare l’ex latino, sembrano appartenere alla preistoria della lingua. D’altra parte proprio ex nella lingua originaria non aveva un valore univoco potendo assumere (sempre partendo dal significato di preposizione reggente il complemento di moto da luogo: fuori da) un valore estrattivo (o privativo)1 oppure intensivo2. Questa differenza sottile si perpetua talora nell’uso della stessa parola nella sua forma dialettale da un lato e in lingua dall’altro. È il caso di scuscitàtu che trova in escogitato il suo omologo formale. Entrambi derivano dal latino excogitàtu(m), participio passato di excogitàre, formato da ex (per il momento ne lascio volutamente in sospeso il valore estrattivo o intensivo) e cogitàre=pensare, a sua volta composto da cum=insieme+àgitare=mettere in movimento (agitàre, a sua volta, è forma intensiva di àgere=condurre). Nonostante l’etimologia assolutamente comune le due voci, però, hanno avuto un destino semantico diverso, quasi opposto, dovuto proprio al diverso valore assunto dall’originario ex.
La voce italiana, infatti, è rimasta in tutto fedele alla latina, dal momento che excogitàtu(m) significa trovato pensando, inventato, scoperto; la preposizione ex qui ha chiaramente un valore intensivo e l’intera voce una finalità semantica che parte dall’astratto, il pensiero, per giungere quasi al concreto, il risultato del pensiero.
Scuscitàtu, invece, significa libero da preoccupazioni di sorta e, nella sua accezione più spinta, strafottente: è altrettanto evidente qui il valore questa volta privativo dell’originario ex, nonché il permanere concettualmente nell’astratto e nel lambire appena il concreto se ad agitato diamo il consueto, comune significato di in preda a turbamento psicologico più o meno appariscente.
* Dottore, ora vuotami accuratamente la testa perché voglio starmene senza pensieri. Ci vuole molto?
**Primo: non sono dottore ma tua moglie si è raccomandata perché facessi io l’operazione. Secondo: c’è un po’ di roba e ci vuole tempo; se tu fossi stato un politico a quest’ora avremmo già finito…
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1Exoneràre (da cui l’italiano esonerare) è da ex+oneràre: alla lettera significa liberare da un carico.
2 Excèdere (da cui l’italiano eccedere) è da ex+cèdere: alla lettera significa avanzare fuori.