“Ricordati Barbara
Pioveva senza sosta quel giorno su Brest… ” (Jacques Prevert)
Pioveva anche su Lecce sabato mattina, mentre attraversavo la città pensando alla sera prima.
Da Via Salandra a Porta Rudiae sotto una leggera e salvifica pioggia. Fino alla chiesa di San Giovanni Battista. Ieri sera eravamo lì, verso le 23. Mauro, Santa, Francesca ed io. Un ultimo saluto prima di andare verso casa. Ognuno con i suoi pensieri, con qualche emozione in più. Era illuminata la chiesa, e non c’era più il signore con il piccolo pianoforte che pervadeva la strada di note. Francesca ci aveva fatto un regalo poche ore prima. Aveva presentato il suo libro “Viaggio in requiem” nella sala del Fondo Verri affollata ed attenta.
La storia di un viaggio lungo 12 giorni. L’Italia trapassata senza usare autostrade, da Lucca a Otranto. Un diario. Francesca in compagnia di Guido. Sotto la pioggia pensavo a quel viaggio, ai paesaggi. E pensavo a quanto sia difficile parlare di quel libro.
Il sospetto mi venne quando lessi un breve corsivo di Mauro* sul giornale che provava a parlarne. Lui, sempre così ironicamente attento e pungente, che trova le parole per dire le cose con leggerezza, in quelle colonne ha utilizzato molto le parole di altri, citazioni. Poi ho avuto tra le mani il libro, 115 pagine di un’intensità tale da lasciare senza fiato. Ed ho capito Mauro e le sue citazioni. Ho capito Antonio Vito Conte che ha condotto ottimamente la discussione al Fondo Verri e le sue parole.
E’ un libro che scorre via veloce, senza lasciarti prendere fiato, con descrizioni attente di una viaggiatrice solitaria. Sola con Guido. Sui monti Sibillini si accontenta di orecchiette e pesce fritto al posto di agnello alle quattro erbe. Poi la notte, poi di nuovo in auto verso sud, verso il lembo più orientale d’Italia, accompagnata da Bob Marley e da Nina Simone che cantano canzoni che piacciono a Guido. E piacciono a lei. Assieme hanno ballato ascoltandole, tempo prima, ed hanno riso.
Poi il Gran Sasso, e Tossiccia, e Campo Imperatore. Sempre più a sud. E L’Aquila non ancora squarciata dal terremoto. E Castel Del Monte. Ah se Guido avesse conosciuto gli occhi della ragazza della locanda, forse, chissà, le cose sarebbero andate in altro modo. Il fato, il destino, le scelte che dobbiamo rispettare. E poi la fermata vicino a un campo con “rotoballe, come le chiamano ora con parola orrenda” e il ricordo di un quadro, uno dei tanti, dipinto da Guido, che ora sta sulla copertina del libro. Che in me ha evocato Van Gogh. Quasi come se il genio si tramandasse.
Era pittore Guido, anche bravo. “Hai sempre continuato a dipingere, ma a un certo momento – dove, quando perché? – hai smesso di essere felice. Mi dirai un giorno il tuo segreto?”
Poi di nuovo l’auto, Francesca trova anche il tempo per un centro benessere. Un po’ di cura di sé. In fondo era solo il 6 settembre, l’appuntamento a Otranto era per il 12. Ed arriva anche, con la forza di un pianto liberatorio, “l’unico pensiero che forse puoi leggere nella mia testa vuota di pensieri è che adesso ti do l’autorizzazione che non ti ho mai dato, che adesso ti lascio andare”.
Guido è lì, accanto a Francesca, ora può andare, è libero e leggero. Lo sa, ora lo sanno entrambi.
Francesca che mi diceva, prima della presentazione, “pensa che non ho mai scritto una riga di diario in vita mia, neppure da quindicenne ho scritto “mi piace Luigi”. Lei in quel viaggio si è trovata a prendere ogni sera appunti sulla giornata trascorsa, per condividerli con Guido.
Il nome di suo figlio è ora importante cognome per bimbi di Managua. L’ha scoperto, Francesca, in uno dei suoi viaggi in Nicaragua, dove cura un giornale e un dove esiste una scuola di pittura messa in piedi grazie alla vendita delle incisioni di Guido. Proprio per quei bimbi che ora hanno adottato quel cognome.
Le parole del libro avvolgono anche per la sottile ironia che spezza le tensioni della lettura. “Non fosse per te, Guido, avrei continuato a pensare che Campobasso fosse proprio in basso” Già, chi ci passa da Campobasso? E nessuno passa per caso neppure da Otranto, solo chi ci vuole arrivare. Perché non è luogo di passaggio, è meta. E’ la fine della terraferma.
Poi la Puglia, lunga, la penisola nella penisola. Mare attorno. E la tappa a Ostuni “dai nonni”. E il risveglio con il profumo del caffè. Lei che vive sola e che approfitta delle poche occasioni per bere il primo caffè senza doverlo fare. Piccoli privilegi, in fondo. E parla ancora con Guido della perfezione imperfetta dei genitori. E ascolta la sua presenza “sento il tuo perdono…. Comincio a perdonarmi quello che so e quello che non so”.
Poi Lecce e la serata a guardare ballare la pizzica. “Ballavano leggeri come piume”. Sensazioni simili per noi forestieri. Parlando di pizzica, probabilmente negli stessi giorni, scrissi che la ballerina “ballava leggera come una foglia”. Il Salento visto con gli occhi di chi salentino non è, io lo conosco, e l’ho riconosciuto nelle parole di Francesca. Empatia, simili esperienze di vita, un passato che, in fondo, ha legato una generazione, la nostra, con le stesse speranze, gli stessi ideali, le stesse rabbie. Forse un simile modo di amare.
E il 12 settembre a Otranto, l’appuntamento con Guido. Là sopra, sulle mura dalle quali lui si lasciò cadere per finire in un prato che non ne ha devastato il corpo. Poi la discesa per deporre un mazzo dei fiori preferiti da lui, girasoli. La “ragazza dai lunghi capelli” intanto studiava il violino e le note si diffondevano nell’aria. Lì è riuscita quasi a toccare Guido prima di salutarlo.
Poi un lento ritorno, Gallipoli, Matera… Senza mai parlare di Guido con le persone che incontrava, per non tradire un segreto “che era solo tuo e mio”.
Poi Lucca e un po’ di tempo dopo l’ultimo capitolo di un libro che non avrebbe dovuto essere che un diario privato, ma che è diventato prezioso per molte persone: “sapessi quanti messaggi ho ricevuto”, ci diceva mentre mangiavamo una pizza. Persone che hanno segreti da trattenere, me che cercano, in fondo, solidarietà, cercano qualcuno capace di dire il loro dolore, la loro rassegnazione, il loro amore. Un libro come “Viaggio in requiem” ha questo valore aggiunto incredibilmente vivo. “C’è solo una cosa peggiore della morte di un figlio. Che voglia morire” (dal film Mare Dentro di Alejandro Amenabar).
E quel ballo liberatorio proprio il giorno di Natale: “sotto la tua tomba, di fianco al grande olivo. Ho messo Bob Marley ad alto volume, ho aperto la porta, sono scesa e mi sono messa a ballare. Mi hai vista? Credo di si perché non mi sentivo sola. Tu eri lì con me, mi ballavi a fianco, come abbiamo fatto altre volte insieme…. Quando la musica è finita sono tornata a valle. Mi sentivo bene, avevo appena ricevuto il più bel regalo di Natale.”
Nell’istante
In cui la necessità
Incontra la bellezza
Trovo lo spazio
Che tutti i sensi
In sé raccoglie
(Guido Veronesi 1978 – 2004)
Francesca Caminoli – Viaggio in Requiem – Jaca book editore. Gennaio 2010 € 12,00.
*Mauro Marino, direttore del quotidiano Il Paese Nuovo