di Rocco Boccadamo
C’è, nelle campagne del paesello, un’area agricola – fatta, al solito, di brandelli di terra rossa frammisti a piccole rocce affioranti – denominata “Munti”. Non già, in quanto si tratta di un contesto d’alture o rilievi, ma solo perché tale zona si pone a stregua di pianoro sulla sommità di una successione di piccole serre, come se ne trovano in molti tratti del Salento, degradanti, in pendio abbastanza ripido, verso le plaghe litoranee e, quindi, le scogliere irte e alte che delimitano proprio il punto d’incontro e di connubio fra Mare Adriatico e Mare Ionio.
Agri vetusti, testimoni d’altrettanto antiche, povere civiltà contadine, i “Munti”: una volta, verosimilmente, incardinati in un’unica proprietà, nei secoli e decenni più recenti, frazionati, invece, in minuscoli fondi, acquisiti – forse, sarebbe più giusto dire riscattati – da tanti nuclei familiari, attraverso l’impiego di miseri e preziosi risparmi, messi da parte, pian piano, nel corso di varie stagioni, grazie a pesanti e immani fatiche di braccia, gambe e spalle, imbevute di rivoli di sudore lungo la fronte.
Anche nonno G. era proprietario di un appezzamento di terreno ai “Munti”, fondo che, per la verità, ancor prima di donarlo ufficialmente, aveva posto, un pezzetto per ciascuno, nella disponibilità di figlie e figli, man mano che gli stessi si sposavano e formavano una propria famiglia.
Ciò accadde anche a beneficio di mamma I., la primogenita, la quale, nell’ormai lontano 1945, era una giovane sposa con ben quattro bambini (altri due, ancora, sarebbero arrivati successivamente).
Il 1945 non è un anno comune, segnando bensì, come è noto, un evento importante nella storia da poco passata, ossia, dopo la fine del secondo conflitto mondiale, la liberazione del nostro Paese dalla dittatura fascista.
Ma, rappresenta anche una scansione temporale di povertà e indigenza diffuse, con, in giro, addirittura poco da mangiare.
Cosicché, nel fazzoletto di terra dei “Munti”, mio padre aveva pensato di seminare un piccolo quantitativo di piselli, il cui frutto avrebbe potuto dare un contributo al bilancio e alle risorse familiari.
In piena primavera, le piante si trovavano nella fase di maturazione, i baccelli di legumi pendevano rigonfi e teneri, s’approssimava il momento del raccolto.
Purtroppo, un mattino, recatosi in campagna, ebbe la sorpresa di trovare gran parte delle piante divelte e asportate, con un serio danno rispetto ai programmi fatti.
Ovviamente, rabbia e indignazione nell’uomo, di primo acchito accompagnate da propositi di denuncia del furto ai carabinieri e avvio di azioni penali.
Non ci volle, invero, molto affinché si arrivasse a scoprire che a perpetrare l’appropriazione era stata una coppia di giovani, intorno ai vent’anni, M. e O., che, qualche giorno prima, aveva deciso di “fuggire” , onde mettere le famiglie di fronte al fatto compiuto e poi contrarre matrimonio.
Lo scrivente aveva appena compiuto quattro anni, e però conserva nitida l’immagine dei due innamorati presentatisi a implorare perdono, motivando il loro gesto con i rimorsi della fame.
Tutto finì, ovviamente, lì, non si giunse ai carabinieri, né a adire le vie giudiziarie. Fra paesani, perlomeno in quei tempi, prevaleva la comprensione.
Oggi, una porzione dei “Munti”, compresa giusto quella che registrò il furto dei piselli freschi, è finita in proprietà al Comune e ceduta in concessione ad un gestore di telefonia mobile, che vi ha piantato sopra una svettante antenna.
Non c’è che dire, un’invasione di “barbara” modernità in un piccolo mondo di cari ricordi lontani: per fortuna, il comprensorio, a prescindere dal ronzio in sottofondo degli apparati dell’antenna, resta sempre un fantastico balcone, prospiciente i magici colori di questo nostro mare.