Ècchiu, interdèttu e spitursùtu
di Armando Polito
* Mi dici che sta facendo?
** L’autoritratto…
La vecchiaia, si sa, è una brutta bestia, ma, mentre in passato il suo portatore, anche se non sano, godeva di un certo prestigio quale titolare di un patrimonio di esperienze che erano un valido punto di riferimento per le nuove generazioni, oggi il vecchio, per non dire l’anziano, è sostanzialmente un emarginato e la sua stessa pensione (messa da parte col suo stesso contributo) appare quasi una rendita parassitaria in un mondo in cui il lavoro non inteso come attività di sfruttamento per un bieco profitto da una parte e per la mera sopravvivenza dall’altra (riecco il comunista…!) è diventato una chimera. È come se il vecchio non esistesse, e il proliferare dei centri appositi è direttamente proporzionale a quel sublime processo di rimozione con allegato tacitamento della propria coscienza che spinge i premurosi familiari a scaricare l’ingombrante e incomodo essere in un posto dove, fra l’altro, troverà tanti amici (poveri disgraziati come lui…). Ogni tanto, poi, si scopre che si tratta solo di un lager, che, in virtù di un diritto che ormai in Italia, non certo per colpa dei magistrati (ririecco il comunista!), protegge solo i delinquenti, riaprirà poco dopo magari gestito non più da un serafico volto femminile ma da suo marito, amante, compagno (riririecco il comunista, ripeterà qualcuno, ma chiamatelo, mi riferisco al gestore del lager…, come volete, tanto sempre delinquente resta), novello kapò.
Sicché fa tanta tenerezza la triade di epiteti, costituenti il titolo di questo post, con cui veniva gratificato il vecchio (raramente il tono con cui le tre parole erano pronunziate, quasi un intercalare d’obbligo quando si parlava di persone di una certa età, naturalmente non appartenenti alla propria famiglia…, era cattivo e offensivo). Se ècchiu e interdèttu hanno la stessa etimologia delle voci italiane vecchio e interdetto, quale sarà l’origine di spitursùtu? Credo da s– intensiva (dal latino ex)+una forma verbale *pitursìre dall’osoleto bitòrzo (oggi soppiantato da bitòrzolo=piccola prominenza o sporgenza sul legno o altra superficie). E così la triade, dopo l’etichetta iniziale che contiene l’impietosa diagnosi (ècchiu), passerebbe ai sintomi più caratteristici dell’ultima età dell’uomo: la decadenza mentale nel suo effetto giuridico più pesante (interdèttu) e quella fisica (spitursùtu1).
E la lapidaria diagnosi è ancora più efficace se si considera il ricorrere in essa della figura retorica, molto antica, detta con parole greche ýsteron pròteron (alla lettera: dopo prima), consistente nell’inversione temporale di due situazioni al fine di una maggiore immediatezza espressiva, quasi una contrazione del tempo e dello spazio2.
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1La voce è assente nel vocabolario del Rohlfs che registra a Mesagne spitursàtu col significato di rotto, pieno di buchi (delle calze), senza indicazione etimologica. Tuttavia è evidente che spitursàtu è da s– privativo e spitùrzi=ghette, meno probabilmente per metatesi da spirtusàtu, a sua volta da s– (questa volta intensivo) e pirtùsu (corrispondente all’italiano pertugio). In ogni caso è assolutamente da escludersi che con spitursàtu abbia a che fare il nostro spitursùtu che per la desinenza suppone un’appartenenza alla terza coniugazione (come futtùtu da futtìre) e non alla prima, anche se semanticamente l’idea della rottura e dei buchi è in linea col secondo sintomo, quello che si riferisce alla decadenza fisica; ma è solo una delle tante coincidenze.
2 Se le figure retoriche sono un sintomo di raffinatezza espressiva non si deve, perciò, ritenere che esse siano esclusive della lingua letteraria, dal momento che si presentano tutt’altro che isolate anche nel dialetto: basta saperle trovare. Per quello neritino un altro esempio di ýsteron pròteron è stato esaminato nel post Apposta o appositamente? Meglio ppuntàtu rriputàtu! del 9 aprile u. s.