L’Islam e la Puglia/ 1.
Per i nostri lettori uno studio inedito di Vito Salierno, uno dei massimi esperti di islamistica in Europa.
Ad esclusione della Sicilia dove il dominio musulmano durò per due secoli e mezzo, tutta l’Italia, in particolare quella meridionale, era nel IX secolo una terra instabile e insicura, teatro di battaglia per Bizantini, Longobardi, Slavi, Ungheri, Saraceni, intenti solo a predare e ad assalire senza alcuna idea di un governo permanente. Lo sbarco degli Arabo-Berberi in Sicilia pose per la prima volta la Cristianità di fronte all’Islam: fino a quando l’Islam si era fermato alle coste del Mediterraneo e alla penisola iberica l’Italia e il Mediterraneo erano ancora un dominio esclusivo della Cristianità. Giunti i primi conquistatori sull’isola i rapporti tra Cristianità e Islam subirono un mutamento: le due fedi si trovarono a convivere sullo stesso suolo e furono costrette a dialogare per necessità anche se le due comunità specifiche, quella latino-bizantina e quella musulmana, convissero ma separate, ognuna con le proprie leggi e le proprie usanze, pur vivendo la stessa vita, gli stessi problemi quotidiani – e qui pensiamo alla maggior parte della popolazione, cristiana, ebrea, musulmana, che dopo ogni scontro doveva riaffrontare situazioni e modi di vita comuni. La massa popolare si adattò come sempre sfruttando le possibilità del momento e cogliendo le opportunità che si presentavano di volta in volta: i miglioramenti nell’agricoltura e l’aumentato volume di commercio crearono le basi per una convivenza più o mena pacifica e per una collaborazione sul piano sociale e amministrativo. I primi contatti con la cultura araba avvennero in Sicilia nel IX secolo e si mantennero fino al periodo normanno, anche se si trattò del tipico scambio che si verifica nell’entente più o meno cordiale tra due popolazioni e due culture costrette a convivere sullo stesso territorio. Sempre a partire dal IX secolo ebbero inizio gli insediamenti saraceni più o meno stabili nell’Italia meridionale e gli scambi commerciali tra arabi dell’Ifriqiyyah e/o saraceni siciliani e le repubbliche marinare.
Le due civiltà, l’araba e la bizantina, pur conflittuali in tutto anche se unite da un comune monoteismo religioso, dopo un arroventato scontro iniziale, si adattarono alla situazione di una convivenza forzata ma non sempre di guerra: in Sicilia, in particolare, gli esponenti delle due etnie, costretti dalle necessità di carattere politico ed economico, seppero aprirsi ad un tentativo di intesa e di collaborazione. Dopo questa premessa generale sulla Sicilia araba (827-fine XI secolo), largamente nota attraverso l’opera di Michele Amari, concentriamoci sulle vicende della Puglia. Se per la Sicilia, come era già avvenuto per la Spagna, si poteva parlare di dar al-Islam, ossia un territorio soggetto all’Islam a tutti gli effetti, l’Italia meridionale fu per i musulmani dar al-harb, cioè un territorio sottoposto ad azioni di guerra. (V.S:)
L’emirato di Bari
di Vito Salierno
Degli insediamenti saraceni (ribat) a macchie di leopardo, Amantea in Calabria, Agropoli in Campania, lungo il fiume Garigliano nel Lazio, Abriola e Pietrapertosa in Basilicata, Taranto in Puglia, e simili, il più importante fu quello di Bari, vero e proprio emirato per un trentennio (847-871). Nell’autunno dell’847, un gruppo di Saraceni, guidati da un certo Khalfun, si accamparono lungo il mare, nella zona dell’attuale castello svevo, essendo a quel tempo la città racchiusa nella penisoletta della cosiddetta “città vecchia”: i predoni pensarono bene di sfruttare l’occasione e di notte si impadronirono della città. Poco o nulla si sa di questo Khalfun al quale successe, probabilmente nell’856, Mufarrag ibn Sallam che è ricordato per due motivi: la costruzione di una moschea, quasi sicuramente sul sito dell’attuale cattedrale, e la richiesta dell’investitura inoltrata direttamente al califfo abbaside al-Mutawakkil (847-861), saltando la gerarchia dell’emiro aghlabide del nord Africa: il che dimostra che non correva buon sangue tra berberi e arabi di Sicilia o del Maghreb. Inoltre la richiesta al califfo anziché all’emiro è un sintomo di voler creare un emirato vero e proprio e non un insediamento (ribat): infatti l’investitura califfale, delega di poteri da parte del califfo e quindi dell’intera comunità musulmana, era a titolo ereditario, mentre quella concessa da un visir scadeva con la morte di quest’ultimo che era un delegato del califfo. Per inciso, fu proprio questo particolare dell’investitura a far registrare l’esistenza di un emirato a Bari nell’unica fonte araba coeva, il Kitab futuh al-buldan (Il libro delle conquiste dei paesi) di al-Baladhuri (m.892). Mufarrag ibn Sallam non doveva essere un personaggio incolto o sprovveduto se sapeva come rivolgersi al califfo; inoltrò infatti la sua richiesta al direttore della posta (barid) in Egitto che per la sua carica era l’informatore diretto o agente segreto del califfo, i suoi “occhi” come dicono gli Arabi; all’epoca del califfo Harun ar-Rashid, il direttore della posta lo teneva informato sul comportamento dei più alti funzionari rispondendo direttamente al califfo – ad esempio, il direttore della posta di Merw, nel Khorasan, lo avvertì che il governatore, il Barmekide al-Fazl, si dava ai bagordi e al piacere della caccia invece di occuparsi degli affari dello stato e il Califfo lo richiamò al dovere.
Mufarrag ibn Sallam, il cui nome è rimasto nel toponimo del torrente Salemme che divide le due località di Pietrapertosa e Castelmezzano in Basilicata a ricordo di non poche scorrerie, fu deposto e ucciso prima di ricevere le patenti richieste.
Gli successe Sawdan, il Mazarese, la figura più nota e più complessa di quest’effimero emirato: governò tre lustri (857-871) e fu l’unico ad essere ufficialmente investito del titolo di emiro nell’863.
La ‘caduta’
Agli inizi dell’870 l’imperatore Ludovico II si decise a scendere in Puglia: la situazione era ora più favorevole ad una riconquista perché difficilmente sarebbero giunti dal mare soccorsi ai saraceni di Bari, come in precedenza, e ciò per la presenza della flotta bizantina nell’Adriatico. Dopo un breve assedio, le truppe franche e quelle di Adelchi di Benevento occuparono la città il 3 febbraio dell’871: Sawdan fu fatto prigioniero e risparmiato avendo trattato con onore la figlia di Adelchi, che era suo ostaggio da anni. Che il ricordo dell’emirato di Bari sia rimasto nella cultura pugliese lo testimonia un libretto per teatro, scritto verso la metà del XIX secolo da Francesco Rubino per la musica del maestro Nicola de Giosa (Bari 1818-1885), mai composta per dissidi e divergenze tra librettista e maestro d’orchestra. Successivamente il libretto uscì a stampa a Bari, nel 1855, per la musica del maestro Nicola Ferri (1831-1886): pochissime le copie esistenti. L’opera, con il titolo di “Ida di Benevento” – quello del manoscritto originale era “Il Seodan di Bari” – fu rappresentata al teatro Piccinni, almeno stando ad un trafiletto apparso anni dopo ne “La Tribuna” del 17 luglio 1936. Di Ida, figlia di Adelchi, non sappiamo nulla se non che fece parte degli ostaggi beneventani in Bari. Il librettista, nel suo Cenno storico, si rifece certamente alla Historia di Bari del Beatillo, oggi considerata inattendibile, che riprese pari pari: “Ma i Saraceni, c’haveano in Bari sostenuto l’assedio già quattro anni, vedendosi alla fine morir in piedi della fame, si arresero in questo modo. Haveano i più principali Baresi alcune Torri alte nelle lor case, e perciò salito il Rè Seodan sù la più eminente di quelle, cominciò à gridar forte, chiamando Adelchio Prencipe di Benevento, à cui, quando il vide avvicinato alle mura, disse cosi: O Prencipe Adelchio, io mi rendo nelle vostre mani, pigliatemi con doi soli compagni sotto sotto della vostra difesa, perche vi giuro nel Grande Dio d’haver in casa mia la vostra figliuola, pura, & intatta, come l’hebbi da voi. Supplicò per questo Adelchio all’Imperadore per la vita del Rè Seodan, & doi altri, chiamati Aldebuc, & Annoso […]”.
Due secoli dopo, nel maggio 1002, ci fu un nuovo attacco saraceno a Bari. Questa volta, giunse da Venezia in soccorso una flotta al comando del doge Pietro II Orseolo (991-1008), che liberò la città il 9 settembre: nella cultura barese quest’evento fu celebrato con la festa della “vidua vidue” e nel 1903 con il dipinto di Raffaele Armenise (1852-1925) per il telone del teatro Petruzzelli, raffigurante l’ingresso del doge a Bari, andato perduto nell’incendio del 1991.
Dopo altri avvenimenti locali di scarsa rilevanza non si sentirà più parlare di musulmani nel capoluogo pugliese se non in posizione servile: il Codice Diplomatico Barese è pieno di riferimenti a saraceni schiavi o convertiti che si integrarono con il tempo nel contesto della vita cittadina. A testimonianza di questo stato di cose sono i vari Saracenus che si incontrano nelle pergamene del periodo greco (939-1071): una schiava Setanna con il figlio Nicolula “ex genere sarracenorum” (1065); del periodo normanno (1075-1194), un Nicola venditore (1107), il proprietario di un vigneto (1147), la moglie di un fornaio saraceno (1155), il testimone di un atto a Conversano (1174); e del periodo svevo (1195-1266), un notaio in atti del 1245, 1255, 1256, un testimone in atti del 1215 e 1242; e ciò senza contare gli ecclesiastici di lontana ascendenza saracena ricordati nelle pergamene del Duomo di Bari quali l’arcivescovo Giovanni Saraceno menzionato in vari atti tra il 1264 ed il 1303, il fratello canonico Angelo Saraceno in procure del 1267 e 1274, un cappellano Pietro Saraceno ricordato in carte relative al periodo tra il 1274 ed il 1281.
Federico II
La seconda fase dell’impatto dell’Islam in Puglia si svolge nella prima metà del XIII secolo a nord, a Lucera, dove Federico II trasferì una gran parte dei Musulmani di Sicilia.
L’esistenza di questa colonia saracena, registrata anche in numerose cronache arabe, attirò su Federico II le accuse della Chiesa, che nel Concilio di Lione del 1245 stigmatizzò l’operato dell’imperatore che aveva fatto della città un’enclave saracena in territorio cristiano (“civitatem maximam Agarenorum fecit in regno”). Dal canto loro i Saraceni diventarono le truppe più fedeli a Federico II, una sorta di guardia pretoriana, che si battè con grande coraggio in tutte le battaglie sotto Federico II, Manfredi e Corradino tra il 1237 ed il 1268.
Maestranze musulmane lavorarono anche alla costruzione di Castel del Monte, un edificio-simbolo, ripreso dalla tradizione di una Gerusalemme come città a pianta ottagonale e come città celeste e dalla Moschea della Roccia, con l’aggiunta di elementi esoterici, un libro di pietra in cui è possibile vedere tutte le implicazioni che si vogliono vedere, astronomiche, geometriche, matematiche, misteriosofiche, in sintesi una sorta di “Divina Proporzione”. (1. continua)
Per concessione del quotidiano Il Paese Nuovo di Lecce