a cura di Sonia Colopi
Questa sera, Signore, voglio pregarti ad alta voce.
Tanto, all’infuori di te, non mi sente nessuno.
E qui, in questo crepuscolo domenicale, non siamo rimasti che io e te, o Signore.
Domani, Signore, avrò la forza di pregarti per il mare, per questo mare di piombo che mette paura, per questo simbolo opaco del futuro che mi attende. Stasera, invece, voglio pregarti per ciò che mi lascio dietro, per questa città, per questa terraferma tenace, dove fluttuano ancora le mie vele e miei sogni. Non ti annoierò con le mie richieste, Signore. Ti chiedo solo tre cose per adesso..
Dai a questi miei amici e fratelli la forza di osare di più.
La capacità di inventarsi, la gioia di prendere il largo, il fremito di speranze nuove. Il bisogno di sicurezze li ha inchiodati a un mondo vecchio, che si dissolve, così come ha inchiodato me, stasera, col fardello pesante di tanti ricordi. Dai ad essi, Signore, la volontà decisa di rompere gli ormeggi. Per liberarsi da soggezioni antiche e nuove. La libertà è sempre una lacerazione! Stimola in tutti, nei giovani in particolare, una creatività più fresca, una fantasia più liberante e la gioia turbinosa dell’iniziativa che li ponga al riparo da ogni prostituzione.
Una seconda cosa ti chiedo, Signore.
Fa provare a questa gente che lascio l’ebbrezza di camminare insieme. Falle sentire che per crescere insieme non basta tirar dall’armadio del passato i ricordi splendidi di un tempo, ma occorre spalancare la finestra del futuro progettando insieme, osando insieme, sacrificando insieme.
Da soli non si cammina più.
Concedile il bisogno di alimentare questa sua coscienza di popolo con l’ascolto della tua parola. Concedi, perciò, a questo popolo che lascio, la letizia della domenica, il senso della festa, la gioia dell’incontro. Liberalo dalla noia del rito, dall’usura del cerimoniale, dalla stanchezza delle ripetizioni. Fa che le sue Messe siano una danza di giovinezza e concerti di campane, una liberazione di speranze prigioniere e canti di chiesa.
Un’ultima implorazione, Signore, è per i poveri, per i malati, i vecchi, gli esclusi. Per chi ha fame e non ha pane, per chi si vede sorpassare da tutti. Per chi è solo, per chi è stanco, per chi ha ammainato le vele. Per chi nasconde sotto il coperchio di un sorriso cisterne di dolore. Libera i credenti, o Signore, dal pensare che basti un gesto di carità a sanare tante sofferenze. Ma libera anche chi non condivide le speranze cristiane dal credere che sia inutile spartire il pane e la tenda, e che basterà cambiare le strutture perché i poveri non ci siano più. Essi li avremo sempre con noi.
Sono il segno della nostra povertà di viandanti. Sono il simbolo delle nostre delusioni. Li avremo sempre con noi, anzi, dentro di noi.
Concedi, o Signore, a questo popolo che cammina l’onore di scorgere chi si è fermato lungo la strada e di essere pronto a dargli una mano per rimetterlo in viaggio.
Adesso basta, o Signore: non ti voglio stancare, è gia scesa la notte. Ma laggiù, sul mare, ancora senza vele e senza sogni, si è accesa una lampara.
don Tonino Bello