di Armando Polito
Questa volta mi occuperò di un verbo che non suscita allegria, ma che sicuramente ognuno di noi ha avuto occasione di coniugare all’attivo e che, quando giungerà l’ora (tocchiamoci, tocchiamoci!…), coniugherà al passivo, anche se nemmeno in questo la morte è totalmente livellatrice, dal momento che non tutti i defunti hanno avuto e avranno sepoltura e non solo, per quanto si dirà alla fine.
Si tratta di pricàre, usato nel dialetto neretino col significato di seppellire, sotterrare (uomini, animali, vegetali o cose), ben distinto da priàre1 corrispondente all’italiano pregare, che è dal latino precàri.
Pricàre, invece, potrebbe corrispondere secondo il Rohlfs (mi permetto di sviluppare quanto leggo scarnamente al lemma variante precàre) all’italiano piegare che è dal latino plicàre2=piegare, avvolgere, a sua volta dal greco pleko con lo stesso significato. Senza scomodare le bende delle mummie egizie o i lenzuoli funebri basterà ricordare che nel latino medioevale plica (da cui gli italiani piega e plico) è sinonimo di avvolgimento, e plicatùra, derivato dal precedente plicàre, di involucro. Tuttavia, lo stesso studioso, sulla scorta di altre varianti, non esclude la derivazione da un latino *(co)pricàre, forma intensiva del classico cooperìre=coprire.
Involucro o coperchio che sia l’idea di base, rimane il fatto che l’uno o l’altro per qualcuno è costituito da un pesante e sontuoso sarcofago3, per un altro da una bara di legno pregiato che per un altro si riduce a quattro assi inchiodate, per un altro ancora da una semplice fossa che realizza (non simboleggia come nei casi precedenti…) il suo biblico4 ritorno alla terra e, per chi ha scelto (o per colui per il quale è stata scelta) la cremazione, una teca di forma, materiale e costo diversi. Già, la tomba, in senso lato, come strumento di conservazione della memoria, prima ancora della sua celebrazione da parte dei poeti. Così pensava il Foscolo in un’epoca in cui c’era forse ancora qualcuno e qualche sue nobile gesto da ricordare.
Ma, siamo sicuri che oggi, come ieri, la polvere contenuta in un sarcofago dorato sia più degna (al di là del rispetto che, comunque, si deve avere della morte) di quella fusasi col terreno circostante5 sul quale, magari, una mano pietosa non ha potuto nemmeno graffire su una pietra grezza ESPOSITO GENNARO NETTURBINO6 o, magari, piantare il simbolo di Cristo fatto con due rami secchi reperiti in loco?
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1 Presenta, in tutta l’area salentina, affievolimento, aspirazione e poi scomparsa dell’originario –c– latino (analogamente a quanto successo nel francese prier) ma tuttò ciò sarà dovuto ad esigenze di differenziazione semantica rispetto proprio a pricàre, dal momento che, se tutto fosse rimasto come all’origine, i latini pricàri (pregare) e plicàre (avvolgere) avrebbero avuto il comune esito pricàre, dal momento che il passaggio –l->-r– è assolutamente normale.
2 La sua radice è molto prolifica: da plicàre sono nati, oltre a piegare, applicare, centuplicare (e simili, come duplicare, quadruplicare, etc. etc), complicare, esplicare, impiegare, implicare, moltiplicare, replicare, spiegare, supplicare. Inoltre dall’aggettivo verbale (plectòs) del citato greco pleko è derivato in latino il verbo plèctere dal cui participio passato plexu(m) è nato l’italiano plesso con i suoi composti amplesso, complesso, perplesso. Non è finita, perché molto probabilmente (vista la stessa qualità della consonante iniziale e l’assoluta congruenza semantica) dalla stessa radice deriva il latino flèctere, da cui in italiano flettere e derivati (flesso, deflettore, flessibile, flessibilità, flessione, flessuoso, flessuosità). Si può dire che la radice appena analizzata scandisca la vita dell’uomo nei suoi momenti più significativi, dalla nascita (duplicare) al lavoro (applicare, impiegare, flessibilità), dalla cultura (spiegare, esplicare, replicare e perplesso) alla burocrazia (complicare), dalle implicazioni musicali e psicologiche (complesso) al sesso (amplesso) e, coi dialettali fietta (treccia, da *flecta), ‘nghittàre (pettinare, da *inflectàre) e pricàre, dalla cura del corpo alla morte.
3 Attualmente il modello più costoso (e non si sa nemmeno se funzionerà e per quanto…) è quello che a suo tempo celebrò le esequie della centrale di Chernobyl ma, probabilmente, Fukyshima le strapperà quest’infame record.
4 Genesi, 3, 19.
5 La nostra espressione “ddivintàre terra pi ccìciri” (divenire terra buona per coltivare i ceci, cioè morire) rappresenta secondo me una sintesi sublime di filosofia, religione, poesia e senso pratico (stavo per dire economico, visto che è quello che nella nostra epoca detta legge…).
6 Totò, A livella, v. 30. I versi finali, invece, della stessa celebre poesia dell’immenso genio napoletano costituiscono la prima battuta della vignetta.