di Armando Polito
Sull’etimologia di lampasciòne credo di aver ampiamente e, spero, in modo convincente discusso nella prima puntata della recente serie Il lampascione in quattro puntate. Sento, però, il bisogno di tornare sull’argomento (lo prometto, è l’ultima volta, forse…) prima che qualche lettore più curioso e interessato mi rimproveri di aver tirato prima le orecchie al Calonghi col suo (inesistente) lampàdo/lampadònis e di aver sviluppato l’etimo lampàdio/lampadiònis lapidariamente riportato dal Rohlfs, trascurando l’opinione del Garrisi, il cui vocabolario chiunque può reperire in rete all’indirizzo http://www.antoniogarrisiopere.it/
Non è che io ce l’abbia con quest’ultimo autore, al quale, tuttavia, muovo il rimprovero di ricorrere quasi in ogni lemma ad incroci che già in più di una occasione ho definito quanto meno pericolosi.
Non si sottrae a questo vezzo neppure il nostro lampascione, per il quale leggo per la variante leccese pampasciòne: “dal latino bambax-acis, bulbo, incrociato con lampadio-onis, cipollina”.
Faccio presente che bambax/bambàcis è voce del latino medioevale presente nel Glossario del Du Cange, pag. 542, dove, insieme con bambàsium, si rinvia a bombax definito come “gossipium, lana vel lanugo xyli”=gossipio1, lana o lanugine dello xilo); bombax, a sua volta è connesso col classico bombyx/bombìcis che significa baco da seta, veste di seta, peluria (di piante). Lo stesso glossario registra anche la voce derivata bambàsium=tela di cotone e da questa (dal plurale bambàsia è derivato l’italiano bambagia) rinvia a bombax.
È evidente che il Garrisi mette in campo bambax per spiegare il pamp– di pampasciòne; è, però, altrettanto evidente che, di regola, quando si verifica un incrocio tra due termini, in prima posizione resta quello di partenza che ha in sé tutta la carica semantica e, comunque, nei casi in cui questa regola non viene rispettata, il primo componente ha sempre in sé un collegamento semantico con la voce principale che ha subito l’incrocio. Nonostante la mia fantasia non riesco a cogliere nessun rapporto, sia pur vago, tra il nostro bulbo e il baco da seta o la bambagia.
L’incrocio, se c’è stato, va, perciò, cercato in altra direzione, cioè in vampa (attraverso i passaggi, tutti foneticamente ineccepibili, vampasciòne>bampasciòne>pampasciòne), come a suo tempo ebbi a dire nel post all’inizio citato, la cui rilettura non rincrescerà al lettore curioso e interessato.
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1 Plinio, Naturalis historia, XIX, 2: Superior pars Aegyptii in Arabiam vergens gignit fruticem, quel aliqui gossipion vocant, plures xylon et ideo lina inde facta xylina. Parvus est, similemquae barbatae nucis defert fructum, cuius ex interiore bombyce lanugo cuius ex interiore bombyce lanugo netur. Nec ulla sunte is candore mollitiave praeferenda. Vestes inde sacerdotibus Aegypti gratissimae.
(La parte settentrionale dell’Egitto confinante con l’Arabia produce un arbusto che alcuni chiamano gossipio, parecchi xilo e perciò xiline le tele che se ne ricavano. È piccolo e produce un frutto simile alla nocciola la cui peluria interna viene filata. Non c’è materia da preferire a questa per il colore bianco o per la morbidezza. È ricercata per le vesti dei sacerdoti egizi)
Non a caso la prima parte del nome scientifico delle varie specie di cotone è Gossipium (nella vignetta, insieme col lampasciòne, il Gossipium barbadense L.)