di Armando Polito
Nella traduzione letterale del titolo non mi lascerò condizionare da ipocriti calcoli eufemistici e perciò per rendere la parola principale (tafanàru) non ricorrerò a sinonimi; sicché l’intero titolo tradotto risulterà Quando il culo non basta…
Sono tanti i casi della vita in cui la fortuna è indispensabile per il conseguimento di un certo risutato, ma in etimologia essa non basta per il conseguimento di un risultato certo.
Per restare strettamente in tema dirò che il corrispondente italiano di tafanàru (tafanàriu a Oria, tafanàrie a Massafra) è tafanario che, da voce popolare, ha trovato la sua consacrazione letteraria ne Il padrone sono me! (1922) di Alfredo Panzini: L’era una piccolina, biondina, di mezza età, ma con un tafanario che mai più).
Tafanario è forma aggettivale sostantivata da tafàno, a sua volta dal latino tabànu(m), per l’abitudine che ha questo molestissimo insetto di pungere il posteriore dei quadrupedi.
Non è per mescolare il sacro col profano, ma è solo per sottolineare come la vita non è fatta di compartimenti stagni e per fornire un ulteriore esempio di come la lingua si adegui a questo principio, che dirò che estro (inteso come inventiva, capriccio, nome di un genere di insetti, periodo di calore negli animali) è dal latino oestru(m) che significa, guarda il caso, tafano e che è , a sua volta, dal greco òistros che ha lo stesso significato; e che assillo è dal latino asìlu(m) che, guarda ancora il caso!, significa tafano.
Per evitare l’accusa di essermi perso in un volo pindarico mi avvio rapidamente alla conclusione che spiegherà il titolo e le prime righe di questo post.
Tafanàru per il Garrisi è “da un incrocio tra latino tabanus e leccese farnaru”. Non è la prima volta che stigmatizzo il vezzo del Garrisi di disseminare le sue etimologie di strani incroci. Questa volta è toccato al farnàru (setaccio) che, forma a sezione di cilindro a parte, non evoca certo il sedere. Anche qui credo che l’incrocio sia stato messo in campo per spiegare –aru finale, che è la cosa più semplice che si possa immaginare, cioè un comunissimo suffisso aggettivale; sicché, come picuràru (in italiano pecoraro o pecoraio) è colui che ha a che fare con le pecore, tafanàru è quella parte del corpo che ha a che fare con i tafani.
E lo dico per esperienza personale…
* Non ti azzardare più a dire che mi sono incrociato con farnàru, anche se adesso ti sto facendo a farnaru il tafanario.
** Ragazzi, almeno oggi pascolo tranquilla…