L’enigma di un dipinto nel santuario della Madonna della luce ad Ugento

 

di Luciano Antonazzo

Dei trentotto affreschi che ornavano il santuario della Madonna della luce di Ugento ad oggi ne sono sopravvissuti (esclusa l’icona della Madonna sull’altare) solo diciannove, e fra questi quello della raffigurazione di un vescovo. Si trova sulla facciata di una colonna sul lato destro della navata e presenta dei particolare ai quali finora nessuno ha fatto caso.

Il personaggio dipintovi, forse per il suo abito bianco, da qualcuno è stato ritenuto rappresentasse S. Bonaventura, ma ciò non poteva essere dato che non vi è raffigurata l’aureola che è presente in tutti gli altri affreschi con l’immagine di sante e santi.

A suo tempo ci permise di risalire all’identità del vescovo effigiato lo stemma dei Mercedari che egli porta sul petto tra i cordoni con le nappe del cappello vescovile fatto scivolare dietro le spalle; si tratta di un segno distintivo di Mons. Ludovico Ximenz, il solo tra i vescovi che hanno retto nei secoli la nostra diocesi ad appartenere a quell’Ordine.[1]

Di lui ci è dato sapere dalle fonti che era di origine spagnola ma non il luogo preciso della sua provenienza.

Fu nominato vescovo di Ugento il 30 agosto del 1627 e prese possesso della diocesi il primo dicembre successivo rimanendone alla guida fino al 1636, anno della sua morte; secondo alcuni venne sepolto nella nostra cattedrale ma di ciò non abbiamo rinvenuto alcuna prova documentale.

Di lui sono disponibili (in copia) presso l’Archivio Diocesano di Ugento le relazioni delle visite ad limina del 1630 e del 1633 dalle quali è desumibile lo zelo e l’impegno che mise nel risollevare le condizioni della popolazione e della stessa cattedrale.

In quelle tra l’altro relazionò che (in ossequio ai dettami del Concilio di Trento), poco dopo esser giunto in sede visitò la diocesi e celebrò il sinodo nel giorno di S. Caterina Vergine e Martire, il 25 novembre; che si adoperò per riparare il campanile che aveva trovato semidistrutto da un fulmine e che procurò di dotare di un organo la cattedrale,[2] edificio che successivamente si preoccupò di restaurare a spese della mensa.[3]

Fu molto devoto verso S. Vincenzo (al quale era dedicata la cattedrale) e verso S. Lorenzo, accomunato al primo nelle modalità del martirio.

Di ciò è testimonianza la cosidetta “stele della Croce” che si trova in Gemini, feudo sul quale (assieme a quello limitrofo di Pompignano ed a quello di Manduria) i vescovi di Ugento avevano il titolo di “Barone” .

Si tratta di una stele, che forse era antico menhir, sulla cui sommità egli fece apporre un capitello tufaceo sormontato da una croce raggiata; su tre facciate di detto capitello fece scolpire il suo stemma e le rappresentazioni del martirio di S. Vincenzo e S. Lorenzo, come sottolineato dall’epigrafe incisa sulla facciata est e dalla quale apprendiamo il nome della sua città natale, Cuenca, in Spagna.

L’epigrafe recita:

“SS. CRUCI  ET  SS.  DIACONIBUS  / MAIORIBUS  XISTI  ET  S. VALERI  / ALTERI  HUIUS  FEUDI  ET  POM / PIGNANI  PATRONO  UTRIUSQUE  /  HOSCAE  IN  ARAGONIA  NATIS  /  ET  COGNATIS  MARTIRIO  INTER  / ALIA  GRATICULAM  CONSE / CRANTE PARIBUS B.D.F. / LUDOVICUS XIMENEZ  CŌ / CHENSIS  EPŨS  UXENTINUS  /  DICAT  DIE  29  IANUARII / ANNO  DOMINI  1630.[4]

Come si nota, il vescovo nell’iscrizione viene definito “conchense” termine col quale si definiscono gli abitanti di Cuenca (Conca), città vescovile della Mancia, in Spagna.[5]

Nel realizzare questo monumento in onore dei due suoi compatrioti martiri, egli non immaginava di certo che la sua stessa figura sarebbe stata a sua volta oggetto di un affresco che ne avrebbe perpetuato la memoria nei secoli.

Nulla altro ci è dato sapere di Mons. Ximenez e non risulta che egli avesse avuto un rapporto particolare col santuario o che abbia proceduto ad un suo restauro o ristrutturazione; conseguentemente la prima domanda che ci siamo posti è stata quella sul perché della sua raffigurazione in questo affresco ed in questo sacro edificio.

Ma se ciò rappresentava una stranezza ancora più  inspiegabili rimanevano dei particolari del dipinto, quali la raffigurazione di alcune gocce di sangue che al di sotto del mento, macchiano la sua candida veste, e la figura di un putto nell’atto di incoronarlo con una “corona di gloria” di alloro, elemento simboleggiante la santità del personaggio raffigurato.

L’enigma è rimasto tale fino a che l’affresco non è stato pulito in occasione dei recenti restauri del santuario.

Attorno alla testa del vescovo è stata rinvenuta una aureola attraversata da una iscrizione; sia l’una che l’altra, di colore giallo e rozzamente eseguite, risultano sovrapposte al dipinto originario.

L’iscrizione si sviluppa su sei righe la prima delle quali, dove era di certo riportato il nome del personaggio raffiguratovi, risulta pressoché cancellata; nel resto in latino scorretto si legge: “[S.] M [ARIA] DE LA MERCEDE  DIACON-US  CARDINALIS  TITUL  STI – EUSTACHIA – GERGORIO 9 AÑO – 1234 CREATUS”.[6]

Il tenore del testo, stante l’assenza del nome, ci aveva indotto a ipotizzare  che detta aureola ed iscrizione potessero essere state apposte da qualcuno che nel personaggio dipinto aveva ravvisata la figura di S. Ignazio di Loyola, fondatore dell’Ordine, ma la considerazione che questi era un laico ci ha spinto ad approfondire l’indagine ed abbiamo scoperto che chi dipinse l’aureola ed eseguì l’iscrizione lo fece a ragion veduta, ed è grazie a questo oscuro personaggio che siamo giunti alla comprensione dei particolari che apparivano inspiegabili.

Siamo tornati ad osservare più approfonditamente l’affresco ed abbiamo associato le macchie di sangue sull’abito bianco con quelle che stillano dal costato del crocifisso che il vescovo stringe nella mano destra e che ha evidentemente baciato; abbiamo infatti notato che sulle labbra serrate del presule c’è una specie di macchia giallastra che pare un impronta, impronta che non può che essere stata lasciata dallo stesso crocifisso dopo essere stato portato alla bocca. Nella mano sinistra invece lo Ximenez tiene un giglio, elemento che rafforza il simbolismo della “corona di gloria” in quanto fiore che accompagna l’iconografia di molti santi e sante a significare la loro purezza e la loro fede in Dio.

Il tutto sembra dunque potersi interpretare come la rappresentazione di un evento miracoloso che riguardò il vescovo, evento di cui non ci è pervenuto alcun resoconto ma che certamente dovette accadere se, come abbiamo scoperto, la figura di Mons. Ximenez la troviamo annoverata tra i “Venerabili”.

L’elevazione a tale rango infatti è la conseguenza del riconoscimento della santità di vita per chi é vissuto come servo di Dio ed ha esercitato l’eroicità della fede e rappresenta il primo gradino del processo di canonizzazione.

A tale processo non si diede seguito per motivi che noi non conosciamo ma che forse sono riconducibili alle difficoltà incontrate per perorarne la causa nella lontana Roma, ma resta il dato della straordinarietà della figura del nostro vescovo che dal suo Ordine, i Mercedari, viene commemorato il quattro marzo.

Il clero e la cittadinanza dovettero essere testimoni dell’evento miracoloso che lo riguardò se decisero di effigiare il vescovo, dopo la sua morte, con i segni manifesti del prodigio; e  manifestarono la loro convinzione che lo stesso fosse morto in odore di santità dipingendogli di fronte un angelo nell’atto di incoronarlo.

Ma fu di certo dopo l’apertura del processo di canonizzazione che l’ignoto artefice  dipinse l’iscrizione ed appose l’aureola per onorare e tramandare ai posteri la grandezza di questa figura che era stata già magnificata in vita e che era in procinto di essere elevata all’onore degli altari.

Il perché poi della raffigurazione del vescovo (e dei segni dell’evento straordinario che lo interessò) nel santuario della Madonna della luce è forse riconducibile al fatto che essendo questo stesso sacro edificio sorto per un fatto miracoloso nessun altro luogo più di questo era indicato per rappresentare un secondo miracolo avvenuto nella nostra Ugento.


[1] V. Luciano Antonazzo: “Guida di Ugento – storia e arte di una città millenaria (a cura di Mario Cazzato), Congedo Editore, Galatina 2005, p.111.

[2] ADU: Visite ad limina – Mons. Ximenez 1630.

[3] ADU: Visite ad limina _ Mons. Ximenez 1633.

[4] Trad.: “ Alla S. Croce e ai Santi protodiaconi di Sisto e di S. Valerio (cioè S. Lorenzo, diacono di Papa Sisto II, e S. Vincenzo, dicono di S. Valerio) il secondo (S. Vincenzo) patrono di questo feudo e di Pompignano, entrambi nati a Uesca in Aragona ed affratellati nel martirio,  tra le altre cose immortalato con la graticola, resi simili al Benedetto (o Beatissimo) Figlio di Dio. Ludovico Ximenmez di Cuenca, vescovo ugentino, dedica il giorno 29 gennaio 1630.

[5] Nei documenti ufficiali della Chiesa la diocesi di Cuenca è denominata “Diocesis conchensis”.

Un’altra città denominata Cuenca si trova in Ecuador.

[6] L’iscrizione precisa che il personaggio rappresentato apparteneva all’Ordine religioso-cavalleresco di S. Maria della Mercede ed era stato Cardinale-diacono sotto il titolo di S. Eustachio, e che l’Ordine suddetto era stato creato da Papa Gregorio IX  nel 1234; in realtà l’Ordine dei Mercedari fu fondato a Barcellona nel 1218 da S. Pietro Nolasco coadiuvato da S. Raimondo di Peñafort e fu approvato nel 1235 da Gregorio IX che gli diede la regola di S. Agostino.

La diaconia (centro di assistenza per i poveri) di S. Eustachio (e non di  S. Eustachia come erroneamente scritto) venne fondata nell’ottavo secolo dentro la basilica di S. Eustachio in Roma, nel luogo dove sorgevano le Terme Neroniane Alessandrine.

Da “Il Bardo-fogli di culture”, Anno XX, N. 1, dicembre 2010

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5 Commenti a L’enigma di un dipinto nel santuario della Madonna della luce ad Ugento

  1. Alcune delucidazioni sull’affresco misterioso in esame nell’articolo. Sono Enrico da Casarano. Innamorato del Salento e mi vergogno a dire di non essere mai stato nel Santuario della Madonna della Luce. Mi è capitato di guardare il servizio di TeleRama in quello scrigno di Ugento e me ne sono innamorato. Nutrivo, tuttavia qualche dubbio sull’identità del personaggio rappresentato nell’affresco, che in quel servizio, come in quest’articolo veniva identificato con il vescovo Ugentino mons. Ximenez. Un aspetto soprattutto non mi convinceva, Ugento non è sede Cardinalizia e il personaggio è rappresentato con in dosso il Galero (che è il caratteristico copricapo cardinalizio) e non con la Mitria come sarebbe stato più indicato. Inoltre l’iscrizione parlava esattamente di un cardinale: “[S.] M [ARIA] DE LA MERCEDE DIACON-US CARDINALIS TITUL STI – EUSTACHIA – GERGORIO 9 AÑO – 1234 CREATUS”. Allora mi son permesso di fare qualche ricerca fra i Santi mercedari e quello che ho trovato è SAN RAIMONDO NONNATO. Stabilitosi in Algeria per liberare i cristiani fatti schiavi dai mori, venne fatto prigioniero egli stesso. Gli venne impedito di catechizzare i prigionieri, ma lui continuò la sua azione evangelizzatrice e per questo motivo lo fecero tacere con la forza, con un morso da cavallo che gli serrò la bocca (il che potrebbe spiegare il sangue e la ferita del personaggio nell’affresco). Tornato in Europa, il Papa Gregorio IX lo nomina Cardinale Diacono di Sant’Eustachio nel 1239 e lo chiama a Roma (ed ecco svelata la seconda parte del testo dell’affresco che si riferisce al personaggio nell’affresco e non all’ordine dei Mercedari). Purtroppo Raimondo non arriverà mai a Roma, morendo durante il viaggio.
    Il vescovo Ximenez (anch’egli Mercedario), ebbe sicuramente il merito di segnalare la figura di San Raimondo e magari fu lui a comissionare l’affresco. Perchè proprio in quel santuario? provo a fare un’ipotesi, ma vi prego di aiutarmi: Madonna della Luce può essere inteso anche come Madonna che dà alla luce ? se fosse così il Vescovo Ximenen avrebbe potuto segnalare e commissionare l’affresco di San Leonardo Nonnato proprio perchè questi era ed è invocato come protettore delle ostetriche. Infatti pare che il suo nome, Nonnato non sia altro che un soprannome derivante da NON NATO, sarebbe infatti stato estratto vivo dal grembo della madre ormai morta.
    Che dite mi merito una visita guidata in quel tesoro di Santuario? Vi lascio la mia mail e aspetto un vostro invito! Felice di aver contribuito in piccolissima parte al vostro lavoro, vi ringrazio per il vostro impegno!

    Enrico

  2. riporto la risposta inviatami dall’autore :

    In risposta del cortese sig. Enrico Giuranno, a proposito dei dubbi sull’identità del personaggio raffigurato nel santuario della Madonna della luce di Ugento.
    Il galero non è un copricapo proprio dei cardinali, lo è anche dei vescovi: rosso per i primi, verde per i secondi. Nel nostro affresco l’anomalia è data proprio dal fatto che benché il cappello prelatizio sia di colore rosso, il personaggio rappresentato è senza dubbio un vescovo, come si desume dal numero delle nappe. Ma tale anomalia viene superata dalla considerazione che lo stesso personaggio aveva diritto a fregiarsi del colore rosso dei cardinali in quanto egli, prima di essere nominato vescovo era stato diacono- cardinale. E’ questa una figura oramai desueta ma che rappresentava il gradino inferiore del collegio cardinalizio. Fin dai primi tempi infatti i cardinali sono divisi in tre ordini: Cardinali Vescovi, Cardinali Presbiteri, Cardinali Diaconi. Nell’Enciclopedia cattolica on line troviamo :
    L’Ordine di Cardinalato era una volta corrispondente al grado di Ordinazione dello stesso (Diacono, Presbitero o Vescovo), o comunque ad un grado di Ordinazione inferiore (pertanto un Prete poteva diventare Cardinale Diacono o Presbitero, ma non Cardinale Vescovo senza essere ordinato tale). Ad esempio, i Cardinali Diaconi erano spesso solo semplici Diaconi; l’ultimo Cardinale Diacono ad essere veramente tale anche quanto all’Ordinazione fu il Cardinal Teodolfo Mertel, morto nel 1899.

    Che nell’affresco in questione sia raffigurato mons. Ximenez, a parte quanto sopra e quanto detto nel mio articolo, lo conferma un santino la cui immagine è abbastanza simile a quelle del dipinto, che qui non posso postare, ma la cui didascalia è: “Venerabile Ludovico Ximenez V(escovo) e C(ardinale).

    Luciano Antonazzo

    • Salve mi chiamo fra Nunzio, sono un religioso dell’Ordine della Mercede (Mercedari) e sono pugliese. Confermo che l’affresco vuole raffigurare il Santo Mercedario Raimondo Nonnato, nominato cardinale di Santa Romana Chiesa con il titolo romano di Sant’Eustachio (chiesa situata nei pressi del Panteon in Roma). I segni distintivi sono chiari: San Raimondo vestito con l’abito bianco di noi Mercedari e lo stemma dell’ordine, fu creato Cardinale da Gregorio IX ma mori lungo il tragitto che lo portava a Roma dalla Spagna, per questo la berretta cardinalizia è sulle spalle e non in testa, gli furono perforate le labbra con un lucchetto in una prigionia in quanto noi Mercedari siamo nati per la redenzione dei cristiani schiavi dei mussulmani, il giglio e il crocifisso sono i segni del suo grande amore alla vergine Santissima e a Gesù Redentore. Da quello che ricordo, si può accertare, il santuario della Luce fu voluto da un vescovo Mercedario (non ricordo il nome) seppellito nella Chiesa di San Pietro in Galatina

  3. Ringrazio Enrico Giuranno e frate Nunzio per i loro interventi tesi a far luce sul dipinto in questione. Concordo con loro che il personaggio raffigurato rappresenta, come oggi lo si vede, s. Raimondo Nonnato, creato diacono cardinale nel 1239 e non nel 1234, data riportata nell’iscrizione e che mi ha indotto a ritenere facesse riferimento all’Ordine approvato da Gregorio IX. Ma siamo sicuri che non sia il risultato di un ritocco?

    La presenza della raffigurazione dell’aureola consente di datare l’iscrizione successivamente e non prima del 1657, anno in cui s. Raimomdo Nonnato assurse agli onori dell’altare dopo essere stato canonizzato nel 1626. Quest’ultima data rende plausibile l’ipotesi che a commissionare il dipinto potesse essere stato mons. Ximenez (1627-36) ma in tal caso come spiegare l’incongruenza del numero dei fiocchi delle nappe ed il loro colore rosso? Possibile che il vescovo potesse essere incorso in un simile errore?
    Allora delle due l’una: o il dipinto fu realizzato così com’è, senza aureola ed iscrizione, dopo la morte dello Ximenez (e non si vede chi in Ugento avesse potuto commissionarlo e perché), oppure in occasione dell’apposizione dell’iscrizione fu ritoccata l’immagine originaria raffigurante lo stesso mons. Ximenez.

    A cambiare l’identità del personaggio sarebbe bastata (come a mio avviso bastò) l’aggiunta sulle sue labbra di quel piccolo segno (di colore giallo-ocra come quello dell’iscrizione) richiamante un lucchetto, o un morso da cavallo col quale, secondo la tradizione, venne serrata la bocca di s. Raimondo. D’altronde se originariamente il personaggio del dipinto raffigurava s. Raimondo quale necessità vi era per rimarcarlo nell’iscrizione?
    Se di ritocco si tratta a chi ascriverlo? L’unico che poteva in quel contesto storico avere un interesse in tal senso era mons. Gabriele Adarzo de Santander, arcivescovo di Otranto dal marzo 1757. Egli apparteneva all’Ordine dei Mercedari e come tale fu il più strenuo propugnatore della santificazione (avvenuta nel 1655) del fondatore dellÔrdine, san Pietro Nolasco. Allo stesso modo fu il promotore più convinto del culto di san Raimondo Nonnato. Fu tanta la sua devozione verso i due santi che li fece raffigurare nelle due statue delle nicche laterali della chiesa della Madonna della Luce a Galatina e nel dipinto di s. Maria della Mercede, con san Raimondo tenente nella mano sinistra un morso da cavallo.

    Se mi si chiede in base a quale criterio ipotizzo un intervento dell’arcivescovo sul dipinto di Ugento rimando al saggio di Raimondo Rodia (su questo sito) che ricostruisce la vicenda dell’erezione della chiesa della Madonna della Luce di Galatina . Verosimilmente l’arcivescovo, allorché nel 1659 fu investito dal violento temporale da cui miracolosamente scampò, stava rientrando in Galatina dopo aver effettuato una visita alle suffraganee diocesi di Ugento e Gallipoli alle cui sedi (dopo una vacanza risalente per la prima al 1651 e per la seconda al 1655) erano stati nominati riapettivamente mons. Lorenzo Encinez (28 luglio 1659) e Giovanni Montoya de Cardona (9 giugno 1659).

    Per quanto attiene mons. Ximenez purtroppo non si conosce nulla della biografia e tantomeno si ignora se a sua volta fosse stato nominato diacono cardinale di qualche altro centro di assistenza per i poveri, ciò che potrebbe giustificare il colore rosso delle nappe e dei fiocchi. Ma per questo potrebbe essersi semplicemente trattato di un errore ascrivibile al pittore.

    Luciano Antonazzo

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