LA NUOVA MASCHERA DEL CARNEVALE GALLIPOLINO
di Gino Schirosi
Tra le maschere italiane della commedia dell’arte, accanto alle due note figure di popolani cialtroni e inaffidabili, come il napoletano Pulcinella (scaltro e volubile) e il veneziano Arlecchino (ambiguo servitore di due padroni), hanno pure un loro ruolo Colombina, Balanzone, Pantalone, Stenterello, Gianduia e Brighella, altrettanto famosi per altre categorie di vizi o virtù. Inoltre, a margine di tanti illustri sconosciuti, esistono nella nostra regione Farinella (Putignano), Ze Peppe (Manfredonia), Paulinu (Grecìa salentina) e Titoru, voce volgarizzata da Teodoro (“dono di Dio”), singolare maschera storica della tradizione popolare carnascialesca di Gallipoli. Ognuno di questi tipi o caratteri ha una sua storia particolare con una metafora da raccontare. Il carnevale gallipolino, in particolare, ha ruotato da sempre attorno alla figura del Titoru, sebbene figlio di una storiella del tutto fantasiosa, ancorché paradossale, apparentemente avulsa nell’atmosfera gioiosa di popolo.
La nostra manifestazione, senza peccare di campanilismo, è la più nota nel Salento, quest’anno nella sua 70^ edizione (per avversità climatiche dirottata a sabato 12 e domenica 13 marzo). Come nel 2010 hanno fatto da corona carri allegorico-grotteschi di singolare valore artistico, gruppi mascherati e personaggi di varie caratterizzazioni socio-etno-antropologiche, con figurazioni storiche e attuali, sfarzose e popolane. Coinvolgendo alla pari uomini e donne, adulti e non, è stato un carnevale dignitoso che ha continuato la sua tradizione imponendosi tra tanta concorrenza ogni anno sempre più ferrata nell’ambito della provincia, miseramente falliti i tentativi di consorziare similari avvenimenti dell’hinterland.
A conferma del suo successo il nostro carnevale, ribadendo il suo solito volto col medesimo programma collaudato, è stato ulteriormente rivalutato in quanto inserito oltre che nel consesso delle associazioni italiane del carnevale anche nel novero delle Lotterie Nazionali.
L’Amministrazione comunale è sempre impegnata come Istituzione in sintonia con la Pro Loco. Ma la responsabilità diretta è demandata all’Associazione Carnevale cui spetta il compito di realizzare l’evento da vendere come prodotto di qualità alla Bit di Milano.
Il successo del passato, pur entro certi limiti, è stato ancora confermato e assicurato grazie all’impegno profuso da volontari, frutto di zelo, passione, dedizione e fantasia creativa di decine e decine di artisti e maestranze di operai locali esperti da anni in questo genere di attività: tecnici, carpentieri, falegnami, fabbri, elettricisti, pittori, ma soprattutto provetti cartapestai eredi di una nobile tradizione storica.
Il carnevale gallipolino è un’eccezionale opportunità per un ulteriore decollo turistico. Per tale ragione si deve pensare a migliorarlo sempre più nella cura dei particolari, nell’oculata flessibilità del calendario non limitato al solo periodo finale e nell’organizzazione generale con la presenza straordinaria di un nome di richiamo e d’immagine del mondo dello spettacolo.
Il Comune, pur tra gravi difficoltà di bilancio, compra a corpo solo il pacchetto così come viene offerto e lo fa con precise finalità, ovvero quale strumento di promozione turistica, senza preoccuparsi della collaborazione e della buona riuscita della manifestazione, la cui responsabilità ricade esclusivamente sugli organizzatori.
In una cornice di pubblico, in verità inferiore al passato, quest’anno hanno sfilato ancora su corso Roma sei carri allegorico-grotteschi, opere artistiche e monumentali, animate con sapiente regia dalla perizia di tecnici e collaboratori volontari, disponibili ad offrire il loro contributo per la causa comune. Alternati tra danze coreografiche e musiche esilaranti, presenti anche tredici gruppi mascherati in maggior parte composti da adulti e organizzati soprattutto da associazioni varie. Complessivamente il numero dei partecipanti non è stato inferiore a mille figuranti. Sempre valido il tema gettonato: la satira ironica dell’attualità politica necessariamente aggiornata.
Vincitore nella categoria dei carri, tutti validi per estetica e professionalità, è stato il lavoro in cartapesta: “Pagliacci, giocolieri, illusionisti, contorsionisti e domatori di bestie feroci”, opera del gallipolino Cosimo Perrone, che, confermatosi artista di vaglia e quindi non nuovo a tale performance, ha inteso lanciare un messaggio allegorico ai numerosi trasformisti e saltimbanchi che, ad ogni livello, si aggirano e pullulano nel circo della vita e purtroppo della politica.
Una novità d’altro canto è costituita dalla partecipazione ufficiale, a concorso, di due gruppi del Titoru. Il successo, comunque, è parimenti garantito per l’estemporanea e stravagante goliardia, se con la morte de “lu Titoru” si deve comunque rappresentare la fine del carnevale. La storia di questa maschera, almeno in funzione del logo ufficiale e della nuova immagine, è stata finalmente rivista e corretta, seppure con qualche compromesso, che va tuttavia nella direzione di un effettivo decollo della manifestazione che ha bisogno di altri stimoli per interessare l’intero hinterland del basso Salento e contribuire nello stesso tempo a destagionalizzare il flusso turistico nei mesi invernali.
Teodoro, pur stando alla vulgata, va posto al centro di ben altra esperienza che ne modifica la rappresentazione. Se fosse davvero crepato e poi compianto nel pieno dell’esplosione carnascialesca, farebbe il paio con Paulinu, similare maschera grecanica. Il Titoru è figura caratteristica di una strana storia a personificare, al centro di un funerale, un defunto disteso su carro funebre, circondato da lugubri prefiche in gramaglie e aggredito da volgari turpiloqui incomprensibili per un pubblico di rispetto. Mentre tutt’intorno il carnevale impazza ubriaco di tamburelli e coriandoli, di suoni assordanti e colori cangianti.
La storia evidentemente dev’essere un’altra. Anzi si può azzardare come all’incirca sarebbero andate le cose, messe da parte favole e insulse leggende. Siamo nel tardo medioevo a Gallipoli. La scena è invernale con la probabile storia così ricostruita.
“Quale fu lo malo cristiano che mi furò l’amata criatura? Così Teodora, madre piatosa e dolente, afflitta se dimenava e desperata se piagneva notte e dia lo suo unico filiolo Teodoro e se replicava notte e dia lo medesmo compianto intra lo tristo scoramento e compatimento dello vicolo tutto. Teodoro se ne dimorava più anni assai lungi dallo mare suo pescoso, a pugnare contr’all’infedeli dello santo sepolcro. Però, all’antrasatta, un bel dì de febbraro un araldo civico pubblicava lo nunzio della venuta de crociati in terra de Salento. Un picciolo vascello veleggiava in acque de Leuca portandose a casa dugento homini d’armi la più parte feruti ma tutti derelitti. Lo dì ultimo de carnevale, che con placevolezza somma se facea ogne anno, fu in la cittade lo povero Teodoro: era massime assetato, affamato, guasto de visu e debile de corpore. Teodora subitamente se fiaccò, mancò lo senno, poscia se riebbe e lo gaudio la vinse immantinente. Fu festa sollazzevole con mensa magnifica da far mangiare puranco lo vicinato. Se canzonava e se ballava galiardi in gran baldoria. E niuno fece conto delle polpette finite nella pancia vota de Teodoro, beone assai e satollo quasi alla dipartita per gravitate de stomaco da strozzare, quale sorcio in barile…”.
Teodoro s’ingozzò fino all’inverosimile, dunque, appena appena sul punto di crepare rimpinzato o soffocato dalla foga e insieme da una smisurata voglia: il piacere della gola a secco per lunga astinenza. Bisognava tuttavia profittarne. A poche ore dal digiuno di Quaresima, si saziò tanto da rimanere così stordito e stravolto dalla festosità corale di parenti, amici e compari, parimenti ebbro di allegria per la gioia di una vera vita infine ritrovata. Ed è meglio così.
Che nesso, infatti, potrebbe avere una rappresentazione macabra e volgare con una maschera lugubre al centro di una sarabanda fragorosa di suoni e colori, là dove si dà sfogo a tutti gli istinti inferiori di insana ilarità in mezzo ad una cornice variopinta di esplosione gioiosa propria della realtà carnascialesca, che ha invece nella musica, nel canto, nella danza ma anche nel brillante vocabolario di frizzi e lazzi la sua autentica corrispondenza goliardica?
Già due anni fa avevo suggerito agli organizzatori dell’associazione carnevale e all’assessore al turismo l’idea di questa semplice rivoluzione da apportare e realizzare con una necessaria modifica per mettere davvero in piedi una maschera viva e vegeta, patrimonio della nostra tradizione popolare. Potrebbe essere un soldato medievale reduce dalle Crociate, comunque una maschera popolare dignitosa in grado di continuare a costituire lustro del nostro folklore, specie con un look completamente mutato e rinnovato, più consono alla circostanza, meglio accetto a visitatori e turisti, più gradito agli amanti del senso estetico e del buon costume. A guadagnarci è indubbiamente la sorte del nostro carnevale, bisognevole di essere opportunamente nobilitato e rilanciato.
La nuova maschera oggi è dunque un popolano tipico alle prese con un “piatto di polpette ed un fiasco di vino generoso”, così come da me già proposto. Ne è nato un logo appositamente studiato a rappresentare con dignità il futuro del nostro carnevale.
Il carnevale gallipolino aveva proprio bisogno di un logo di prestigio con un autentico salto di qualità. Ora ne guadagnerà indubbiamente la sua sorte, una volta che sarà sprovincializzato sino ad essere persino riproposto in estate per essere maggiormente conosciuto da una più vasta platea di pubblico amante delle tradizioni locali, che sono i valori immateriali della nostra cultura.