di Gianni Ferraris
Silenzio irreale nel corso stamattina. Poca gente, è presto. Non c’è ancora il pianista che suona ogni giorno e rende ovattata l’atmosfera. Non so se è un virtuoso, però mi piace. Anche le persone parlano a bassa voce, a parte quella signora che vuol far sapere a tutti di essere proprio lì e lo urla nel suo cellulare. Quasi ci fosse bisogno di urlare per farsi sentire, d’altra parte il telefono è piccolo, vuoi mica che trasmetta come quelli grandi? È un’abitudine diffusa parlare ad altissima voce dentro quel marchingegno. Poi stacca e torna il silenzio. Dietro di me sento una cadenza che sembra quella di un metronomo, toc toc toc. E’ una signora che cammina ed i suoi tacchi accompagnano anche i miei passi, per tutto il corso, da porta Rudiae a Piazza Sant’Oronzo.
Ascoltavo un dibattito in TV di prima mattina. Una mediatrice culturale, italiana di adozione e per diritto acquisito, parlava di immigrati, esuli ed altro. Diceva una cosa importantissima, alla quale spesso non si pensa. L’esule, l’immigrato, il povero, sono persone che non hanno banalmente bisogno di aiuto. Hanno il diritto di essere soccorse. E la società che accoglie non deve parlare di aiuti come se fosse una semplice carità, ma ha il dovere civile, etico e morale di soccorrere. E loro, gli immigrati, hanno il diritto di vivere. È la regola della democrazia, dell’umanità.
A volte si tenta di scardinare anche le secolari regole del mare. Quando il marinaio vede un’imbarcazione che necessita di soccorso deve fare tutto il possibile per garantirne l’integrità, per salvare le persone. Il solo parlare di respingimenti in mare è l’esatto opposto di questa legge. Prima si soccorre, si cura chi ne ha bisogno, poi, solo poi si parli di leggi e di norme sull’immigrazione.
Questo mi fa venire in mente l’utilizzo delle parole, l’importanza che hanno. “La manomissione delle parole”, il titolo del libro di Carofiglio. Che consiglio caldamente.
“Parole che un tempo avevano avuto un significato eretico venivano pur mantenute, talvolta, per via della convenienza, ma il significato sfavorevole era come purgato. Innumerevoli altre parole, come: Onore, giustizia, morale, internazionalismo, democrazia, scienza e religione avevano cessato semplicemente di esistere……. Tutte le parole che si raggruppavano intorno al concetto di Libertà e Uguaglianza, ad esempio, erano contenute nella semplice parola psicoreato…” (Orwell, 1984)
Così la personalizzazione del comportamento istituzionale depotenzia il concetto stesso di Istituzione. Per i presunti reati del premier si cita per nome e cognome il premier stesso, come dice bene l’amico Pierpaolo, occorre invece tornare a citarne il ruolo. Se un reato è compiuto da una cittadino è una cosa, altro è se a commetterlo è il Presidente del Consiglio, perché in quella veste non rappresenta sé stesso e basta, parla ed agisce in nome del Popolo sovrano. Problema etico, ma anche politico e dovere civico. La pena, ovviamente, deve essere la stessa da un punto di vista penale e civile, altra cosa è il ruolo sociale ricoperto. Chi governa legifera in nome e per conto del popolo sovrano. Quindi deve mantenere un comportamento virtuoso. La vita privata non è altra cosa da quella pubblica. Immaginiamo che chi legifera per aumentare le pene ai consumatori di cocaina, sia egli stesso consumatore abituale, sarebbe credibile?
E questo linguaggio, involuto, volto a celare altri significati, ha come scopo molto spesso rendere meno comprensibili gli accadimenti. Assistiamo al fenomeno surreale di un territorio inesistente che diventa luogo comune nei giornali e in TV. La padania, tristo neologismo che, a seconda di chi lo ascolta, si può coniugare con libera terra, oppure con secessionismo.
Comunque la si veda, è negazione della Carta Costituzionale e dei valori dell’unità d’Italia. Il nord Italia è libero a prescindere da tutto, perché parte di un paese libero.
Toc, toc, toc. I tacchi della signora, che non mi sono mai voltato a guardare e che non sono in grado di dire se era giovane o anziana, bella o meno bella, bionda o bruna, proseguivano a darmi la giusta cadenza del cammino.
Già, le parole. Chiesi informazioni ad un giovane vigile (in gergo: agente di polizia municipale) in un paese che non ricordo, era fiero della sua nuova divisa, mi disse “deve arrivare all’impianto semaforico e svoltare a destra…” . “Al semaforo?” chiedo sornione, “si, all’impianto semaforico” insiste. Ah la burocrazia.
C’è un linguaggio comune, normale, ed uno ufficiale evidentemente. Poi c’è il linguaggio dei simpatici ad ogni costo. Mi piace ascoltare, di primissima mattina, le previsioni del tempo. Solitamente su RAI 3 perché c’è anche la rassegna stampa (che qualcuno chiamava, non a torto, rassegna stanca (cambio di consonante, roba da enigmisti). Il colonnello ce la mette tutta per essere brillante, così una giornata in cui si prevede pioggia e vento, diventa “oggi Giove Pluvio ed Eolo faranno una scampagnata in Salento” (sic). “Alle sei e mezzo di mattino si dicono queste cose?” mi chiedo mentre la caffettiera, scordata aperta, mi allaga il fornello con il primo caffè. Oppure : “oggi preparate cappelli, guanti, sciarpa e cappotto. E ombrello al seguito”. Mi sento discriminato. Non porto, neppure nelle nebbie del Piemonte, sciarpa, cappello e guanti. In quanto all’ombrello, accidenti, l’ultimo l’ho lasciato chissà dove. Avesse detto che è previsto freddo intenso e pioggia mi sarei sentito meno stupido. Visto come le parole possono essere pesanti?
“Ti amo” racchiude un mondo e tutti i mondi, lascia aperte porte e fa volare alto. Se invece vogliamo essere burocraticamente corretti potremmo dire “quando ti penso le mie endorfine impazziscono e la produzione di testosterone aumenta, inoltre una stretta allo stomaco mi provoca inappetenza”. Volete mettere la differenza? Nel secondo caso, se proprio tiene a voi, la persona amata vi accompagna dal primo medico a farvi visitare.
Toc toc toc, solo allora mi sono voltato a guardarla, arrivati in piazza San’Oronzo ha preso una direzione diversa dalla mia, il rumore dei passi sfumava fino a sparire. Era mora, capelli lunghi.