di Armando Polito
Il lampascione nell’arte contemporanea: musica, teatro, cinema e poesia
di Armando Polito
L’umile bulbo entra nella canzone popolare, sia pure nella variante pampasciòne e nel significato traslato di testicolo già ricordato: succede in Li mistieri, canto tradizionale che gli Aramirè14 hanno inserito nel loro album Mazzate pesanti uscito nel 2004. Riporto di seguito per intero il testo con la mia versione italiana perché sia compreso anche da chi salentino non è:
Mo’ te cuntu te li mestieri;/ li scarpari su li primi:/ se la inchene la panza/cu nu piattu te lupini./ Mo’ te cuntu li falignami:/tuttu lu giurnu liscia liscia/alla fine te la sciurnata/ se la fottene la pignata/Ca mo’ riane li trainieri:/fannu na vita te cavalieri quando rivane alla ‘nchianata/ la castimane l’Immacolata./ Mo’ te cuntu te li ferrari:/ tuttu lu giurnu batti batti;/ quando spicciane li crauni/ se li rattane li pampasciuni./ Mo’ te cuntu tte li ’mpiegati:/ fannu na vita te Patreternu;/ quando riva lu ventisette/ te lu squajane lu governu./E li poveri contadini/fannu figura te pezzenti:/quando spicciane la stagione/nu hannu ccotu propriu nienti.
(Adesso ti parlo dei mestieri;/ i calzolai sono i primi:/se la riempiono la pancia/con un piatto di lupi. Adesso ti parlo dei falegnami:/ tutto il giorno liscia liscia;/alla fine della giornata/se la fottono la pignatta./E’ la volta dei carrettieri:/fanno una vita da cavalieri;/quando giungono alla salita/la bestemmiano, l’Immacolata./Adesso ti parlo dei fabbri:/tutto il giorno batti batti;/quando finiscono i carboni/se li grattano i coglioni/). Adesso ti parlo degli impiegati:/fanno una vita da Padreterno;/quando arriva il ventisette/te lo squagliano il governo./E i poveri contadini/fanno la figura di pezzenti:/quando chiudono la stagione/non hanno raccolto proprio niente).
Analoga apparizione nel brano Vinne de Roma, che fa parte dell’album Allu tiempu de li lupini realizzato da I cantori dei Menamenamò15 e uscito nel 2000:
Vinne de Roma…/ Lu tammurreddhru meu vinne de Roma/ ca me l’ha’ nnuttu na Napulitana./E cu lu sonu…/ Me disse cu lu cantu e cu lu sonu/ ca quannu vene iddhra lu pacamu./ La tarantella…/A ddhru te pizzicau la tarantella?/Sutta lu giru giru de la gonnella./De le tarante…/E Santu Paulu meu de le tarante/ pizzica le caruse ‘mmenzu l’anche./De li scurpiuni…/E Santu Paulu meu de li scurpiuni/pizzica li carusi ‘lli pampasciuni….
(Venne da Roma…/ Il tamburello mio venne da Roma/e me l’ha portato una napoletana/E per suonarlo…/Mi disse di cantarlo e di suonarlo/che quando viene lei lo paghiamo/La piccola taranta…/Dove ti morse la piccola taranta?/Sotto il giro della gonnella./Delle tarante…/E san Paolo mio delle tarante/morde le giovani in mezzo alle gambe./ Degli scorpioni…/E san Paolo mio degli scorpioni/morde i giovanotti ai coglioni…).
Al bulbo si sono ispirati nella scelta del loro nome i Lampasciounazz, band di Basilicata, che nel 2007 ha vinto al festival folk di Castel Raniero (RA) La musica nelle aie.
Dal palcoscenico del folk ritenuto, forse a torto, minore il lampascione sale su quello della musica da camera: nel 2003 a cura di Antonio Nobile16 e con la supervisione di Davide Paolini17 è uscito il cd Serenata per la cucina italiana di Damiano D’Ambrosio18, con musiche eseguite dal Complesso Cameristico Lucano diretto da Vincenzo Perrone19. A scorrere il menu di pranzo (lato a) e cena (lato b) sembra di dover ascoltare una raccolta goliardica di famose parodie; invece si tratta di una seria esecuzione di musica cameristica: Andar per misticanza, Pizzica di lampascioni sfritti, Pettole e cartellate con cupa cupa, Nunc vino pellite curas, Notturno parmigiano… questi alcuni titoli del lungo cd che ci riporta ad antiche usanze con uno spirito musicale nuovo, fresco e futurista.
Con lo stesso nome e valenza metaforica visti nella prima puntata il nostro bulbo fa la sua fugace comparsa nel monologo introduttivo di Leccesi, c’era una volta, testo teatrale scritto da Alfredo Romano20 e rappresentato per la prima volta in Svizzera nel 1997 (in basso la locandina di una replica del 2002):
… Mo’ hae ‘na quattrina t’anni a quista parte ca li cristiani me ncòntranu e mme tìcianu: Affretu! Ma quandu ne lu faci lu spettaculu ca ccunti te lu paese tou ? Sangu! Lu facisti alla Svizzera, lu facisti a Roma, puru a Sant’Oreste ca nu’ tte scorni… e nnu’ llu faci a Civita? Comu, cu tanti Leccesi ca hae a Civita nu ‘ llu faci? Insomma, m’hanu scurciatu li pampasciuni pe’ bonu tiempu, alla fine aggiu tittu te sine: a ‘nnu pattu però, ca àggiu ccuntare ‘nu fattu te nònnuma lu Pascalinu, se no nun ci lu fazzu. Ca cunta quiddhu ca voi! m’hanu tittu, ca pe’ cquistu? Allora no? ‘na fiata nònnuma lu Pascalinu…
(…. Adesso sono quattro anni a questa parte che le persone m’ incontrano e mi dicono:”Alfredo! Ma quando ce lo fai uno spettacolo in cui parli del tuo paese? Accidenti! Lo facesti in Svizzera, lo facesti a Roma, pure a Sant’Oreste e non te ne vergogni…e non lo fai a Civita? Come, con tanti Leccesi che ci sono a Civita, non lo fai?”. Insomma, mi hanno escoriato i coglioni per buon tempo, alla fine ho detto di sì: a un patto però, che debbo raccontare un fatto di mio nonno Pasqualino, altrimenti non se ne fa niente. “Ma racconta quello che vuoi!”, m’hanno detto, “non è che per questo?”. Allora, no, una volta mio nonno Pasqualino…)
Un uso più convenzionale, anche se sempre fugace, della nostra voce è fatto dal matinese Alfredo Cataldo21 nel suo ‘Nc’era na fiata:
SSUNTA Amore, amore. Be ne inchiti la ucca. Tisse bbonu quiddhu: amore ete sulu na parola ca face rima cu core. (ASSUNTA Amore, amore.Ve ne riempite la bocca. Disse bene quel tale: amore è solo una parola che fa rima con cuore)
ORTENSIU No, no Ssunta, face puru rima cu dolore, tottore, rumore, tumore e cicore.
(ORTENSIO No, no Assunta, fa pure rima con dolore, dottore, rumore, tumore e cicorie.)
SSUNTA Sì, sprusciuni e zanguni22.
(ASSUNTA Sì, bardane e sonchi)
ORTENSIU No, quiddhi fannu rima cu vagnuni23 maluni e pampasciuni.
(ORTENSIO No, quelli fanno rima con ragazzi, meloni e lampascioni)
Per restare sempre nell’ambito del vernacolo, un’altra fugace apparizione in Retu la porta ti zi’ Tunatu (1973), commedia in tre atti Di Cosimo Piergianni24 :
(Atto I, scena I)
MIMMO –Mo ccumenza cu mme. Pà, gli ultimi saranno i primi; e po’ ce ccorpa tegnu iu ci l’urtimu tla classe nonci ste veni cchjù? (MIMMO -Mo comincia con me. Papà, gli ultimi saranno i primi; e poi che colpa ho io se l’ultimo della classe non sta venendo più?-)
ZI’ TUNATU -Ma fammi lu piaceri, fa, vagabondu! Ci no tti sona lu studiu, pigghja nna zzappa e scava lampasciuni! (ZIO DONATO -Ma fammi il piacere, fammi, vagabondo! Se non ti garba lo studio prendi una zappa e dissotterra lampascioni!)
A riprova del suo ingresso ufficiale nella lingua nazionale il lampascione/pampascione appare nella commedia in tre atti La commissione ricorsi (2004) di Corrado Sancilio (Atto III):
3° Ricorrente (Interrompe)
Permette signor presidente. (E tira fuori i vasetti che ha portato con sé. Li sistema sul tavolo in bella vista per poi procedere alla distribuzione. Sono vasetti che contengono alimenti sott’olio preparati dalla moglie del signor Trombaiolo. Si tratta di un vasetto di pomodori, uno di melanzane, uno di lampagioni, uno di zucchine ed uno di peperoni). Mia moglie è molto brava a preparare alimenti sott’olio. Sono delle genuinità introvabili. Sono fatti in casa signor presidente.
Presidente
Senta signor Trombaiolo. La ringrazio, ma……..
3° Ricorrente (Interrompe)
Non mi ringrazi prima ancora di quello che sto per dire. Questo vasetto è per lei. (E destina al presidente quello più grande contenete i lampascioni o lampagioni che dir si voglia. Quindi rivolgendosi agli altri) Lor signori non me ne abbiano a male se offro al presidente il vasetto più grande. Guardi signor presidente che lampascioni come questi lei non ne ha mai mangiati. Tutta roba fatta in casa da mia moglie. Vengono dal Salento. Hanno un gusto amarognolo ma si mangiano che è ‘na bellezza. Sono stati lessati in aceto di vino, dopo averli lavati accuratamente naturalmente, conditi con olio, sale e pepe. Sono ‘na bontà, presidente. Li assaggi prima di dire no.
Presidente
La ringrazio di cuore ma non possiamo accettare. La deontologia professionale in primis, nonché la legge sull’ordinamento degli impiegati dello stato e dei docenti del 15 marzo 1995 ci impedisce di accettare doni. E precisamente l’art. 28 così recita: “E’ vietato ai dipendenti di accettare doni per atti inerenti ai doveri o competenze d’ufficio”.
(ma viene nuovamente interrotto da Trombaiolo).
3° Ricorrente
Presidente, mi scusi ma non si faccia ingannare dalle circostanze. E’ un omaggio di mia moglie. Roba genuina senza conservanti. In olio extravergine d’oliva. Dal gusto e dal sapore inconfondibile. Si sente il profumo della nostra terra, presidente…
Gennaro
Mi scusi presidente, ma che verbalizzo io? Che a lei viene fatto omaggio di un vasetto di lampascioni o di pampascioni in olio extra vergine d’oliva…
Nella variante lampacione, poi, compare nella commedia Interno con limoncello scritta nel 1997 da Vittorio Amandola25 (Atto II, quadro IV):
ANGELO No! Erano ai preliminari! Stavano sul divano e lui, il mio compagno, gli faceva assaggiare i suoi famosi sottoli! I sottoli, capito? Perché lui ha la passione dei sottoli! Funghetti sottolio, melanzanine, carciofetti, lampacioni… I quali sottoli, presi così, fini a se stessi non sono niente di speciale, no? Fra l’altro gli vengono anche male! Ma lui li usa come pretesto, lo so benissimo! Sono una scusa, un trucco per accalappiare il “cappuccetto rosso di turno” !
NICOLA E… gli funziona?
ANGELO Come no? Ha accalappiato anche me in questo modo!
NICOLA Tra un lampacione e l’altro…
ANGELO Esatto!
Uno spettacolo sui generis è Il pasto della tarantola, allestito dai Cantieri Teatrali Koreja26, che racconta la cultura salentina mediante un connubio tra teatro, cibo e tecnologia. La performance teatrale, inizialmente svoltasi nell’ambito del festival itinerante de La notte della taranta27 nelle città che ospitano i concerti dall’11 al 24 agosto, è un vero e proprio happening in cui attrici-cameriere accompagnano lo spettatore-avventore alla scoperta dei sapori tipici salentini compendiati in quattro specialità: il lampascione, la scapece28, i pomodori secchi sott’olio e il negramaro29. L’amarognolo gusto del lampascione, quello robusto e forte della scapece, l’agrodolce del pomodoro e l’armoniosa vigoria del negramaro diventano, così, i dominatori ed i veri protagonisti della scena.30
Per il cinema posso solo fare congetture e immaginare, per esempio, che Ugo Tognazzi, abile cuoco nonché raffinato buongustaio, nel prepararsi a interpretare il ruolo del protagonista ne Il petomane31 sia stato sfiorato dall’idea di fare solenni scorpacciate del nostro bulbo qualche ora prima di girare, per dare più realismo all’interpretazione e risparmiare, magari anche per contratto, sulle spese di doppiaggio…
Passando alle testimonianze poetiche, una fugace apparizione il nostro bulbo fa (nella variante pampasciulu) ne “Lu carniali de lu 1829, ci se llecenzia de Lecce” (vv. 93-100) di Francesco Antonio D’Amelio32:
La sta secuta lu trenu/ de le propie marcanzie:/fae ngrappate cu lu rienu,/ fiche, passule e bulie;/ mighiu, doleca, pasuli,/capetune mmarenatu,/ sarde, alici, pampasciuli,/ baccalà e stoccu seccatu.
(Le tiene dietro il corteo/ delle proprie merci:/ fave origanate,/fichi, uva passa ed olive;/miglio, dolico, fagioli,/capitone marinato,/sarde, alici, lampascioni,/baccalà e stoccafisso secco)
Esso, invece, appare come coprotagonista nella composizione Tuluri ti panza (Dolori di pancia) del contemporaneo brindisino Luigi De Marco:
Tutti stà dicunu: “ Uh cce minchiata/ papa Luviggi osci è cappata!/Imu saputu ca na pignata/ti vampasciuni s’è sculacchiata./Era li setti ti la matina/e sta durmia propri alla china;/cu lu va descita sciu nà cummari/ma iddu secuta a cruffulari;/quedda lu scotola e zicca a diri:/ “Aziti papa, messa a scè diri!”./Li uecchi si fricula e po si stindecchia,/ apri la vocca, mpizza la recchia/e dici “Caspita, è lucisciutu,/a suennu chinu aggiu turmutu”./Nfila li cazi, po’ nu cazettu,/ l’atru no trova sott’allu liettu:/pi totta casa ncè na rivota/sia ca lu tiavulu menti la cota./Rozzula e gira pi circolari/ma lu cazettu nò po’ truvari./ “Nò faci niente ca pi cazettu/ mo mi nturtoghiu nu fazzulettu;/ ce uè scummitti ca quiddu fessa/osci chiù prestu sona la messa?”./E mentri si nfila scarpi e suttana/senti lu suenu ti la campana./“Papa, no ttieni facci lavata”/“Tiempu no tegnu pi na cacata”/Com’a ‘nu furgulu scendi li scali,/passa piriculu ti ruzzulari;/com’a ‘nu veru cani squatatu/si metti a corriri a pirdifiatu,/ ma ntra Sampietru ti li Scavuni/zicca fa effettu li vampasciuni:/ccumenza a torciri pi lu dulori,/si sent’assìri li uecchi ti fori./“Matonna iutimi, uh ce sta ppassu,/intr’alli cazi mo mi sta fazzu”./Po’ si ricorda ca dà vicinu/sta lu fattori di don Martinu:/spengi la porta senza crianza/e cu li mani teni la panza./“Gesù, Maria! Papa c’è statu?”/“Presto, figliole, datemi un vaso,/mi sto crepando per San Tommaso”.” “Fuci Carmela, fani cu passa,/ci no lu papa mo ndi la lassa”./Doppu menz’ora ca intra è statu/papa Luviggi s’è difriscatu./“Grazie, figliole, per il gran piacere”./ “Cce dici, papa, è nu duveri!”./Po’ n’atra vota zicca a truttari/pircè cchiù prestu pozza rrivvari/e va ticendu: “ Non c’è che fari,/ ‘na cazziata m’aggia buscari”./Trova di fattu lu sacristanu/li uecchi stuerti e la scopa a manu./“E bravu lu papa: cc’è lucisciutu/o ti lu liettu tu si catutu?/È corpa mia ci ti lamienti/ca la quantiera nò cogghi nienti?/Cussì succeti quandu tu manchi:/osci la messa tilla vacanti!”.
(Tutti stanno dicendo: ”Uh, che fregatura/oggi è capitata a papa Luigi!/Abbiamo saputo che di una pignatta/di lampascioni ha fatto una scorpacciata./Erano le sette del mattino/e stava dormendo profondamente;/per svegliarlo andò una comare/ma lui seguita a russare;/lei lo scuote e comincia a dire:/“Alzati, papa, devi andare a dire messa!”/ Gli occhi si strofina e poi si stiracchia/apre la bocca, drizza l’orecchio/e dice:”Caspita, è già giorno,/ho dormito a sonno pieno”./Si infila i pantaloni, poi un calzino,/non trova l’altro sotto al letto:/per tutta la casa c’è uno scompiglio,/come se il diavolo ci mettesse la coda./Fruga e cerca in cerchio,/ma non può trovare il calzino./“Non fa niente se al posto del calzino/adesso mi arrotolo un fazzoletto;/“Vuoi scommettere che quel fesso (di sagrestano)/ oggi suona messa più presto?”/E mentre infila scarpe e sottana/ente il suono della campana./“Papa, non ti sei lavato la faccia”./“Non ho tempo nemmeno per una cacata”./Come un fuoco d’artificio scende le scale,/corre il pericolo di ruzzolare;/come un vero cane scottato/si mette a correre a perdifiato,/ma in via San Pietro degli Schiavoni/cominciano a fare effetto i lampascioni:/inizia a torcersi per i dolori,/si sente gli occhi uscire fuori dalle orbite./“Madonna aiutami, uh che sto passando,/nei pantaloni adesso me la sto facendo”./Poi si ricorda che lì vicino/sta il fattore di don Martino:/spinge la porta senza educazione/e con le mani si tiene la pancia./“Gesù, Maria! Papa, che è stato?”./“Presto, figliole, datemi un vaso,/ sto scoppiando per San Tommaso”./“Sbrigati Carmela, fallo passare/sennò il papa mo ce la lascia”./Dopo mezz’ora che è stato dentro/papa Luigi ha trovato refrigerio./“Grazie, figliole, per il gran piacere”./“Che dici, papa, è un dovere!”./Poi un’altra volta comincia a trottare/perché più presto possa arrivare/e va dicendo:”Non c’è nulla da fare,/un rimprovero mi devo buscare”./Trova in fatti il sagrestano/con gli occhi storti e la scopa in mano./“E bravo il papa!: è già giorno/o sei caduto dal letto?/È colpa mia se ti lamenti/che il vassoio delle offerte non raccoglie niente?/Così succede quando tu manchi:/oggi la messa dilla da solo!”)
Chiudo spudoratamente le testimonianze in vernacolo invitando il lettore che ne abbia voglia a leggere sul tema una mia composizione in dialetto neretino, Lu lampasciòne, in
https://www.fondazioneterradotranto.it/2010/05/24/lu-lampascione/
Sempre per quanto riguarda la poesia la diffusione della voce nella lingua nazionale è un fatto ormai consolidato. Riporto un esempio tratto da La notte nel giorno di Antonio Devicienti33, comparsa nella rivista virtuale Zibaldoni e altre meraviglie, 2008:
…Rotte unghie sporche di sale/bocca amara di lampascioni/tatuata pelle di pittura/scalzi piedi di marinaio…
prima parte: https://www.fondazioneterradotranto.it/2011/03/05/il-lampascione-in-quattro-puntate-1-4/
seconda parte: https://www.fondazioneterradotranto.it/2011/03/10/il-lampascione-in-quattro-puntate-2/
quarta parte: https://www.fondazioneterradotranto.it/2011/03/22/il-lampascione-in-quattro-puntate-4/
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14 E’ uno dei più importanti gruppi folk del Salento, promotore anche di iniziative editoriali. Si vanta, secondo me a ragione, di non avere mai partecipato alla Notte della taranta che considera, a causa delle contaminazioni subite, come uno svilimento della nostra tradizione e come una operazione di marketing schiava della invadente globalizzazione.
15 Il gruppo, nato a Spongano nel 1995, ha partecipato al Carnevale di Venezia del 1997. Discografia: oltre all’album citato, Cunti, canti e soni (1997), Mamma la luna (1999).
16 Di Nocera Inferiore (SA), è un virtuoso di chitarra acustica.
17 Autore di quattro provocatorie mostre sul tema Il cibo come arte, l’arte come cibo; curatore della rubrica A me mi piace dell’inserto domenicale de Il sole 24 ore dal 1983, ha scritto, tra gli altri, I luoghi del gusto (Baldini & Castoldi), Guida agli itinerari dei Formaggi d’Italia e Cibovagando (Il sole 24 ore), La garzantina dei prodotti tipici d’Italia (Garzanti).
18 Di Montescaglioso (MT), vive a Roma e insegna composizione nel Conservatorio Cherubini diFirenze. Oltre a Serenata per la cucina italiana ha inciso per l’etichetta Fabbrica della Pace Nobile i cd Sono Vita senza confini, canti del Buddha e, nel gennaio 2008, Il canto dei sassi, cartoline sinfoniche da Matera.
19 Nato a Laterza (TA) nel 1968; diplomatosi in clarinetto giovanissimo e con il massimo dei voti, ha conseguito presso la Scuola musicale di Fiesole la qualifica di Professore d’orchestra con il massimo dei voti e la menzione d’onore. Ha fatto parte di numerose orchestre tra cui quella sinfonica della Rai di Torino e si è esibito nei teatri di tutto il mondo. Tra le sue incisioni, per restare in tema, La cuisine fantasque, elaborazione di brani pianistici rossiniani eseguiti dall’orchestra da camera Mediterraneo, che continua, così, l’esperienza del Complesso cameristico Lucano.
20 Nato a Collemeto di Galatina (Le), vive e lavora a Civita Castellana (Vt), dove dirige la biblioteca comunale; appassionato di musica popolare, è anche autore di racconti e poesie: Ci sono notti che io (Congedo, Galatina, 1994), Cantavamo Contessa (Manni, Lecce, 1998), Lu Nanni Orcu e altri racconti salentini (Besa, Lecce, 2000, 2001), Amneris, che morì di poesia (Besa, Lecce, 2007). Spigolature salentine si onora di averlo tra i suoi spigola(u)tori.
21 Autore anche di Stella e la Mezzaluna e Eutanasia.
22 Su sprùscinu e zangòne vedi Li fògghie mbiscàte in concerto in
23 Variante del neretino agnòne; attraverso le varianti brindisine guagnòne e wagnòne e il napoletano guagliòne si risale al napoletano guagnì=piagnucolare, di origine onomatopeica. Meno probabile che sia un accrescitivo del latino agnus=agnello, dal momento che agnello in neritino è àunu e, perciò, mi sarei aspettato aunòne.
24 Poeta, attore e commediografo di Grottaglie (TA), è presidente del locale Piccolo Teatro.
25 Nato nel 1952, oltre che autore e doppiatore è anche attore cinematografico [ha interpretato la parte dello zio Mimmo ne L’ultimo bacio di Gabriele Muccino (2001), quella del padre ne Il branco di Franco Risi ( 1994)] e televisivo: La piovra 4 (1989), Il maresciallo Rocca (1996).
26 Fondati nel 1985, dal 2000 si sono insediati in una ex fabbrica di mattoni, uno spazio di 3000 mq. completamente ristrutturato, dotato di un teatro per 230 spettatori, sala prove, magazzino costumi, laboratorio scenotecnico, sala laboratorio, foyer per mostre, convegni e attività multimediali, videoteca e biblioteca, mensa e servizi, uffici e foresteria. Il progetto, pienamente realizzato, era quello di costruire nell’odiato/amato Sud una “residenza del teatro e della cultura” aperta alle innovazioni e al confronto fra le diverse generazioni, un caleidoscopio di arti, generi e pratiche diverse per sperimentare nuove direzioni, linguaggi e poetiche.
27 La manifestazione, nata nel 1998, è il più grande festival musicale dedicato al recupero della pizzica salentina e alla sua fusione con altri linguaggi musicali, che vanno dalla world music al rock, dal jazz alla musica sinfonica. La pizzica è la musica che scandiva l’antico rituale di cura dal morso immaginario della tarantola; la tradizione vuole che, per liberare la vittima, di solito una donna, si suonassero senza posa i tamburelli a ritmo vorticoso finchè non veniva sciolta dall’incantesimo. Al suono dei tamburelli si univa un ballo ossessivo e ripetitivo che contribuiva a smaltire gli effetti del veleno. Il fenomeno del tarantolismo o tarantismo (manifestazione di natura isterica popolarmente attribuita al morso della tarantola) detto pure ballo di San Vito o corea, è stato oggetto di studi approfonditi da parte dell’antropologo Ernesto De Martino (1908-1965) nel suo La terra del rimorso, Il Saggiatore, Milano, 1961. Da neretino debbo ricordare che il libro dell’insigne studioso era corredato di un vinile con la registrazione di alcune pizziche tarantate create ed eseguite da Luigi Stifani, barbiere, violinista e terapeuta neretino di tarantate. Alcune sono confluite, con altre inedite, nel suo diario Io al santo ci credo pubblicato dalle Edizioni Aramirè, Lecce, 2000, poco prima della sua morte, in collaborazione con l’Istituto Ernesto De Martino di Sesto Fiorentino. Nel 2003 è uscito presso l’Editrice Besa di Nardò Luigi Stifani e la pizzica tarantata di Ruggiero Inchingolo e nel 2007 il centro studi Il giardino dei suoni ne ha pubblicato il cd di supporto corredato di libretto. Per me è una coincidenza, ma mi pare corretto ricordare che Luigi Stifani si è spento il 28 giugno del 2000 e che i tarantati venivano portati all’alba del 29 giugno nella cappellina di San Paolo a Galatina, dove ogni anno i guariti tornavano per ringraziare il santo.
28 Sulla scapèce vedi La scapèce e una, forse indebita illazione toponomastica in
29 Vedi Gnorumàru, Negro amaro, Negramaro in
https://www.fondazioneterradotranto.it/2010/06/10/gnorumaru-negro-amaro-negramaro/
30 Lo spettacolo, dopo repliche di successo in Italia e all’estero, è approdato nel 2006 al BIT (Borsa internazionale del turismo) di Milano.
31 Film commedia del 1983 diretto da Pasquale Festa Campanile e basato sulla vita dell’artista francese Joseph Pujol soprannominato agli inizi del ‘900 Il Paganini del peto perché attraverso l’aria che fuoriusciva dal retto era in grado di suonare qualsiasi melodia, imitare qualunque rumore e riprodurre marce, ballate e qualsiasi tipo di musica. Panettiere prima di darsi al cabaret, insieme con i suoi quattro figli formò una particolare banda che si esibiva ogni sera in un teatro di Parigi con grandissimo successo. Processato per oltraggio al comune senso del pudore ed assolto, riprese con successo amplificato la sua attività artistica, diventò proprietario di un teatro e venne invitato ad esibirsi pure all’Eliseo. Non è rimasto al riguardo nessun documento, ma è lecito chiedersi: al di là della sua indubbia capacità di modularne l’uscita: con cosa Joseph Pujol produceva tanta aria?
32 In Puesei a lingua leccese de lu Franciscantoni D’Amelio de Lecce, Da la Stamparia de la Ntendenza, Lecce, 1832
33 Poeta di Gallarate: con la poesia Dormiva il sapiente Chirone, pubblicata nella raccolta Antologia Verba agrestia IV edizione, Edizioni Lietocolle, 2006, si è classificato al secondo posto della rassegna Verba agrestia.