ARCHEOLOGIA DELLA DEVOZIONE POPOLARE SALENTINA
di Riccardo Viganò
Il rapporto tra archeologia o ricerca storica e devozione popolare è un tema di grande complessità ed ampiezza; una storia che si può “leggere” attraverso il rinvenimento e soprattutto lo studio di alcuni reperti con connotati di senso religioso, come “li spiragghie” o medagliette devozionali, o anche i santini, che rappresentano una testimonianza della quotidianità del culto. Tali tracce si possono rinvenire, quasi con quotidiana frequenza, nelle nostre campagne, negli scavi edili o nelle vicinanze di complessi cimiteriali civili ed ecclesiastici, sia post-medioevali che moderni; tracce che forniscono l’opportunità di studiare in modo sistematico le devozioni, i pellegrinaggi o le credenze di una comunità.
Le medagliette devozionali ebbero una larga diffusione in Italia ed in Europa solo dopo il Concilio di Trento, che si chiuse nel 1563, e nel Salento arrivarono un po’ più tardi. Erano prevalentemente utilizzate come parti terminali dei rosari, ai quali erano appese grazie ad un applicagnolo e ad un filo metallico ritorto. In altri casi venivano appese direttamente al collo o comunque a contatto della persona, per il loro valore sacro e per le devozioni specifiche raffigurate. Molto spesso il legame personale con il santo doveva essere così forte da determinare la sepoltura del defunto con l’immagine del santo maggiormente venerato in vita. Questo tipo di utilizzo è attestato fin dai tempi più antichi ed è documentato dall’usura. Le medagliette rappresentano inoltre un importante indicatore cronologico per il periodo post medievale, in quanto alcune raffigurazioni di santi consentono una datazione del manufatto. E’ il caso di alcune medagliette raffiguranti S. Ignazio di Loyola, S. Francesco Saverio e S. Filippo Neri, canonizzati nel 1622, S. Rocco, San Sebastiano e S. Carlo Borromeo, canonizzato nel 1610, invocati contro la peste.
Il ritrovamento di medaglie in bronzo o rame, soprattutto quella di S Ignazio di Loyola ( fondatore della compagnia di Gesù) , quasi tutte di conio romano, è inoltre indice di una qualche influenza sul culto locale da parte dei gesuiti nei secoli XVII e XVIII.
Altre medagliette rinvenute in territorio salentino palesano avvenuti pellegrinaggi, come è un ovale di Pio V raffigurante “l’ausculum pedem”, il bacio del piede, ricordo di un pellegrinaggio a Roma; oppure un piccolo ovale in argento, parte terminale di un rosario, raffigurante un chiodo della crocifissione con la scritta “sacro chiodo”, che rappresenterebbe un altro pellegrinaggio nella capitale della fede.
Indubbiamente tali ritrovamenti nei vari contesti salentini sono indicativi delle direzioni dei pellegrinaggi, spesso verso nord, Roma o il Gargano, ma anche verso est, Otranto in particolare (una medaglietta del bicentenario del martirio, con data 1680), ma anche verso sud, al santuario di S. Maria di Leuca. Queste ultime due medaglie vennero rinvenute all’interno di muretti a secco di Tabelle, nei pressi di Galatone (Lecce), centro con una intensa viabilità medioevale.
La presenza di pellegrini non pugliesi, diretti o di ritorno dai maggiori centri di culto, non è un ipotesi del tutto peregrina, come si può dedurre ad esempio da alcuni documenti, da cui si ricava che che il pio ospedale Santa Maria della Misericordia di Galatone dovette dare soccorso al polacco Symeon Lesmisky, che qui morì improvvisamente il 13 dicembre 1668, e, un secolo dopo, alla toscana Maria Sassella, morta nello stesso “ospitale”, il 16 maggio 1775.
Naturalmente le medagliette avevano anche valore bene augurale e apotropaico nella cultura e nella credenza popolare e venivano inserite tra le pietre di costruzione di case, “furnieddhi” o “pagghiari”, o tra le murature di pozzi in falda o “trozze”, quasi ad allontanare la malasorte dagli operai addetti all’escavazione di essi.
Naturalmente non bisogna tralasciare anche l’utilizzo, in un periodo più vicino a noi, dei santini, anch’esso beneaugurante, nelle varie attività produttive, come S. Vito nelle stalle o, caso più eclatante, S. Antonio abate protettore dei ceramisti, al quale santino veniva affidata la “conduzione” e la protezione della fornace e delle ceramiche in essa contenute. L’immagine o le immagini sacre venivano applicate all’ingresso della fornace stipata del materiale da cuocere, dopo averla richiusa con mattoni e sigillata con l’argilla. Il santino, una volta acceso il fuoco nel forno, assumeva anche la funzione di indicatore della raggiunta temperatura di cottura , poiché alla giusta temperatura prendeva fuoco, e con il fumo prodotto assumeva quella forma apotropaica di scongiuro voluta dal fornaciaio, risoluta da un Ave Maria. L’eventuale malriuscita della cottura poteva inficiare non solo l’intera produzione annuale, portando una perdita economica, ma spesso il fallimento del ceramista stesso e dell’intera famiglia, dato l’alto tasso debitorio degli stessi verso i fornitori.
Come si vede il ritrovamento controllato e studiato può portare all’interpretazione prospettica del sentimento religioso e delle specifiche devozioni della comunità salentina in periodo storico molto vicino a noi ma al tempo stesso a noi sconosciuto.
Bibliografia essenziale:
Giulietta Livraghi Verdesca Zain, Tre santi e una campagna
Viganò R, Archeologia della devozione, in “Il giornale di Galatone”, 2001
Zacchino V, Galatone antica medievale e moderna, Galatina 1990.
Una ventina di anni fa, dopo la morte di mio suocero (persona molto devota e religiosa) nel mettere a posto la sua casa e nel sistemare e riordinare le sue vecchie vettovaglie, in un dimenticato cantuccio trovammo un vecchio sacchettino di stoffa che all’apparenza sembrava contenesse delle monete, all’apertura, con nostra sopresa, trovammo una cinquantina di vecchie medagliette, quasi tutte del 1800, medagliette raffiguranti santi, madonne e pontefici. Per conservare il ricordo sono state divise dai suoi tri filglii ed a noi ne sono rimaste una ventina (alcune delle quali le abbiamo regalate). Se tali medaglie potessero servire per qualche mostra storica o altri eventi divulgativi, saremmo ben lieti di poterle prestare
La ringrazio vivamente per il suo interesse..
Riporto qui alcuni miei commenti di una lunga discussione a proposito di questo articolo svoltasi in Facebook (ecco il link), con interpretazioni e pareri contrastanti: https://www.facebook.com/mitilo.salentino/posts/411371095670516
“Fin dal Paleolitico, l’uomo comparso sulla terra esprimeva il suo rapporto con il sacro attraverso forme di inumazione e ritualità ad essa connesse, che denotano l’esigenza di credere ad una vita nell’aldilà. Le pitture rupestri del Paleolitico superiore dimostrano l’ingresso del “sacro” nella vita dell’umanità e quindi l’inizio dell’homo religiosus. Durante il periodo Neolitico (4000-3000 a.C.) si iniziano ad innalzare dei monumenti megalitici come il tempio circolare di Stonehenge, i menhir, i cromlech (molto comuni nel Salento) e cominciano a prendere forma i miti religiosi e l’adorazione delle divinità della natura, soprattutto la Dea Madre… Le iscrizioni rupestri in Val Camonica evidenziano come l’uomo del Neolitico si rappresenti con le braccia levate al cielo, per poi passare alla formazione di statue-stele di divinità, alle rappresentazioni di danze sacre, ai culti solari. E continuare dissertando qui sull’evoluzione delle varie religioni nei tempi sarebbe improprio….Il bisogno di spiritualità e religiosità dell’UOMO è avulso dalle rappresentazioni dell’immagine che egli si è fatto della divinità. Essa è semplicemente l’espressione della forte necessità degli umani, nel loro lungo cammino verso la civilizzazione, di ricercare il soprannaturale per poter darsi una spiegazione del perché della propria esistenza su questa Terra.”
“Non è questione di condividere o meno un credo o credenze religiose, o propendere per il credere o non credere, oppure giudicare se sia giusto o no proiettare la propria religiosità su immagini o manufatti. Si tratta di studiare, attraverso “reperti”, l’evoluzione del pensiero, le pratiche di culto e le modificazioni che si sono succedute nel corso della storia. Come i menhir, le Veneri, i disegni nelle caverne, le statuette votive, i rinvenimenti nelle tombe, le tombe stesse delle antiche civiltà, l’organizzazione dei luoghi di culto….(c’è una letteratura vastissima in questo campo, supportata da secoli e secoli di ricerche, fin dagli albori della comparsa dell’Homo sulla Terra) così questa documentazione aiuta a ricostruire alcune delle pratiche di devozione del Salento, (e anche altrove) in un arco temporale definito da date precise. Il titolo, peraltro, parla da sé: “Archeologia della devozione popolare salentina” e il termine “archeologia” non viene certo usato a caso: è la scienza che studia le civiltà e le culture umane del passato e le loro relazioni con l’ambiente circostante, mediante la raccolta, la documentazione e l’analisi delle tracce materiali che hanno lasciato. L’articolo contenuto, se letto bene, è un trattato scientifico di un aspetto ben connotato, in un definito periodo storico, che si serve della metodologia della ricerca che, come tale, non può prescindere dall’interpretare le fonti e verificare ipotesi attraverso di esse. L’obiettivo non è convincere se credere o meno, o fare propaganda religiosa oppure porsi il problema se sia iconoclastia o feticismo. Semplicemente lo scrittore, a cui vanno i miei apprezzamenti per l’originalità dell’argomento trattato, prende atto di un’usanza popolare comune in quei tempi e cerca di spiegarne le motivazioni con dati certi. Quando ho ristrutturato la mia casa salentina, nel togliere l’intonaco dalla pietra delle volte, in una di quelle centrali abbiamo trovato una croce. Non ho certo scambiato quella incisione per un “feticcio” né mi sono posta problemi di natura religiosa ma ho interpretato quel segno come un’usanza del luogo. E quella croce è ancora lì e, per quanto mi riguarda, vi resterà, credente o non credente…”
Il post mi era sfuggito ma il commento della signora Maracchini mi ha dolcemente costretto a leggerlo. Al di là di tutte le “interpretazioni e i pareri contrastanti” esibiti sul palco facebookiano, al di là del livello, raggiunto o no dal post, di “trattato scientifico di un aspetto ben connotato” gradirei solo sapere dalla gentile commentatrice (che in pratica, dopo averlo “letto bene”, l’ha recensito) o, meglio ancora, dall’autore, in che lingua è scritta la locuzione “ausculum pedem” …
Egregio Sig. Polito cosa le debbo dire,trattaSi semplicemente di un refuso, sfuggito a letture veloci, svoltesi sia da scrittore che dall’editore. Ma vista la sua ripetuta antipatia verso i miei scritti, chiedo formalmente la cancellazione dei miei articoli ri-pubblicati in questo sito, diventato un soliloquio, ma scritti per un altro non più esistente, prima di agire per vie legali.
Distinti e più che cordiali saluti.
L’autore.
Viganò Riccardo.
se la sua è una richiesta di eliminare i post dal sito non ha che da chiederlo, senza bisogno di ricorrere ai legali. Attendo una sua comunicazione in merito e sarà fatto nel più breve tempo possibile. Riguardo al “soliloquio” non vorrà determinare le scelte editoriali, di cui mi assumo ogni responsabilità riguardo la scelta degli articoli. Basta non leggere.
Non comprendo i motivi di tanto livore, ma rispetto le sue idee. Marcello Gaballo
Egregio signor Viganò, ecco, senza punto interrogativo sottinteso, “cosa le debbo dire”:
1) quella del “refuso” è una scusa infantile e, comunque, sono di per sé poco affidabili “scrittori” ed “editori” avvezzi a letture “veloci”.
2) non so da che cosa abbia dedotto la mia “ripetuta antipatia” verso i suoi scritti; per me, oltretutto, esistono solo scritti validi e non validi, le categorie della simpatia e dell’antipatia non sono contemplate nel mio codice critico.
3) credo che dovrebbe andare a controllare su un qualsiasi vocabolario il significato della parola “soliloquio”, a meno che non voglia riferirsi con questa alla pubblicazione quasi giornaliera (se la prenda con i responsabili del sito) dei miei contributi ai quali non sono mancati, non mancano e, ne sono più che sicuro, non mancheranno commenti qualificati, non di stampo facebookiano, tanto per esser chiaro; ma, non sarà, per caso, invidia?
4) spero per lei che la minaccia di adire le vie legali si riferisca solo alla ripubblicazione che, a quanto fa capire, sarebbe avvenuta senza il suo assenso; perché, se dovesse riferirsi a quanto da me osservato sul suo lavoro (a proposito, che fine ha fatto la signora che ha fatto scoppiare l’incendio?), le cui schermate ho già messo da parte (strano, no?, che a conservare le prove del presunto reato sia la parte che avrebbe offeso e non quella che l’offesa avrebbe subito), ci sarebbe veramente da divertirsi, in tribunale e fuori.
Armando Polito (e non Polito Armando …)
Sig.Polito Armando cosa le debbo dire, la risposta se la data da se. Ividia? per carità non mi tange, d’altrone sono un “inaffidabile” umile analfabeta al suo confronto. per quanto riguarda il punto 4, si tranquillizzi mio caro Signore, mi riferivo alla ri-pubblicazione.
Dottor Gaballo agisca di conseguenza. Grazie.
fatto. Resta solo questo articolo, che sarà cancellato tra qualche giorno
Grazie.