di Armando Polito
Chi sia il personaggio (se non è riuscito a diventare, a livello locale, un cult, certamente è stato un must) nominato nel titolo credo sia superfluo dirlo, anche se della sua esistenza ho appreso qualche tempo fa grazie ai miei nipoti assidui frequentatori di Youtube. Basterà, perciò, che il curioso o chi ha voglia di approfondire digiti la stringa appropriata dopo essere entrato nel sito appena nominato.
Il mio interesse, come al solito, è prevalentemente filologico ed è tutto riservato a spulisciàtu (participio passato di spulisciàre), l’improperio di Rosina più pulito e, per fortuna, il più frequente, quasi un intercalare, rivolto all’indirizzo dei suoi disturbatori telefonici.
Il Rohlfs collega spulisciàre alla voce del Brindisino spuscinà, da lui evidentemente considerata variante, senza fornire né per l’una né per l’altra alcuna proposta etimologica. Secondo me spuscinà è da s– (dal latino ex=fuori) intensiva e dal latino puscìnus=1purulento, da pus/puris=marciume, dal greco pur/puròs=fuoco, a sua volta connesso con pùos o pùon=pus; spulisciàre resterebbe connesso con spuscinà, ma deriverebbe da un latino *expuritiàre (composto dal classico ex=fuori e *puritiàre, dal classico pùritas=purulenza, dal citato latino pus (passato tal quale in italiano), a sua volta dal greco, pure citato, pur/puròs, con aferesi di e-, passaggio x->s-, –r->-l– e –ti->-sci-.
Pus, infine, mi consente di fornire l’esempio più concreto del destino che più di una volta i vocaboli, meglio le loro radici, hanno: essere ambigui o passare dalle stelle alle stalle o viceversa. In pus/puris va anzitutto notato il fenomeno del rotacismo per cui la s del nominativo è diventata r nel genitivo e negli altri casi; e proprio questo fenomeno ha segnato il destino del vocabolo e dei suoi discendenti: pira=pira e purus=puro. Se nel primo il concetto originario di fuoco insito in pus/puris (basta pensare al componente principale del sinonimo infiammazione) si mantiene prevalente ma comincia ad assumere, tenendo presente la funzione della pira, un carattere sacrale e di purificazione, nel secondo è proprio quello di quest’ultima a prevalere. Ed è per questo che da sempre il fuoco, letterale o metaforico, è simbolo nello stesso tempo di gioia o dolore (basta pensare all’amore corrisposto o no), strumento di morte e distruzione o per favorire il perpetuarsi della vita (basta pensare per il passato, senza scomodare i vulcani, da un lato al suo uso bellico, dall’altro al cauterio e alla pratica dell’incendio volontario e programmato del bosco; per il presente solo agli incendi per favorire la speculazione edilizia e agli inceneritori: bel progresso!).
Ma tutto questo Rosina non lo sa…
1 Attestato nel frammento 122 di una commedia di Novio (I° secolo a. C.).
l’interessante disquisizione non mi sembra però potersi applicare all’utilizzo del termine dialettale in altre occasioni. Se la pasta o il riso “spulescia” vuol dire che è andato ben oltre il tempo necessario per la cottura, quindi è stracotto. Come si giustificherebbe allora l’etimologia che ci offri? Non mi permetto di contestare alcunchè (non ne sarei in grado) ma non potremmo anche pensare ad un originario “scapulisciare” e quindi da un “ex-capula”? solo un sospetto, che so bene smentirai subito!
Il cereale “spulisciatu” è uscito fuori dalla normale conformazione, sebbene cotto, ha perduto l’aspetto che gli è proprio. Fosse solo scotto si direbbe “scuettu”. Quindi “lu spulisciatu” di Rosa non sarebbe altro che il giovinastro che ha perso ogni buona norma, divenendo moralmente irriconoscibile. Avrò fantasticato, caro Armando, ma volevo togliermi questo dubbio, approfittando della tua infinita pazienza di maestro e correttore
sorprendente la derivazione da pus … io ho sempre pensato che derivasse da spulciare, ovvero privare delle pulci e quindi disunire e frammentare come si faceva dei vecchi materassi o “saccuni” quando si “spulciavano” o si “spulisciavanu” ma questa lettura è indubbiamente stimolante.
Un saluto
Dimenticavo anche la separazione del grano dalla pula potrebbe essere interessante investigare…
Grande pezzo, ma una spanna più grande resta la mitica Rosina :)
spulisciatu è usato solo come aggettivo e participio, mai come sostantivo. da noi ha significato di putrido, marcio, scotto, disfatto, fracido, riferito a qualunque cosa. possono spulisciare le piantine nei semensai, sono spulisciati i meloni nel campo.
sopravvive in una delle offese più forti che si possa fare ad una persona: i morti toi ‘…..’ , dove non solo si offendono le persone care defunte ma anche lo stato di disfacimento delle spoglie.
@pino de luca
forse intendi spatulisciare (sbattere) oppure spulicare (scoprire)
Rispondo cumulativamente solo ora a causa di una protratta avaria del pc. Il senso di stracotto, rammollito, al limite putrefatto, si concilia perfettamente con quello dell’infiammazione. Quanto a scapulisciare mi appare strano non tanto che questa forma intensiva di scapulare (terminare il lavoro, liberare le bestie dal lavoro) abbia assunto un significato traslato ma che la sincope di -ca- (che, stranamente, lascia sopravvivere la s- estrattiva ma non la prima sillaba del secondo componente (càpulum) sia stata assunta a segno della traslazione semantica rispetto a scapulare. Dubito pure che le pulci possano recitare un ruolo di protagoniste e non solo perchè la pulce a Nardò, dove essa è pòlice, avrebbe dovuto dare spoliciàre/spuliciàre. Quanto alla pula, ad essa avevo pensato in prima battuta ma, a parte il fatto che togliendo la pula non è che il grano diventa molle (anzi, se la si lascia, il chicco tende ad inumidirsi, ammuffire e, al limite, imputridire), appare strano che il dialetto abbia utilizzato un vocabolo italiano rinunziando a quello locale (fiòsca, da un latino *fùscula, diminutivo del greco fuska=vescica). E a questo punto al “maestro e correttore” non rimane altro che affermare che la lingua è così strana e capricciosa che nessuna delle etimologie proposte è da respingere a priori e tutte meritano, forse, un’ulteriore riflessione. Le perplessità da me espresse nascono solo dalla mancanza di fenomeni analogici a conferma; ma forse sono io ad ignorarne l’esistenza. E per questo dico a tutti grazie.
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