Ciò che fa bene e ciò che fa male. Ad ogni modo, oggi, fortuna e sfortuna non hanno un posto fisso
di Rocco Boccadamo
Nonno G., notando a tavola che le figlie maritate tenevano gli occhi aperti affinché i bambini piccoli non assumessero taluni cibi o sostanze che, a loro avviso, potevano essere inadatti se non dannosi, era solito pronunciare la seguente frase, tanto lapidaria, quanto saggia e rassicurante: “Solo le pietre fanno male”.
Egli, in fondo, aveva ragione da vendere, ove si pensi che, a quell’epoca, più o meno la metà del ventesimo secolo e, quindi, con il cosiddetto boom economico e la modernità ancora lontani, l’alimentazione, fra cibi e bevande, in seno alle comunità contadine del Salento, era basata essenzialmente su: friselle di grano o di grano e orzo, legumi, patate, cavoli, cicorie, rape, zucchine, peperoni, melanzane, verdure spontanee di campagna, pomodori, insalata, pasta fatta in casa, latte per le creature e gli anziani di salute cagionevole, più, ogni tanto e in porzioni risicate, ricotta, formaggio, maiale taglio unico, gallina vecchia, coniglio. Per condimento, olio d’oliva, infine, per dissetarsi, acqua piovana raccolta nella cisterna domestica e qualche bicchiere di vino di palmento.
Com’è deducibile, nulla d’artificiale e/o manipolato, la chimica, la plastica e i detersivi, erano illustri sconosciuti; insomma, il vecchio nonno era sostanzialmente nel giusto a parlare a modo suo.
E oggi, che cosa succede? Purtroppo, si è ovunque circondati, assediati e insidiati da prodotti, sostanze, leccornie, intingoli, dolci, specialità, mirabilia, offerte e proposte, abitudini e mode, affatto, neanche per una briciola, salutari, talora, anzi, inopportuni e sventurati, che hanno letteralmente stravolto molti dei sani e tradizionali costumi e ridotto al lastrico gli equilibri esistenziali, nel senso del buon vivere.
Non occorre fatica per rendersi conto e prendere direttamente tatto della palude, delle sabbie mobili intorno a cui ci si muove e dove, spesso, si finisce con l’affondare e annullarsi.
Giusto d’oggi, 20 febbraio, l’ennesima chicca sul tema di siffatta realtà: allo stadio “Via del Mare” della città dello scrivente, si è giocato l’incontro calcistico “Lecce – Juventus”, ma, si pensi un po’, con fischio d’inizio alle 12.30.
In barba al titolo “innocente” del giornale “Aperitivo con la Juve”, è venuto spontaneo di riflettere sullo scombussolamento d’agenda per venti e più migliaia di spettatori, sul salto del rituale pasto della domenica a tavola con familiari, parenti e amici, pasto surrogato nella fattispecie, nella migliore delle ipotesi, da panini, snack, intingoli vari.
Ma, perché lo strano inizio della partita alla mezza? La risposta, purtroppo, è una sola: i potentissimi condottieri mercenari, diretti e indiretti, della réclame procedono implacabilmente alla stregua di bulldozer, senza guardare in faccia a niente e a nessuno, il loro obiettivo è di diffondere e tendere notte e giorno, ventiquattro ore su ventiquattro, in mezzo alla suggestione popolare, i tentacoli del richiamo, forza e variabile miranti a stimolare senza mezzi termini, né soverchio discernimento, i consumi, in pratica arrivando idealmente a mettere le mani nelle tasche, rovistandovi sino a quando i già poveri portafogli non saranno svuotati del tutto.
Un brutto, davvero brutto, intento, cui, altra negatività, corrisponde, in prevalenza, non già resistenza o rifiuto, bensì abboccamento e assuefazione.
Riandando un attimo alle belle e sane stagioni passate, nonno C., l’altro progenitore del ramo paterno, richiamava spesso l’attenzione e suscitava la curiosità dei nipotini con questo scioglilingua: “Caddhina zupputa, furtuna non n’ha” (italianizzando, “Una gallina zoppicante, non potrà aver fortuna”).
Il trucco insito in tale frase astrusa, specie se declamata rapidamente, consisteva nella confusione, talvolta, dell’aggettivo “zupputa” con l’aggettivo “futtuta”, dal significato, secondo vocabolario, di “non più illibata”.
In rapporto all’oggettiva morale del tempo, anche quest’ultima constatazione consequenziale, doveva considerarsi azzeccata e aderente rispetto alla realtà. Infatti, di solito, la naturale e tradizionale fortuna per le donne (non per le galline) consisteva nel trovare marito, sennonché, il presupposto e la condizione per arrivare, di quei tempi, al matrimonio, erano dati, giustappunto, dalla castità.
In fondo, esattamente, o quasi, si fa per dire, come succede oggi…
A quest’ultimo riguardo, rinvangando l’antico scioglilingua di nonno C., nulla di male c’è da adombrare nell’evoluzione dei costumi, giacché la fortuna o la sfortuna sono, sì, elementi del vivere, e però, vivaddio, non propriamente decisivi, a pro o contro gli umani destini.
Questa volta spero di non fare macelli nell’inserire il commento :D
L’intento oggi dovrebbe essere riuscire a trovare la strada per andare avanti ritrovando la genuinità di un tempo, quel tempo in cui solo le pietre facevano male…