di Armando Polito
Non intendo fare concorrenza con l’aggiunta di una semplice s intensiva al motto che contraddistingue e compendia le promesse elettorali di Cetto La Qualunque; nè tantomeno fare il facile moralista dicendo chi è senza tangente posi la prima pietra.
Sfrutterò, invece, proprio il proverbio evangelico originale per ricordare quante volte siamo stati presi dalla voglia irrefrenabile di qualcosa, per lo più attinente al campo alimentare, e come questa voglia sia diventata direttamente proporzionale alla difficoltà di soddisfarla. Ho l’impressione, addirittura, che spesso viga su questa terra una sorta di legge del contrappasso, dal momento che, per esempio, spesso un diabetico è ghiotto di dolci e un delicato di stomaco è un patito della frittura.
Tutto questo il nostro dialetto lo esprime con la voce spilu e, siccome l’appetito vien mangiando, oggi mi ha preso proprio la voglia di approfondirne l’etimo. Questa voce fa parte della schiera nutrita di quelle che sono in attesa da qualche decennio di un approfondimento da parte mia, che sono, poi, quelle per le quali il Rohlfs non avanza proposta etimologica o ne avanza una che mi convince solo parzialmente o non mi convince affatto.
Nel nostro caso addirittura è lui stesso con il punto interrogativo finale ad esprimere perplessità. Al lemma spilu, infatti, rinvia a sfilu, spiùlu; andando a spiùlu si è rinviati da capo a sfilu, spilu; a sfilu, finalmente, leggo: ”confronta il calabrese sfilari=desiderare ardentemente, sfilu=desiderio, identico all’italiano sfilare, sfilo?; vedi spilu”.
Ora se quest’etimo proposto, sia pur in forma dubitativa, è perfetto dal punto di vista fonetico, esso presenta serie difficoltà per chiunque, pur dotato di fantasia, tenti di trovare agganci semantici tra il concetto di impellente desiderio e quelli espressi dalle voce italiana sfilare.
E allora? Io metterei (e il condizionale corrisponde quasi al punto interrogativo del Maestro…) in campo il latino medioevale spìnulum, accusativo di spìnulus, variante del classico spìnula, che è diminutivo di spina. L’idea del desiderio assillante è molto simile a quello di una spina che punge: l’istinto stesso suggerisce di eliminarla estraendola, tant’è che proprio quest’ultimo concetto è quello del verbo che accompagna la voce nel nesso ogghiu cu mmi lleu (o cu mi cacciu) stu spilu (voglio togliermi o cacciarmi questa voglia). -Sì- dirà qualcuno -con la semantica ci siamo, ma con la fonetica?-
Ecco la trafila: spìnulu(m)>spilu(m) in seguito a sincope della sillaba atona, fenomeno presente già, per esempio, nell’italiano dire rispetto al latino dìcere e frequentissimo nel nostro dialetto (antu da ambito, etc, etc.).
Concludendo: se qualcuno in campagna elettorale se ne esce con l’espressione del titolo, ricordatevi di questa proposta etimologica e sappiate regolarvi di conseguenza, perché la spina evocata metaforicamente come desiderio del quale liberarsi soddisfacendolo potrebbe recuperare, ad elezione avvenuta dell’abile suo utente, quello letterale di tormento destinato a restare tale.
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