I “SOFFI” DI LILLINO CASTO
di Paolo Vincenti
Sono solo Soffi queste poesie di Lillino Casto, “frammenti che non vogliono dire ma suggerire”, come spiega Gino Pisanò, nella Prefazione del libro. L’autore è molto noto nella sua città, soprattutto per i suoi trascorsi politici (è stato Sindaco di Casarano per alcuni anni). In effetti, non di una pubblicazione vera e propria si tratta, essendo questo libro fuori commercio. L’autore ha voluto stampare un limitato numero di copie, a proprie spese, per farne dono a parenti, amici e compagni di una lunga vita di lavoro e impegno politico.
La forma poesia è l’approdo di Casto dopo questa lunga esperienza. Non che alcun condizionamento ideologico faccia ostacolo alla totale onestà di questi versi, attraverso i quali Casto si fa osservatore del mondo, delle sue gioie e dolori, dei suoi guasti, delle sue bellezze; sempre con un approccio leggero, ma intimo e non superficiale, anche quando coglie la realtà nella sua dolorosa drammaticità (Libertà, Nassiriya, Sharm El Sheik).
E poi, l’idea della vita e della morte e l’amore, che è una componente fondamentale della vita di noi tutti, sono le altre tematiche presenti in questa silloge. “Dal ramo/ si stacca/ una foglia/. Incerta/ vacilla,/ lenta /scende, /stanca/ si posa/ sul giaciglio/ dell’oblio/” (La foglia). Oppure, ancora: “Scuro/ il cielo/ greve/ Secchi/ gli alberi/ nudi/ Forte/ il vento/ noioso/ Triste/ l’autunno/ imbronciato/”(Autunno).
Come spiega Gino Pisanò, “Il linguaggio di Casto è naif, naturale, spontaneo, eppure analogicamente modellato sull’incudine dell’officina letteraria del Novecento. Vi si sospetta, in filigrana, la lezione del sillabato di Ungaretti e Cardarelli, ad esempio. Ed essa riposa in quella struttura paratattica della frase nominale (non solo nel verso libero) che espunge completive, subordinate, fino a farsi soffio”. Non c’era titolo più adatto, infatti, per esprimere quella sensazione di leggerezza e di armonia che affiora dalla lettura di questi versi. “Riposare/ come allodola/ recisa/ sull’alido strame/” (Quiete).
Il linguaggio, che si presenta sobrio e asciutto, senza inutili orpelli retorici (eccetto, forse, in un paio di occasioni), non cede al lirismo, eppure quanto è fortemente poetico. Anche l’idea della morte, degli amici perduti, non è cupa ed angosciosa, perché i legami con la vita non si recidono del tutto, ma rimangono intatti nel ricordo e nel pianto di chi è ancora qui. “Una lapide/ e una croce/ testimoniano/ che tu moristi./ Una rosa/ e un pianto/ testimoniano/ che tu vivi./” (All’amico).
Si tratta, quindi, di una manciata di componimenti che non hanno nessuna pretesa; poesia semplice e diretta, lontana da complicati ed arditi giochi linguistici, sicuramente vera, leggera come l’aria, tanto leggera che può “con le ali del tempo/ fuggire lontano/”, come nella poesia a chiusura della raccolta, “lontano, lontano”/ (Bianco cavallo).