7 febbraio. Sant’Egidio, compatrono di Taranto

 
casa natale di S. Egidio (ph Daniela Lucaselli)

 

 

“SAND’EGIDIE, u sande nuéstre”

 Il santo francescano Egidio Maria di San Giuseppe

 

di Daniela Lucaselli

Nacque a Taranto il 16 novembre 1729 da Cataldo Pontillo e Grazia Procaccio, in una piccola e misera casa del borgo medioevale della città. Qualche anno dopo la nascita il bambino fu battezzato con i nomi Francesco, Antonio, Pasquale, santi che diverranno la sua guida spirituale e dai quali attingerà lo spirito religioso. Condividerà la povertà e la penitenza di San Francesco, i miracoli di Sant’ Antonio e il culto a Gesù Sacramento di San Pasquale.

La sua famiglia era composta da modesti artigiani che trasmisero ben presto al giovane il duro mestiere di funaio e felpaiuolo che loro svolgevano abilmente e che garantiva solo un misero tozzo di pane.

Cresceva in età ed anche in fede e fervore cristiano, plasmava di devozione straordinariamente ogni istante e momento della sua giornata. Si distingueva dai compagni per l’umiltà, la modestia, l’amore e l’apertura al prossimo emblema di una  inesauribile carica interiore, resa tale dalla vita spirituale che conduceva. Giovanissimo si iscrisse alla reale arciconfraternita di Maria Santissima del Rosario presso la chiesa di San Domenico Maggiore. A diciotto perse il padre e continuò a lavorare non più come felpaiuolo ma come cordaio. Divenne l’unico sostegno economico della famiglia, il suo guadagno lo ripartiva tra le necessità incombenti della madre e  dei suoi tre fratellini e i poveri.

Nel frattempo la madre si risposava con un barbiere di Grottaglie e lui andò a lavorare nella bottega del cognato della madre. Il patrigno si rese conto subito che Francesco Antonio non era un ragazzo come gli altri e così, sensibile di fronte alla personalità e alla spiritualità del giovane, gli diede la possibilità di realizzare la sua vocazione religiosa. Ma qual’era l’ordine da abbracciare?  Francesco iniziò una novena alla Santa Vergine perchè lo illuminasse e nel settimo giorno gli apparvero in sogno due religiosi, un sacerdote e un laico Alcantarini che lo invitarono nel loro ordine. Il mattino seguente Francesco si recò al convento dei Francescani Alcantarini a Taranto e chiese di parlare con i due frati apparsi in sogno e di cui fornì particolari descrizioni. Invano. Nel convento non esisteva alcuna persona che potesse assomigliare a quelle descritte. Addolorato ma non sconfitto entrò nella chiesa del convento e ai due lati dell’altare maggiore scorse le immagini di San Pietro d’Alcantara e di San Pasquale Baylon. Riconobbe i due religiosi apparsigli in sogno. Il disegno divino era chiaro. Aveva ventiquattro anni. Il 27 febbraio 1754 si presentò al padre guardiano e al padre provinciale e, obbediente alle norme prescritte dalle regole, fu accolto come fratello laico tra  i Frati Minori Alcantarini della provincia di Lecce.

Nel convento di Galatone iniziò la vita francescana e fece l’anno di prova. Il nome Francesco Antonio fu mutato in Frate Egidio della Madre di Dio.

S. Egidio, olio su tela, chiesa dei francescani di Leverano

Al termine del noviziato, il 28 febbraio 1755, nelle mani del ministro provinciale frate Damiano di Gesù e Maria, emise irrevocabilmente la sua professione religiosa in forma solenne e  i tre voti: povertà, obbedienza e castità. Da quel momento si chiamò Frate Egidio Maria di San Giuseppe.

Venne trasferito a Squinzano (Le) dove soggiornò per quattro anni fino ai primi mesi del 1759 con la mansione di cuoco del convento. Dopo di qui si registra una sosta  nel convento di Capurso (Ba) presso il santuario della Madonna del Pozzo. Nel maggio del 1759 fu inviato a Napoli presso il convento di di San Pasquale a Chiaia. Qui i frati gestivano  un piccolo ospizio, quello di S. Pasquale a Chiaia, elevato, durante il Capitolo del 1759, al grado di “Guardianato”. A Napoli il nostro Santo resterà per circa 53 anni, cioè fino al giorno della sua morte, rivestendo gli uffici di cuoco, del lanificio conventuale,  di portinaio.  Secondo le regole degli Alcantarini quest’ultimo compito poteva essere affidato solo al migliore dei fratelli laici, in quanto il comportamento del portinaio determinava il nome del convento e dei frati. Il suo saper fare, il rapportarsi pazientemente con gli altri, l’essere caritatevole sempre più verso i poveri che affluivano quotidianamente e numerosi alla porta del convento, fecero sì che le sue virtù venissero esaltate dallo stesso popolo della città partenopea. Per tutti aveva una parola di conforto, un aiuto.

Le virtù  trasparivano dalle sue parole e dal suo comportamento e i superiori si convinsero che frate Egidio fosse una lucerna,  non poteva rimanere in convento, doveva andare tra la gente povera che egli  amava tanto. Gli affidarono l’incarico di questuante, compito che portò avanti con tenacia e determinatezza per ben cinquant’anni.
Egidio andava sempre in giro, per tutte le strade, vicoli, piazze, e case di Napoli. Lui raccoglieva i dolori, la sofferenza, lo sconforto della gente, più che le elemosine per la sua bisaccia. La sera quando tornava al convento il suo cuore era trafitto da tante pene e così, dopo le preghiere del coro, andava a piangere di notte, ai piedi della sua ‘Madonna del Pozzo’ venerata  in quel convento, implorando una mano celeste per gli ammalati, per le famiglie povere, per gli sventurati.

Galatone, ingresso della chiesa conventuale di S. Maria delle Grazie

Con francescana modestia, umiltà e carità operosa il santo consacrò tutte le sue energie al servizio degli ultimi, dei poveri, degli emarginati, degli sfruttati integrandosi vitalmente nel tessuto del Regno di Napoli che, in quegli anni, per vicende politiche, andava accumulando forti tensioni sociali a causa di un’estrema forma di povertà. Profezie, prodigi, predizioni, guarigioni,  miracoli, moltiplicazioni di cibi, accompagnarono la sua vita e lo resero popolarissimo in Napoli, tanto da essere chiamato dal popolo Consolatore di Napoli,

Era temuto al punto che, durante l’occupazione francese, le Autorità lo temevano per possibili insurrezioni, visto la gran folla che lo seguiva o si adunava al suo passaggio.
Egli era conosciuto alla corte reale, in particolare da re Ferdinando IV di Borbone. Quando il regno finì sotto la dominazione francese e sul trono di Napoli salì Giuseppe Bonaparte, il frate fu convocato a corte dallo stesso re Giuseppe che gli chiese quanto avrebbe regnato su Napoli e il frate gli rispose predicendo la sua caduta che sarebbe avvenuta di lì a poco.
Il suo spirito di impronta chiaramente francescana, la sua vita di carattere essenzialmente contemplativa. Potrebbe essere definito contemplativo nell’azione, in quanto operante nel sociale, ma anche devoto al SS.Sacramento dell’Eucarestia, alla Vergine Madre di Dio, al Redentore, a S.Giuseppe e a San Pasquale Baylon. Egidio portava con sè una preziosa reliquia di San Pasquale Baylon,  tanto da essere chiamato dai napoletani O’ Santariello.

Tanti i miracoli.

Il più noto ma anche quello più caratteristico fu quello della resurrezione della vaccarella. Siamo nel 1799. I frati di S. Pasquale avevano una vitellina chiamata ‘Catarinella’che  girava per le vie di Napoli e da tutti conosciuta, perché portava una targhetta di metallo con il nome di s. Pasquale. Alla sera la vitella si ritirava da sola in convento.
Una sera ciò non accadde e i frati addolorati si rivolsero ad Egidio, il quale la mattina dopo si recò  dal macellaio della popolare zona della Pignasecca e, con dire determinato, gli disse: Prendi la chiave e la lanterna e seguimi nella grotta, Catarinella dove l’hai messa?. Il macellaio senza ribattere obbedì all’ordine e si recò nella grotta, un luogo refrigerato dove si conservava il cibo. La scena fu raccapricciante: la vitella era stata sezionata e scuoiata. Frate Egidio fece distendere dal furfante la pelle dell’animale e vi fece riporre tutti i pezzi, tanto da ricomporlo. Vi tracciò un segno di croce a voce alta disse: In nome di Dio e di s. Pasquale, alzati Catarinella e ….al convento.
Seguì un  muggito: la vitella era viva.

Ma la vita di Egidio volgeva al termine: sofferente di sciatica venne anche affetto da un’asma soffocante e poi da una idropisia di petto. Morì lucidamente il 7 febbraio 1812, primo venerdì del mese alle ore 12 mentre le campane della chiesa francescana invitavano a riflettere sul mistero dell’Incarnazione del Verbo nel seno di Maria, fra la commozione e il rimpianto dell’intera città di Napoli. Il suo corpo venne custodito nella chiesa conventuale di S. Pasquale a Chiaia.
Il processo per la sua beatificazione fu immediato; Pio IX il 24 febbraio 1868 lo dichiarò venerabile, Leone XIII il 5 febbraio 1888 lo dichiarò beato. Il 15 febbraio 1994 Papa Giovanni Paolo II riconobbe come miracolo la guarigione da coriocarcinoma uterino avvenuta nel 1937  della signora Angela Mignogna, e il 2 giugno 1996 lo canonizzò Santo per la Chiesa Universale.

Il culto nella città di Taranto viene curato dai Frati minori del convento di San Pasquale  (nel convento il 16 novembre 2009 è stato inaugurato  un museo che custodisce oggetti appartenuti al santo, ex-voto e testimonianze del processo di canonizzazione), dall’Arciconfraternita del Rosario della quale il Santo era aggregato. Molto diffuso è la devozione anche nel periferico quartiere di Tramontone dove è eretta un parrocchia dagli anni ottanta e dove nel 2001 fu istituita confraternita in onore del santo tarantino. In questa zona il Santo viene festeggiato la seconda domenica di settembre, mentre la festa liturgica viene celebrata il 7 febbraio.

Sant’Egidio viene considerato dai cattolici compatrono di Taranto, protettore dei bambini, dei giovani in cerca di lavoro e delle famiglie provate dalla sofferenza e dalla malattia.

Bibliografia:

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4 Commenti a 7 febbraio. Sant’Egidio, compatrono di Taranto

  1. Daniela come una “scintillante lucerna” si insinua nei meandri del sacro riuscendo magistralmente a gettar luce e a conferire nobiltà a tutto ciò che avvicina con un linguaggio incalzante e coinvolgente che accende di colore e di intensa forza espressiva le sue immagini.

  2. Ti ringrazio, caro Angelo per le squisite parole che mi rivolgi. La luce più brillante è dettata dalle emozioni indelebili ed irripetibili che le esperienze suscitano.

    • Proprio quelle “Emozioni” che solo tu sai suscitare nei tuoi appassionati e fedeli lettori. Continua a regalarci momenti di fecondo entusiasmo e dolce trasporto. Grazie.

  3. ….“Tanti i miracoli.
    Il più noto ma anche quello più caratteristico fu quello della resurrezione della vaccarella. Siamo nel 1799. I frati di S. Pasquale avevano una vitellina chiamata ‘Catarinella’che girava per le vie di Napoli e da tutti conosciuta, perché portava una targhetta di metallo con il nome di s. Pasquale. Alla sera la vitella si ritirava da sola in convento.
    Una sera ciò non accadde e i frati addolorati si rivolsero ad Egidio, il quale la mattina dopo si recò dal macellaio della popolare zona della Pignasecca e, con dire determinato, gli disse: Prendi la chiave e la lanterna e seguimi nella grotta, Catarinella dove l’hai messa?. Il macellaio senza ribattere obbedì all’ordine e si recò nella grotta, un luogo refrigerato dove si conservava il cibo. La scena fu raccapricciante: la vitella era stata sezionata e scuoiata. Frate Egidio fece distendere dal furfante la pelle dell’animale e vi fece riporre tutti i pezzi, tanto da ricomporlo. Vi tracciò un segno di croce a voce alta disse: In nome di Dio e di s. Pasquale, alzati Catarinella e ….al convento.
    Seguì un muggito: la vitella era viva…“
    MA VI RENDETE CONTO…???

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